Se i terroristi sparano a chi mangia fuori. Come ne uscirà la ristorazione parigina?

16 Nov 2015, 11:24 | a cura di

Il cambio di strategia del terrorismo globale ci impone una riflessione a freddo sulle conseguenze che il quadro venutosi a creare potrà avere sull’industria della ristorazione di Parigi. Gli attacchi si sono svolti in 6 ristoranti, e non è stato un caso.

È abbastanza complicato parlare di cibo e ristorazione quando sul tavolo si piangono svariate decine di morti provenienti da svariati paesi del mondo, Italia inclusa. È abbastanza complicato ma non del tutto fuori tema per chi di cibo e ristoranti parla da trent’anni e registra che la funzione aggregattrice fondamentale, benefica e insostituibile del ristorante (si pensi all’etimologia della parola stessa) viene messa così pesantemente in discussione come è capitato a Parigi nella notte tra il 13 e il 14 novembre.

 

Uno sguardo indietro

Prima di allora gli obbiettivi del terrorismo erano stati tutt’altri. Senza prendere banalmente abbrivio dal 2001, data spartiacque per forza di cose, è possibile in Italia scavare nella storia nazionale degli Anni di Piombo per ricordare come lo stragismo rosso e nero (quello di Stato incluso) sia in qualche modo stato sempre alla larga dai luoghi dello svago, del relax, del divertimento. I grandi attacchi hanno riguardato banche (Milano, Piazza Fontana, 1969), manifestazioni politiche (Brescia, Piazza della Loggia, 1974), treni (Italicus, 1974) e infine stazioni (Bologna, 1980). Le recrudescenze terroristico-mafiose degli anni Novanta avevano preso di mira luoghi-simbolo, sostanzialmente deserti nel momento della detonazione, (Piazza San Giovanni in Laterano e Chiesa del Velabro – a Roma – e Uffizi a Firenze). Il terrorismo di matrice jiadista, poi, era partito con lo stesso stile: edifici simbolo (New York City, World Trade Center, 2001) e mezzi di trasporto pubblico (Madrid, Atocha, 2004 e Londra 2005). Il passaggio di testimone tra Al-Qaida e Daesh ha segnato un reset degli obbiettivi e un retargeting più peculiarmente direzionato verso i luoghi simbolo della libertà. Che sia libertà di espressione (Parigi, redazione di Charlie Hebdo, 2015; ma anche, in quelle stesse ore, l’ipermercato kosher) o libertà intesa come tempo libero, come è successo in questi giorni.

 

L'anima gastronomica di Parigi

Diamo per assodato lo sgomento per i morti e per i feriti e sforziamoci a pensare le conseguenze che questo nuovo corso del terrore internazionale potrà avere, restando a Parigi, su quella che è la più bella industria della ristorazione a livello globale. Non c’è Londra, New York (o Italia) che tengano: Parigi è, sempre di più, il luogo migliore dove mangiare, provare, rischiare, sperimentare, scoprire. L’unica piattaforma che mette a disposizione degli chef un pubblico gastronomicamente erudito, che si affida, colto, non interessato a sciocchi risparmi e micragnosità quando si parla di cibo. Lutezia è l’unica grande capitale planetaria in cui la ristorazione fa parte dell’identità della città, ne costituisce il Dna di base, non un accessorio più o meno lussuoso da sfoggiare. Parigi, semplicemente, è i suoi ristoranti e i suoi caffè. Non c’è nessuna altra metropoli al mondo che vive così in simbiosi con i suoi pubblici esercizi.

Questo quadro è stato duramente messo in discussione. Sei seduto al bar a prendere un drink, arriva un altro avventore, si siede qualche tavolino più in là, ordina alla cameriera e dopo qualche secondo si fa saltare in aria. Sei al ristorante in attesa del tuo piatto, assapori il venerdì sera (la tempistica è simbolica – anche religiosamente - più di quanto non si sia sottolineato in questi giorni), giunge un’auto nera, si ferma, scende un commando di due persone armate di kalashnikov e spara ad alzo zero uccidendo tutti. Sei seduto all’aperto al bistrot, si affianca al marciapiede una Seat, e iniziano le raffiche mortali.

Chi ha il coraggio di andare a mangiare fuori? Chi è disposto a farlo con la spensieratezza di prima? Chi non ha colto la scelta balistica di colpire ogni tipo di ristorazione (etnica, francese, italiana, bar, ristoranti, bistrot) per dare il senso che nessuno può sentirsi al sicuro? Quanto questa atmosfera cambierà il mondo dorato della ristorazione parigina? Quante tavole di qualità potranno resistere alla contrazione dei costumi e alla cattiva disposizione dei clienti a frequentare luoghi di svago?

 

Il teatro degli attacchi

Le Carillon, La Petit Cambodge, A la bonne bière, La Casa Nostra, La belle équipe, Le comptoir Voltaire sono i sei luoghi di ristorazione colpiti dagli attacchi della notte di venerdì scorso. L’entità della strage al Bataclan ha giustamente relegato in posizione secondaria questi episodi, ma l’obbiettivo culturale, prima ancora che tattico, dell’azione terroristica era chiarissimo: colpire il tempo libero, il divertimento, il relax. In tre simboli: lo stadio, il teatro, il ristorante.

Le sei insegne, poi, si trovano tutti nell’east end parigino. Non siamo solo tutt’intorno alla redazione di Charlie Hebdo (a proposito di simbologie e pianificazioni iper studiate), siamo anche – se la guardiamo dal nostro punto di vista – nella mecca della ristorazione giovane e creativa della città. Siamo a due passi dallo Chatomat di Alice di Cagno, dal Dilia di Michele Farnesi, dal Servan. La Belle équipe è sulla stessa strada e a 30 metri di distanza da Septime e da Clamato, i locali di Bertrand Grébaut, e a pochi minuti a piedi dal Capucine, il nuovissimo locale di Stefania Melis, compagna di Simone Tondo. Il Carillon si trova a due isolati dallo Chateaubriand e dal Dauphin di Inaki Aizpitarte e sempre in quest’area, un po’ più a sud, sta per aprire Céros, l’atteso ristorante di Giovanni Passerini. Ci sono insomma tutti i nomi che un appassionato di buona cucina deve frequentare a Parigi.

Professionisti, brigate, giovani di grande talento che rappresentano uno dei picchi della ricerca gastronomica a livello mondiale. Auguriamo a loro di stringere i denti, di resistere e di tornare in un modo o nell’altro a far divertire i loro clienti il prima possibile.

 

a cura di Massimiliano Tonelli

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