Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Quindicesima tappa: Pierre Café di Gravina in Puglia

27 Ott 2015, 15:55 | a cura di

Approdiamo a Gravina in Puglia, in provincia di Bari, per l'ultima tappa della nostra ricerca dei migliori caffè italiani. Quattordici torrefattori d'eccellenza hanno detto la loro, oggi Luigi Paternoster chiude la rubrica con un messaggio ottimista.

Abbiamo imparato la differenza fra monorigine e miscela, fra Arabica e Robusta, decaffeinato ad acqua e con diclorometano, ma soprattutto siamo andati alla scoperta della comunicazione del caffè. Considerato uno dei prodotti che meglio rappresenta il made in Italy, l'espresso sta in realtà vivendo un periodo di fioritura all'estero mentre in Italia si resta adagiati su una presunta superiorità che fa riferimento a uno standard di qualità che non esiste più. O meglio, che esiste in poche realtà di nicchia, alcune delle quali sono state chiamate a rispondere alle nostre domande. Ci sono altre torrefazioni in Italia che stanno lavorando sulla produzione e sulla comunicazione del caffè di qualità, ma per concludere il nostro viaggio, abbiamo chiamato Luigi Paternoster di Pierre Café. Con Luigi abbiamo tirato le somme e ripreso i diversi temi affrontati durante questo viaggio.

Come nasce l'attività?

I miei genitori hanno aperto la torrefazione a Gravina in Puglia, in provincia di Bari, nel 1984. Attualmente, nel mio team ci sono circa 7 persone e abbiamo sia bar che torrefazione.

Che prodotti avete?

I miei genitori mi hanno trasmesso la voglia di fare le cose in maniera diversa. Il desiderio di ricercare la qualità, l'eccellenza e il coraggio di sperimentare e rischiare per ottenerla. Ho studiato il caffè e capito qual è il vero gusto di un espresso di qualità e, soprattutto, ho capito cosa dovevo cercare in una tazzina di caffè. Non utilizzo Robusta e ho una sola miscela costituita da 3 varietà di Arabica. Oltre alla miscela, ho 5/6 monorigine, che cambiano periodicamente.

Da quali territori prendete il caffè?

Centro e Sud America, Africa ma, come dicevo, variamo spesso l'offerta per cui non c'è una selezione fissa, ma solo una ricerca accurata.

Avete anche decaffeinato?

Sì, che prendiamo dalla Colombia o dall'Etiopia ed è un decaffeinato con metodo classico, quindi con diclorometano.

Perché la scelta del metodo classico?

Perché il diclorometano è un solvente che è stato un po' demonizzato senza una vera base scientifica. Non è provato che abbia conseguenze sulla salute, quali o in quale modo. Quel che è certo, è che con il metodo classico il caffè mantiene più intatti gli aromi ed il gusto è migliore.

Organizzate corsi di formazione?

Sì, teniamo dei corsi per i nostri clienti dei bar, per formare personale qualificato. Inoltre, organizziamo circa una volta al mese dei corsi di degustazione per i consumatori. Le lezioni sono strutturate in due sezioni, il cupping – pratica di assaggio del caffè – e i laboratori sulla tostatura.

Cosa ne pensa dei campionati di caffetteria? Li segue?

Sono molto interessato ma non ho mai partecipato perché il lavoro in torrefazione mi impegna molto. Recentemente, abbiamo anche ristrutturato il locale e al momento stiamo per aprire un altro laboratorio per fare ricerca sul caffè; si tratterà di un laboratorio aperto al pubblico, dove poter parlare con i consumatori e fare un po' di formazione.

A proposito di formazione. Qual è la sua visione al riguardo?

Il palato degli italiani purtroppo è abituato ai caffè di basso livello: amari, troppo tostati e rancidi. Occorre fare tanto lavoro anche per educare il gusto dei consumatori, ma non è una missione impossibile. I miei clienti, ad esempio, si sono subito abituati bene al gusto del mio caffè. Ci sono sempre più torrefazioni di qualità in Italia e l'unione fa la forza, per cui se lavoriamo per un obiettivo comune, quello di formare consumatori consapevoli, possiamo farcela.

Un bel messaggio di positività, ma molti suoi colleghi lamentano la mancanza di coesione fra torrefattori.

Forse sarò troppo ottimista, ma io invece vedo delle buone potenzialità in questo ambito. Siamo un settore di nicchia, ci conosciamo quasi tutti e siamo in grado di fare gruppo. Il gruppo crea confronto e il confronto porta al miglioramento.

Altro problema riscontrato da molti è la differenza fra torrefazioni e caffetterie italiane ed estere. A quanto pare, nel resto del mondo ci stanno battendo.

È vero, l'Italia è rimasta indietro come formazione di personale. È vero anche che molti italiani hanno aperto dei bar senza riflettere, senza impegno, per fare soldi. Il caffè spesso è stato, ed è ancora, considerato una semplice merce. Molti baristi e torrefattori non ci mettono il cuore, mentre all'estero, prima di aprire un'attività, si studia e ci si informa. Fino a un po' di tempo fa, noi italiani eravamo i migliori in fatto di espresso e sono sicuro che, progressivamente, riusciremo a ristabilire la superiorità del made in Italy.

Come possiamo fare a ripristinare quello standard di qualità?

Sempre più persone si stanno interessando al mondo dell'agroalimentare e dell'enogastronomia. Il consumatore è più consapevole e va alla ricerca di prodotti di qualità. Molti marchi e aziende non lavorano correttamente, ma sono convinto che avranno vita breve. L'informazione sugli alimenti è sempre maggiore e il consumatore si renderà conto, presto o tardi, di chi fa qualità e chi no.

Importante è anche insegnare come realizzare un buon espresso a casa.

Certamente, ma bisogna tenere conto che un caffè casalingo con la moka sarà sempre imperfetto. Si possono, tuttavia, osservare alcune accortezze come utilizzare acqua riscaldata. Se mettiamo nella caldaia della moka l'acqua fredda, con il tempo che questa impiega a riscaldarsi, il caffè sarà bruciato. Non dimentichiamo poi che il caffè va livellato perfettamente, niente “collinetta”.

Capsule e cialde stanno sempre più dominando la richiesta del mercato. Cosa ne pensa?

Sono contrario a questo tipo di prodotti, si tratta di una questione puramente economica. Ma chi cerca le capsule o le cialde è un consumatore frettoloso, che non degusta il caffè in tutte le sue sfaccettature, ma lo beve in maniera veloce e metodica, quasi fosse una medicina per svegliarsi. Io vendo esclusivamente in grani e, se proprio necessario, ne macino un po' su richiesta, ma preferisco evitare. Dopo solo 15 minuti, il caffè macinato inizia a perdere gli aromi.

Diverse scuole di pensiero anche sulla conservazione del caffè. Chi consiglia il frigorifero, chi la credenza, chi addirittura il freezer.

Quello della conservazione è un discorso complesso. Sicuramente il caffè deve stare lontano dalla luce e dall'umidità. Un luogo asciutto è l'ideale e il frigorifero – si sa – è uno dei posti più umidi che ci siano. Forse, in un barattolo ermetico potrebbe anche conservarsi in frigorifero, magari d'estate quando le temperature sono troppo elevate. Ma diciamo che idealmente consiglierei un luogo asciutto fuori dal frigorifero. Il freezer lo escludo perché ghiaccia il caffè e quindi ne rovina la struttura. La soluzione è una sola: comprare poco caffè alla volta, quello che serve per un utilizzo settimanale.

C'è una differenza di gusto dell'espresso fra Nord e Sud Italia?

Generalmente, noi al Sud abbiamo una tradizione di caffè più scuri, con una più alta percentuale di Robusta. Ma in realtà in tutta Italia si utilizza la Robusta per le miscele dell'espresso, forse nelle regioni meridionali c'è una leggera percentuale in più.

Chiariamo la questione Robusta. Esistono, anche di Robusta, varietà pregiate?

Sì, il Kaapi Royale indiano che molti utilizzano. È la tipologia migliore ed è buona, ma il problema con la Robusta è che è veramente difficile trovarne una senza difetti. Legno e gomma bruciata sono note sgradevoli tipiche che accompagnano la maggior parte della Robusta. Inoltre, presenta problemi anche a livello di schiuma, che non è sufficientemente elastica ed è evanescente.

Esiste un tipo di caffè tipico della tradizione pugliese?

Sì, nella zona di Lecce si consuma molto caffè con ghiaccio e latte di mandorle. È una ricetta tradizionale di quell'area.

Cosa ne pensa invece della Latte Art che ora è così di tendenza?

Mi piace e tutti i cappuccini da me vengono serviti con qualche decorazione. Anche l'occhio vuole la sua parte e il mio team deve essere preparato anche sull'estetica che, per quanto semplice ed essenziale, deve essere curata.

Rimaniamo in tema latte. Come si ottiene un cappuccino perfetto?

Il primo passo è fare una buona emulsione di latte, che si ottiene attraverso due step fondamentali. Il primo passo consiste nella lavorazione della schiuma in superficie, poi la lancia viene immersa più in profondità per ridurre la dimensione delle bolle e ottenere una consistenza più compatta e densa. Una volta finita la fase dell'emulsione, si versa il caffè nella tazza; molti attendono che il latte si compatti prima di procedere a questa operazione, io invece preferisco farlo subito. Il latte va poi versato in due momenti: inizialmente si rimane più lontani dalla lattiera, poi ci si avvicina per realizzare la decorazione. Il latte che utilizzo è intero ed è prodotto da 3 cooperative del Molise con mucche al pascolo.

Zucchero: sì o no?

No. Se il caffè è stato tostato ed estratto correttamente, posso assicurare che non è amaro, per cui lo zucchero non è necessario.

Quanti e quali metodi di estrazione utilizzate?

Lavoriamo il caffè con diversi metodi di estrazione. Dal Chemex al V60 - chiamato così per l'angolazione interna del filtro che è appunto di 60° - dalla French Press al Cold Brew – estrazione a freddo – all'Aeropress.

Facciamo il punto della situazione del caffè in Italia. Che fase stiamo vivendo?

Come ho già detto, sono fiducioso. Io direi che siamo in una fase di Rinascimento del caffè: un periodo di cambiamento e rifioritura. Noi italiani abbiamo tanti difetti, ma quando si tratta di tradizioni, come quella dell'espresso, ci mettiamo il cuore e sappiamo come rivalorizzarci.

Pierre Café | Gravina in Puglia (BA) | piazza Cavour, 26 | tel. 080 3253541, 334 1089937 | www.pierrecafe.com/

 

a cura di Michela Becchi

 

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