Social Media Week report. E il cibo entra nella rete

10 Giu 2015, 16:36 | a cura di
Prenotazioni online, e-commerce e sharing economy. Qual è l'impatto dei socia media nell'industria del cibo? Possono davvero ampliare il mercato? Se ne è parlato alla Social Media Week di Roma

Siamo andati alla Social Media Week, ancora in corso a Roma (dall’8 al 12 giugno), per capire qual è il clima nel settore enogastronomico. Due i seminari dedicati al food e mediati da Carlo Ottaviano: The impact of social media on the food industry e Dalle guide dei gourmet alle app e social per i foodies. Tre le tendenze più gettonate secondo Luciana Maci di Economyup: prenotazione online, e-commerce e sharing economy.

Prenotazione online

Venendo alla prima, uno dei casi più eclatanti è quello dei ragazzi di Pizzabo.it, oggi acquistato dal colosso e-commerce tedesco Rocket Internet e diventato HelloFood. Tutto l’intero mondo e-commerce è però in movimento. Da Cibando, comprato dalla multinazionale indiana Zomato, a RestOpoliS, acquisito insieme a MyTable dal colosso TripAdvisor, e divenuto TheFork. E ancora le start-up italiane Cliccaemangia di Milano e DeliveRex di Roma, comprate dalla danese JustEat. Le realtà sono molte e variegate, ma una cosa le accomuna (purtroppo): tutte sono nate in Italia e una volta cresciute si sono trasferite all’estero.

Da RestOpoliS a TheFOrk

Perché le idee e i fatturati non rimangono qui? Perché noi italiani siamo bravi a inventare e poi facciamo comprare le nostre creature dai colossi stranieri? Lo abbiamo chiesto ad Almir Ambeskovic, Amministratore Delegato di TheFork.
Facciamo però un passettino indietro per presentare la sua case history (anche se ve ne abbiamo parlato qui). “Quattro anni fa, assieme ai miei ex soci, ho fondato RestOpoliS perché ci siamo resi conto che all’estero i siti di prenotazione online dedicati ai ristoranti andavano alla grande. E il mercato, in Italia, era a nostro avviso pronto sia a livello di numeri che a livello di tecnologia: non dimentichiamoci che noi italiani siamo sempre sul pezzo quando si tratta di smartphone…Bastava dunque trovare degli investitori per acquisire ristoranti e utenti”. Più facile a dirsi che a farsi: “Ci abbiamo messo due anni a scacciare lo scetticismo imperante. A tutti sembrava che una realtà come RestOpoliS, in Italia, non potesse funzionare”. Si sbagliavano. Infatti RestOpoliS è cresciuta ed è stata acquisita da TripAdvisor. Il colosso ha prima acquisito LaFourchette, che copriva il mercato francese e nord europeo, e poi è approdato in Italia. Come farsi sfuggire uno dei mercati più interessanti? “Gli utenti italiani ne sanno di cibo e non hanno paura di esprimere giudizi. Così creano contenuti, il più delle volte attendibili e gratis, in maniera più veloce rispetto al resto del mondo”.
Cosa c’entra la democratizzazione delle recensioni, che ha reso tanto famoso TripAdvisor (nel mondo il 50% delle persone consulta TripAdvisor prima di recarsi al ristorante. E in Italia la percentuale aumenta al 75%) con TheFork? Fin dagli esordi, quando ancora era RestopOliS, il sito di prenotazione online consentiva agli utenti di poter scrivere la loro recensione, creando così partecipazione. Partecipazione che ha fatto la fortuna di RestOpoliS, prima, e di TheFork, poi.

Investimenti stranieri

Ma allora, ricapitolando, in Italia vengono generate le idee giuste, la cultura gastronomica c’è e non manca certamente il mercato, dato che le persone, nonostante la crisi, continuano a mangiare fuori. E allora perché il tutto viene poi inglobato dai grandi investitori stranieri? “Perché c’è una forte paura di sbagliare da parte degli imprenditori. Non solo, esiste un vero e proprio problema nell’accesso agli investimenti. Anche se nel giro di quattro anni, dagli inizi di RestOpoliS a oggi, le cose sono nettamente cambiate in positivo. Poi gli italiani non sono abituati ai gradi volumi, tanto meno a pensare in grande”. Forse perché, avendo un mercato interno, uno non si pone più di tanto il problema di investire in quello estero? “Proprio così. Dovremmo ragionare un po’ di più come gli svizzeri, i quali, non avendo un mercato interno, ragionano in grande, investendo fin da subito nel mercato estero”. Ci auguriamo, dunque, che anche in Italia si cominci a ragionare in grande. Le idee certo non mancano. Allora andiamo oltre, pensiamo in grande. Non identifichiamoci nella classica frase che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, si è sentito riportare dal genitore uscito dal colloquio con i professori: “Il ragazzo è intelligente ma non si impegna”. In Italia siamo talentuosi ma poi ci vuole uno sforzo di fiducia da parte dei futuri investitori, e un po’ più di coraggio da parte dei futuri imprenditori. E i ristoratori o i produttori, che ruolo hanno? Fondamentalmente dovrebbero smetterla di essere reazionari. “L’ha capito anche la Fipe, insieme alla quale stiamo cercando di educare i ristoratori sul fatto che la tecnologia, usata in maniera mirata, può rappresentare una grande opportunità. (Una sorta di riconciliazione con TripAdvisor? Questa è solo una nostra chiave di lettura). Ritornando al presente: TripAdvisor sta forse cambiando mission e vuole abbandonare le recensioni (che, come detto sopra, le hanno garantito il successo) buttandosi nel favoloso mondo del booking? “A oggi la multinazionale ha ventotto brand, tra cui noi e LaFourchette. Non credo rinuncerà a nessuno dei settori che ha già in mano. Piuttosto, a questi, verranno unite altre realtà”.

E-commerce

Altro settore in fermento è quello dell’e-commerce. In Italia vale ben 15 miliardi di euro, anche se il grocery è fermo al 21%. Non si può che migliorare dunque. E se ne sono accorti sia i piccoli che i grandi. Tant’è che è pieno di start-up interessanti. Cortilia, Chef dovunque e Mio orto, solo per fare qualche esempio. E ancora Primo Taglio, spin-off del più conosciuto Amodio. Quest’ultimo fa e-commerce del fresco e del freschissimo, ovvero di prodotti che ancora non esistono e che verranno preparati solo dopo le ordinazioni. E i big che dicono? Non sono di certo rimasti a guardare: eBay ad aprile scorso ha azzerato le commissioni sui prodotti alimentari e Amazon si è dato da fare con Amazon Fresh (già partito negli Usa e in alcuni paesi europei). La teoria del Km zero, dunque, non va più e non ha più alcun senso. Soprattutto se si vuole sviluppare l’economia del settore. Aggiungete il fatto che alla base di food e wine ci sono convivialità e condivisione, ecco perché i social hanno e avranno un ruolo fondamentale nei settori legati a essi. Fungono infatti da cassa di risonanza, da una parte, e da strumento di confronto e di scambio di informazioni tra i consumatori, dall’altra. Non solo, permettono ai produttori di avere un feedback immediato.

Sharing economy

Altra tendenza, nel mondo del food, è quella della sharing economy. Esempi italiani sono Gnammo o Suppershare, nel mondo c’è invece EatWith. Rappresentano tutte un nuovo modo di magiare social. L’ultima tendenza di cui si è discusso è più legata all’etica che all’economia. Stiamo parlando di tutte quelle realtà che limitano gli sprechi di cibo. La tecnologia può e deve servire anche a questo. Così è nata, per esempio (ma per fortuna di esempi ce ne sono parecchi) la piattaforma Bring The Food, dove ciascun utente può iscriversi e donare il cibo in eccesso. Questo viene poi distribuito a chi ne ha bisogno. È proprio il caso di dire che qui il fine (etico) giustifica i mezzi (a volte meno etici, come lo sono i tanto criticati social).

a cura di Annalisa Zordan

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