Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Prima tappa Lelli di Bologna

21 Lug 2015, 16:00 | a cura di

L'Italia conta circa 850 torrefazioni indipendenti e da oggi iniziamo un viaggio alla scoperta delle migliori. Partiamo da Bologna, con Leonardo Lelli, che serve uno dei ristoranti migliori al mondo: l'Osteria Francescana di Massimo Bottura. Ecco la sua storia.

Americano, turco, espresso, moka, napoletana, pressofiltro e ancora arabica, robusta, tostatura. Sono tante le parole del caffè, e riguardano varietà e metodi di lavorazione. Nonostante venga apprezzato a ogni latitudine, e il più consumato sia quello americano, il caffè rimane la bevanda simbolo dell'Italia che detiene il primato per quanto riguarda cultura e valorizzazione. Per il gusto, ma anche per la ricerca sofisticata e la tradizione che si cela dietro al rito della tazzina. Insomma: l'espresso in Italia è un'arte e, in quanto tale, ha i suoi maestri. E proprio loro vogliamo presentarvi. Iniziamo da Leonardo Lelli della Torrefazione Lelli di Bologna.

Torrefazione Lelli – Leonardo Lelli

Si definisce un “servitore del caffè”, un “messaggero del lavoro in piantagione”, la sua passione cresciuta negli anni lo ha portato in giro per il mondo a conoscere le varie piantagioni che lavora con cura, senza mai voler modificare la natura. Classe '63, bolognese doc e laurea in ingegneria: è Leonardo Lelli l'artefice dell'omonima torrefazione emiliana, un vero appassionato che inizia il suo percorso nelle piantagioni per arrivare alla tostatura e oltre, fino all'ultima goccia di caffè. L'attività, che compie 20 anni nel 2016, si basa su un intenso lavoro di ricerca.

 

Come è nato il suo interesse per il caffè?

In realtà per caso. In seguito alla laurea in ingegneria, mi sono occupato del controllo qualità delle macchine nel settore alimentare. Con questo lavoro, mi sono ritrovato per caso faccia a faccia con la macchina per macinare i chicchi di caffè e da lì ho iniziato a informarmi sempre più sull'argomento. Ho scoperto che l'Italia ha il più elevato numero di torrefazioni al mondo. Poi c'è stata Trieste, punto fondamentale per gli amanti del caffè e lì ho capito che tutto ciò che pensavo di sapere era sbagliato o, perlomeno, incompleto. Ho scoperto il caffè crudo, tostato, d'origine. Da lì è nato il mio amore per le piantagioni.

 

Le piantagioni ricoprono un ruolo importante nella sua filosofia del caffè.

Le piantagioni, anche quelle piccole, sono un qualcosa di cui dovremmo interessarci di più. È impossibile occuparsi di caffè senza andare a vedere le piantagioni, sarebbe come parlare di vino senza aver mai visto una vigna. E come per il vino, il territorio gioca un ruolo essenziale per la qualità del caffè, è l'equivalente del terroir. È importante rintracciare dove e come viene coltivato il caffè.

 

Come si struttura una giornata lavorativa in una torrefazione?

Tutto ruota attorno alla tostatura, che è il cuore della torrefazione. Noi andiamo direttamente in piantagione a selezionare i lotti, che cerco di mantenere il più puri possibile durante la tostatura. Non voglio modificare il caffè, ma esaltarne le caratteristiche. Ad esempio, c'è una varietà che nasce in un aranceto e ha ovviamente aromi molto particolari, che cerco di conservare e valorizzare durante il lavoro di tostatura. Ogni varietà ha le sue caratteristiche che vanno rispettate e la tostatura non è altro che il controllo dell'evoluzione della cottura del chicco nel tempo. È la firma di ogni torrefazione.

 

Quando andate a visitare le piantagioni? Quali scegliete per la vostra azienda?

Le piantagioni scelte vanno dal Centro America al Sud America fino a arrivare all'India e all'Indonesia. Selezioniamo i lotti migliori, quelli che hanno superato gli 84 punti su 100 secondo la Speciality Coffee Association, una rete di professionisti dell'industria del caffè provenienti da più di 90 paesi diversi, che si occupa di stabilire uno standard di eccellenza nell'analisi del caffè. Per quanto riguarda la raccolta, il momento adatto varia per ogni paese. Generalmente, nella fascia equatoriale, si raccoglie tutto l'anno.

 

Come varia la tostatura in base alla varietà?

Ogni piantagione richiede un metodo di lavorazione diverso. La tostatura a bassa temperatura è quella che più mantiene ed esalta gli aromi ma poi ogni stile di caffè è diverso: l'espresso, per esempio, non è il migliore, ma è semplicemente il preferito dal gusto italiano. Ogni metodo di preparazione valorizza una parte diversa. E anche questo, insieme alla capacità di riconoscere un caffè di qualità, riguarda la cultura del caffè.

 

Si parla di gusti. Come si affina, per il caffè, un gusto personale?

Ci sono degli standard oggettivi, ma ognuno poi ha un caffè più vicino alle proprie corde. E poi, come per il vino, il gusto cambia a seconda del momento. L'atmosfera, il cibo, l'orario sono elementi che influiscono sul giudizio personale. Mentre la qualità è oggettiva, il gusto è un dato esclusivamente soggettivo.


Secondo il suo gusto personale, qual è il caffè che apprezza di più o a cui è più legato?

Domanda impossibile. Il caffè è un prodotto della terra e, in quanto tale, può variare facilmente a seconda del clima e delle condizioni ambientali. Inoltre, ritengo che per ogni momento della giornata ci sia una tipologia di caffè più adatta. Ultimamente, comunque, apprezzo in particolar modo l'Assolo Grand Cru di Santa Barbara, nelle Honduras.

 

Parliamo di caffè in cucina. Una ricetta provata che le è piaciuta particolarmente?

Ne ho provate diverse, tutte molto buone e interessanti. Per diversi anni abbiamo organizzato una serata degustazione con grandi chef, un evento chiamato Moliendo Cafè. È stato il nostro modo di comunicare i vari utilizzi del caffè in cucina e per far conoscere le sfumature e sfaccettature di questa bevanda. Alla base dell'evento c'erano gli showcooking tenuti da grandi chef come Igles Corelli, che è stato il primo ad inaugurare la manifestazione insieme a Massimo Bottura. Le cene volevano dimostrare al pubblico che il caffè è anche un ingrediente. Un piatto interessante nella sua semplicità è stato il risotto preparato da Bruno Barbieri, a base di burro salato francese e un infuso di caffè etiope.

 

A proposito di comunicazione. In Italia se ne fa tanta su cibo e vino, si sta iniziando a fare sull'extravergine, ma manca ancora l'informazione, anche basilare, sul caffè...

Sono assolutamente d'accordo. La mancanza di informazione però non è causata da un disinteresse da parte del consumatore, ma dall'andamento del mercato. Le compagnie che operano in questo settore sono circa ottocento, ma il mercato è detenuto da quattro gruppi. Spesso vengono date informazioni imprecise; ad esempio si legge sulle confezioni “100% arabica”, anche se in realtà c'è una percentuale di robusta.

 

Difficoltà riscontrate a livello burocratico?

Quelle sono all'ordine del giorno. I problemi legati alla burocrazia non intralciano solo l'industria delle torrefazioni, ma tutte le imprese legate all'artigianalità. Dobbiamo sottostare a regole, formalità, carte da produrre e in questo modo l'assaggio, la degustazione, che dovrebbero essere il cuore dell'attività, passano in secondo piano.

 

Domanda scontata, ma d'obbligo. Zucchero: sì o no?

No. Un prodotto della terra non deve essere mai essere modificato. Non bisogna cercare di migliorare un frutto del territorio, piuttosto cercarne uno che ci soddisfi con tutte le sue caratteristiche. Se una varietà di caffè non mi soddisfa, posso sceglierne un'altra; così, se mi piace il caffè dolce, posso sceglierne uno che abbia questa peculiarità. Posso assicurarle una cosa: è impossibile che non trovi il caffè adatto.

 
a cura di Michela Becchi

 

Torrefazione Lelli | Bologna | via del Mobiliere, 1 | tel. 051.531608 | www.caffelelli.com/

Nel prossimo articolo, intervista a Enrico Meschini de Le Piantagioni del Caffè

 

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