Le conseguenze della crisi. Gli italiani mangiano peggio

13 Ago 2013, 08:00 | a cura di
La crisi economica che affligge ormai da tempo il Paese ha messo la mani anche sul cibo; proprio così, in questo delicatissimo momento si taglia davvero su tutto, anche sull'alimentare. Ma quali sono i rischi di una spesa low cost? Ecco cosa dice la Coldiretti.

Sono dati allarmanti quelli che arrivano dal dossier sui Rischi del cibo low cost presentato dalla Coldiretti durante un incontro tenutosi a Bruxelles. Secondo elaborazioni su dati Ismea la spesa alimentare degli italiani nel 2013 è in forte calo, gli acquisti si sono ridotti in modo evidente, con tagli che vanno dall’olio extravergine d’oliva (-12%) alla pasta (-9%), dal pesce (-11%) alla carne (-1%), fino ad arrivare al latte (-6%) e all’ortofrutta (-4%), per una contrazione media nel settore agroalimentare del 3,4%. Il bilancio delle vendite nella grande distribuzione dall’inizio del 2013 parla da sé: -2,5% negli ipermercati e -1,8 punti percentuali nei supermercati; le uniche a far segnare un aumento in Italia sono le vendite dei cibi low cost (+1.3%), beni di consumo acquistabili nei dei discount alimentari. Segno evidente di un sensibile spostamento degli acquisti verso i prodotti a basso costo.
Dati da valutare prendendo in considerazione alcuni aspetti legati al circuito dei prodotti low cost e dei rischi igienico-sanitari ad esso collegati. Nel 2013 gli allarmi alimentari per i cibi pericolosi sono aumentati del 26% e i principali imputati sono proprio loro, i prodotti a basso costo, soprattutto quelli provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione Europea (Cina, India e Turchia in primis), responsabili per l’80% degli allarmi alimentari. Paesi dove vigono diverse regole sanitarie e ambientali, a partire dalle regolamentazioni sugli OGM in poi.
Attraverso le analisi condotte dall’Efsa (Autorità Europea per la sicurezza alimentare) l’Italia conquista il primato in Europa, e non solo, per il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3%): risultati peraltro inferiori di cinque volte a quelli della media europea (1,6%) e addirittura di 26 volte a quelli extracomunitari (7,9% di irregolarità). Dov’è allora il problema? Il problema è che l’Italia importa dall’estero circa il 25% del proprio fabbisogno alimentare: per questo motivo 4 bottiglie di olio extravergine su 5 in vendita nel nostro Paese non riportano la provenienza delle olive impiegate, oltre la metà del grano duro utilizzato nella produzione di pasta in Italia viene importato da paesi dove si registrano spesso problemi di aflatossine (microtossine prodotte da specie fungine), una mozzarella su quattro non è realizzata con latte ma attraverso cagliate provenienti spesso dall’Est europeo, e chi più ne ha più ne metta.

Oltre sei famiglie su dieci scelgono prodotti a basso prezzo”, afferma il presidente della Coldiretti Sergio Martini,che ha presentato personalmente a Bruxelles il delicatissimo dossier. “Dietro questi prodotti spesso si nascondono ricette modificate, per non parlare dell’uso di ingredienti di minore qualità o dei metodi di produzione alternativi. Conviene diffidare dei prodotti che costano poco, come a esempio alcuni oli extravergini d’oliva che con il loro prezzo bassissimo non coprono neanche il costo della raccolta”.

a cura di Giuseppe Buonocore

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