Voci dal master. Enzo Vizzari e la critica enogastronomica: “passione, umiltà e curiosità”

7 Dic 2016, 13:30 | a cura di

Il direttore delle guide dell’Espresso, in occasione di una lezione al Gambero Rosso, ha raccontato il suo percorso professionale tra aneddoti e curiosità. Il suo mantra: “il giornalista non deve mai venir meno al patto di fiducia con il lettore”.

1964, Vercelli. Un ragazzo che sta per compiere diciotto anni chiede ai suoi genitori un regalo davvero singolare: non una macchina o un giradischi, ma un pranzo in un ristorante che sta contribuendo a costruire il nuovo volto della cucina italiana. Il ristorante è Cantarelli, in provincia di Parma, e il ragazzo in questione è un giovane Enzo Vizzari, oggi direttore delle guide dell’Espresso. In occasione di una lezione tenuta giovedì 1 dicembre ai ragazzi del master in Giornalismo e Comunicazione d’impresa dell’enogastronomia, Vizzari ha ripercorso la sua passione per il mondo del vino e della cucina, sulle tracce del suo avvicinamento al mondo della ristorazione e la sua crescita professionale come critico e giornalista.

 

Il valore della curiosità

Quando andavo all’università spendevo tutto in ristoranti”, ha raccontato agli allievi del master, “credo che si possa davvero imparare a mangiare e a bere solo mangiando e bevendo”. L’esperienza da Cantarelli fu la prima di una lunghissima serie: “a diciannove anni sono partito da Vercelli con la mia 500 per andare a Genova, tra i carruggi dove Nino Bergese aveva aperto il ristorante La Santa”.

Da Piemonte e Liguria il passo in Francia è breve. “La scoperta di ristoranti e chef francesi mi ha reso un francofilo convinto”, ha sottolineato, “lì è nata la ristorazione e questo non possiamo dimenticarlo”. Un amore decisamente contraccambiato, come dimostra uno degli ultimi progetti a cui Vizzari si è dedicato: ha ideato, per il ristorante Taillevent di Parigi, un menu che ha come protagonista il tartufo bianco d’Alba (non a caso soprannominato “menu Truffe Blanc d’Alba Enzo Vizzari”), che sarà in carta fino a metà dicembre. Fin qui, il direttore delle guide dell’Espresso potrebbe sembrare un uomo troppo affezionato al passato, a una cucina che oggi è affiancata da altri panorami altrettanto interessanti.

In realtà la curiosità di Vizzari non si è fermata tra l’Italia e la Francia, ma lo ha condotto un po’ ovunque: “ho provato il coccodrillo in Australia e le formiche in Danimarca”, ha ricordato nel corso della sua lezione, che però ha preferito definire “una testimonianza”. È proprio la curiosità l’ingrediente che può trasformare un appassionato di cucina in un valido critico: “bisogna essere laici e privi di pregiudizi, aperti e disponibili ad assaggiare tutto con umiltà”, ha spiegato, “senza però dimenticare che il cambiamento non è un valore in sé, ma lo diventa solo quando implica un miglioramento”. Gli chef che vogliono stupire più che appagare il palato dei clienti sono quelli che Vizzari etichetta ironico come “cuochi d’artificio”.

 

La tagliatella postmoderna

Ai cuochi d’artificio, il direttore dell’Espresso ha preferito Massimo Bottura. Non il Bottura che nel 2016 ha visto la sua Osteria Francescana al primo posto della World’s 50 Best Restaurants, ma quello che quindici anni fa l’Osteria Francescana stava per chiuderla dopo un periodo critico. “Era giugno del 2001”, ha raccontato Vizzari agli alunni del master del Gambero Rosso, “ero in macchina diretto a Firenze, dove sarei dovuto arrivare per cena. Bloccato nel traffico in autostrada all’altezza di Modena, mi resi conto che non sarei riuscito a raggiungere Firenze in serata: così chiamai l’Osteria Francescana e prenotai per cena”. Oggi, per mangiare da Bottura sono necessari mesi di attesa. Vizzari, quella sera del 2001, trovò solo altri due clienti nel ristorante. Dopo aver assaggiato i primi piatti, pensò “questo cuoco è eccezionale” e a quel punto prese due decisioni: “licenziai il collaboratore che lavorava da Modena perché non era stato capace di cogliere un talento di quel calibro e scrissi un articolo che cambiò le sorti della Francescana”, ha ricordato il giornalista. Quell’articolo iniziava con la frase “Scusate il ritardo” e fu intitolato “La tagliatella postmoderna”.

 

Faccia da critico

Se un solo testo è capace di modificare il destino di uno chef, in positivo tanto quanto in negativo, il potere dei media non deve indurre il giornalista a nascondere la verità: “quando un ristorante non mi piace è giusto che io lo dica”, ha sottolineato il direttore dell’Espresso, “perché il critico può rispettare il suo patto con il lettore solo assumendosi la responsabilità di raccontare ciò che vede e sente”. Per offrire un servizio ai propri lettori, il critico dovrebbe sempre raccontare l’autenticità dei locali che prova. Ma nel caso di un personaggio noto come Vizzari, al quale ogni chef propone una qualità non sempre garantita a tutti gli altri clienti, è ancora possibile? “So che in tantissime cucine è appesa la mia foto assieme a quelle di altri colleghi”ha concluso il giornalista “quando arrivo mi riconoscono, ma l’importante è non essere aspettati. A me cercano sempre di dare lo scampo di serie A, ma per darmelo devi averlo”.

 

a cura di Agnese Fioretti

prova del Master in Giornalismo e Comunicazione d’impresa dell’enogastronomia del Gambero Rosso

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