Giuliana Saragoni e Moreno: dalla Locanda del Gambero Rosso di San Piero in Bagno alle scuole del Gambero Rosso

24 Lug 2014, 14:46 | a cura di
Giuliana Saragoni e Moreno hanno studiato e riportato in vita le tradizioni, non solo gastronomiche, di quella parte di Appennino Tosco-Romagnolo vicino a Bagno di Romagna. Ora la loro Locanda del Gambero Rosso โ€“ storico Tre Gamberi โ€“ sta per chiudere, ma continueranno a trasmettere la loro conoscenza, le storie, le ricette, la cultura alle Scuole di cucina del Gambero Rosso. E giร  promettono una ricetta, quella di una particolare pasta imperiale.

Poteva essere una classica storia di passaggio generazionale: Giuliana, la figlia, che torna al paese e e prende in mano la trattoria della mamma continuando a proporre i piatti storici in un contesto piรน raffinato e di design, e con vini piรน ricercati. Invece il ritorno a San Piero, frazione di Bagno di Romagna, รจ stato qualcosa di piรน. Giuliana Saragoni eร‚ร‚ย Moreno, suo marito, hanno riscritto la storia della cultura materiale di uno dei luoghi piรน intriganti d'Italia, quella dell'Appennino Tosco-Romagnolo, della loro gente, dei loro territori. โ€œLavoravo all'ufficio cultura di Forlรฌโ€ร‚ร‚ย racconta Giuliana, che a fine agosto porrร  termine a questa avventura iniziata nel 1951: perchรฉ la Locanda al Gambero Rosso, dopo oltre sessant'anni e dopo aver conquistato i palati di mezzo mondo, chiuderร  tra qualche settimana i battenti. โ€œMa nel '92, con la malattia di mio padre, decisi di andare in pensione e tornare a San Piero, e prendere in mano la trattoria della mamma. Lei voleva farmi stare in sala, ma io adoravo cucinare, da sempre. Perรฒ, non volevo continuare a fare i piatti che cucinava lei. Cosรฌ insieme a Moreno, mio marito, abbiamo cominciato a ricercare i piatti di casa, quelli che mangiavamo da bambini...โ€
Quando arriva Giuliana, l'Osteria originaria era stata trasformata in Trattoria. Prima i contadini e i commercianti salivano a San Piero portando le loro cose da mangiare e si fermavano a bere il vino della casa. Poi, con l'avvento del benessere che segna la sconfitta della civiltร  contadina e offre una disponibilitร  di prodotti prima impensabile, mamma Diva comincia a cucinare: โ€œIl giovedรฌ, ad esempio, si faceva la trippa in bianco, una sua ricetta, e la gente veniva apposta per mangiarla. Poi, quando si sono liberati gli appartamenti al piano superiore, la mamma li ha trasformati in Locandaโ€racconta Giuliana. โ€œCon il benessere, la gente ha cercato di cancellare le ricette della tradizione familiare anche per rimuovere le proprie origini povere e dimostrare che si poteva permettere piatti che prima non poteva mangiareโ€spiega Moreno โ€œla cucina della festa abbiamo cominciato a mangiarla tutti i giorni. Io e Giuliana ci siamo resi conto che i miei suoceri avevano trasformato la loro cucina avvicinandola a quello che era il nuovo benessereโ€.
Sarร  stato il lavoro presso l'ufficio cultura, sarร  stato il desiderio di mettere un po' di sรฉ in un'attivitร  che ormai sembrava diretta verso un futuro giร  scritto, ma รจ proprio in questa considerazione che si inserisce la nuova storia di Giuliana. โ€œHo voluto riscoprire i sapori della memoria e i prodotti di questo territorio: la farinata di grano o la minestra di castagne e fagioli che si mangiavano da bambini, in casa, erano ormai scomparsi. Al principio era difficile presentare questi piatti: era l'epoca della carne e non si usavano piรน. Cosรฌ ho iniziato a proporli come entrate, come piatti di benvenuto che offrivo io. Poi sono stati gli stessi ospiti a chiedermeli e cosรฌ li ho potuti mettere in menu. Oggi facciamo i tortelli con i fiori di acacia e i cappelletti con i fiori di sambuco, saltati con pomodoro fresco o con gli stridoli. Ricordo che i piรน venivano soprattutto per vedere la ristrutturazione del locale. Ma quando รจ uscito il primo articolo di Gianni Mura e dopo, con gli articoli sulle guide gastronomiche, la nostra clientela si รจ allargata e ora abbiamo molti ospiti che vengono a trovarci apposta dall'esteroยป.

Moreno, oltre alla ricerca storica dei piatti, va a cercare tutte le erbe nella stagione giusta. โ€œTutti i piatti scomparsi che abbiamo riportato alla luce rappresentavano qualcosa in cui la gente non si riconosceva piรนโ€sorride lui โ€œla grande intuizione di Giuliana รจ stata proprio riportare alla luce quel mangiare che rappresentava e rappresenta la vera cucina del territorio: determinata nei sapori proprio dagli ingredienti che si trovavano solo lรฌ, attorno a casaโ€. Qual รจ stato il piatto piรน difficile da ritrovare o da ricostruire? โ€œTeniamo molto alla nostra zuppa di erbe spontanee,legata alla ricerca delle erbe che si trovano nei campi in un determinato momento. Chi viveva dalle nostre parti in inverno mangiava tutte cose grasse, anche per combattere il freddo: carni insaccate, grasso e formaggi stagionati. In primavera c'era il bisogno di ripulire il fisico da tutte le tossine accumulate e questa zuppa era uno dei piatti che servivano proprio a resettare l'organismo. Era la zuppa che si faceva in casa. Ed รจ stato il piatto piรน difficile: dipende tutto dalla capacitร  di cercare e trovare le erbe e dal sapere quali utilizzare. Io ricordavo quella che faceva mia nonna, ma abbiamo parlato con tante persone di una certa etร  che si ricordavano le erbe. Su questa zuppa ci sarebbe molto da scrivere. Io la definisco un multivitaminico, l'equivalente delle pillole che ingeriamo oggi per integrare sali e vitamine. Si ripuliva l'organismo, ma si arricchiva anche delle sostanze importantiโ€.
Giuliana, insieme ai sapori, ha messo in tavola ha anche delle storie. โ€œIl mio ruolo รจ stato quello di ricostruire queste storieโ€racconta Moreno โ€œmi sono documentato e ho letto molti testi, dai libri di Massimo Montanari a quelli di Piero Camporesi, grandi studiosi dell'alimentazione. Sono risalito al perchรฉ venivano fatti questi piatti, perchรฉ si sviluppava un certo modo di mangiare. Trasportare queste cose al tavolo รจ un compito importante, spiegare e far capire cosa c'รจ dietro a ciรฒ che si mangiaโ€.

Giuliana ora รจ stanca, ha un problema alle gambe, il medico le ha vietato di continuare a stare in piedi in cucina. Cosรฌ, dalla fine di agosto e dopo una serie di serate in cui verranno ripercorsi tutti i piatti storici della Locanda, il Gambero Rosso chiude i battenti. Una domanda viene naturale: perchรฉ non continua Michela? โ€œLei รจ bravissima in sala, quando manca tutti la cercano. Ma non si รจ formata per stare in cucina. Suo marito, Paolo, รจ una persona d'oro: รจ stato fondamentale nel ricercare e trovare piccoli produttori che ci hanno sempre assicurato prodotti eccezionali. Ma io non posso piรน cucinare. In cucina, accanto a me, c'รจ Alina: una donna speciale, ma anche lei non se la sente piรน. Avrei dovuto mettere un'altra persona in cucina, ma non sarebbe piรน stata la stessa cosa. La Locanda al Gambero Rosso sarebbe stata comunque una storia passataโ€. E cosรฌ, per non dimenticare la storia e la sapienza di Giuliana e di Moreno, per non permettere che si ripeta ciรฒ che รจ accaduto ai piatti dimenticati che loro hanno riportato in vita, i due protagonisti della Locanda continueranno a insegnare, a trasmettere la loro esperienza ai giovani, ai nuovi cuochi: saranno infatti nella squadra delle Scuole di cucina del Gambero Rosso a Roma. Perchรฉ le nuove leve non dimentichino le migliori radici del passato e il futuro non sia una cosa priva di vita e di spessore.

Un esempio ce lo dร  con due piatti, che raccontano l'evoluzione della societร : la Polpetta di nonna Diva, piatto storico della Locanda che Giuliana ha appreso da sua mamma; e la Zuppa di erbe spontanee: โ€œLa mamma la faceva in casa, non in trattoria. Io l'ho ripresa e l'ho arricchita con una pasta imperiale fatta a modo mioโ€ racconta la cuoca. Le polpette, piatto storico, un classico della riscoperta della cucina povera, sono in realtร  figlie della generazione del boom. Le polpette sono uno dei piatti possibili grazie alla grande disponibilitร  di carne che ha segnato il passaggio dal dopoguerra agli anni '60. Per Giuliana, ma anche per Michela, per Paolo e per Moreno, sono state un punto di partenza: da lรฌ, per andare avanti sono dovuti tutti tornare indietro. E la Zuppa di erbe spontanee รจ il piatto che ben marca questo passaggio e che contiene in sรฉ lunghi secoli di storia e di cultura materiale. Sembrano โ€“ oggi โ€“ piatti figli di una stessa cultura, invece no. Le vere radici sono nella zuppa, nella cucina di necessitร  dove รจ fondamentale trovare intorno a casa gli ingredienti per sopravvivere nel modo migliore, quelli che davvero segnavano il passaggio delle stagioni. Giuliana, questa zuppa l'arricchisce con una pasta imperiale molto sostanziosa, ma povera e di territorio al tempo stesso. รˆ il ricordo dei cubetti di pane rosolato che spesso si mettevano nella zuppa, quando il pane raffermo era giร  una ricchezza. โ€œOggi molti la fanno utilizzando il semolino, io invece impasto insieme la ricotta dell'Appennino, uova, noce moscata e Parmigiano: stendo tutto, cuocio metto al forno e poi ne faccio dei cubetti che vanno nella zuppa che cosรฌ si nobilita ancor di piรน senza tradire radici e territorioโ€. Insistiamo per avere la ricetta di questa pasta imperiale, ma Giuliana si nasconde dietro al suo irresistibile sorriso: โ€œQuesta รจ una ricetta speciale, ci tengo molto... Voglio essere io a trasmetterla direttamente ai ragazzi e agli appassionati che vorranno venire a seguire le mie lezioni alla Cittร  del gusto. Ci tengo troppo, voglio essere io a raccontarla!โ€.

Zuppa di erbe spontanee

Ingredienti per 4 persone:
400-500 g di erbe di campo (radicchi di campo, rosole, cicerbite o crespigni, stridoli, aspragine,eccโ€ฆ)
30 g di finocchio selvatico (solo foglie e gambi molto teneri)
1 patata media
2 cipolle medie (circa 150 g)
aglio tritato (facoltativo)
50 g circa di olio extravergine di oliva
1 litro di acqua circa
sale grosso
pane casereccio tostato a dadini (o dadini di Pasta Imperiale)

Nettare le erbe eliminando residui terrosi e foglie non fresche, lavarle abbondantemente risciacquando fino a che lโ€™acqua non resti limpida. Tenerle a bagno, in acqua fredda o con ghiaccio, con un poโ€™ di bicarbonato (per la disinfezione) per circa 15/20 minuti.
Pelare la patata e tagliarla a pezzi grossolani.
Scaldare lโ€™olio in una casseruola, aggiungere e far imbiondire la cipolla tritata. Unire i tocchetti di patata, aggiungere acqua e far cuocere per circa 10 minuti aggiustando di sale, quindi aggiungere le erbe scolate e il finocchio selvatico e salare col sale grosso.
Aggiungere lโ€™acqua fino a ricoprire il contenuto e rimescolare.
Portare a bollitura a fiamma alta per poi proseguire la cottura a media fiamma per circa 10 minuti aggiungendo, se occorre, un poโ€™ dโ€™acqua. A fine cottura aggiustare di sale, quindi lavorare il composto al mixer per frantumare finemente anche il finocchio selvatico. Servire in un piatto fondo con un pugno di dadini di pane casereccio tostato, un poโ€™ di olio (una croce dโ€™olio, si diceva un tempo, a sottolineare la parsimonia con cui si usava e la sacralitร  che si attribuiva allโ€™extravergine) e un ciuffetto di finocchio selvatico al centro.

Al posto del pane, Giuliana usa spesso dadini di Pasta Imperiale (impasto di uova e formaggio pecorino con sale, pepe e noce moscata passati al forno che compongono un altro piatto tradizionale della festa: la zuppa imperiale). Cosรฌ, dร  originalitร ร‚ร‚ย e nobiltร  alla zuppa povera in un felice connubio fra cucina di tutti i giorni e della festa.

a cura di Stefano Polacchi

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