Il Mudec, il Casual, la Trattoria e il Glam. Conversazione con Enrico Bartolini

5 Giu 2017, 15:30 | a cura di

4 ristoranti in 4 città diverse, in attesa del quinto. Incontriamo Enrico Bartolini prima di una cena esclusiva a Torino, per parlare di cibo, progetti futuri, di gastronomia italiana nel mondo e di tanto altro.

È stato definito “il collezionista di stelle”. La prima ottenuta a 29 anni, la seconda a 33. Osannato dalle guide, una manciata di Forchette a cascata copre i suoi locali assicurando un rate di alto lignaggio (Tre per il locale Devero, da cui si è spostato lo scorso anno), oggi Enrico Bartolini, toscano di Pescia, classe 1979, è considerato uno degli chef più talentuosi a livello internazionale. È riuscito nel colpaccio di ottenere, in un colpo solo, 4 Stelle in 3 dei suoi 4 ristoranti. E non è un indovinello: 2 al Mudec di Milano, 1 al Casual di Bergamo Alta e 1 alla Trattoria Enrico Bartolini alla Tenuta La Badiola di Castiglione delle Pescaia. A questi si aggiungono il Glam Enrico Bartolini a Palazzo Venart a Venezia, eun quinto in arrivo, all'interno di Fico Eataly World a Bologna. Una manciata di indirizzi con cui Bartolini ha collezionato premi e consensi. E che, siamo sicuri, non ha ancora finito di stupire. Ne sentiremo ancora parlare.

Martedì 6 giugno arriva a Eataly Lingotto per una cena esclusiva nella Sala dei Duecento, un menù con i suoi grandi classici – l’Incontro di alici tra saor e carpione, il Risotto alle rape rosse e salsa di gorgonzola- in abbinamento a vini siculi e piemontesi a confronto.

Lo abbiamo intervistato alla vigilia della tappa torinese.

enrico bartolinni

Un grande chef in una città votata al gusto. Come vede Enrico Bartolini questa presenza a Torino?

È la mia prima uscita con Eataly a Torino, una città che considero una - forse la - capitale italiana del gusto e che ho avuto modo di conoscere, anche grazie agli ospiti torinesi che hanno frequentato il mio ristorante nell’Oltrepò Pavese e sono diventati degli amici. Mi sento vicino anche caratterialmente ai gusti dei torinesi e sono entusiasta di arrivare da Eataly Lingotto che sono stato dei primi a visitare all’apertura. Ricordo che sono uscito con un carrello stracolmo di prodotti, felice di scoprire un nuovo approccio al cibo, condiviso, caloroso.

 

A Torino lei porterà i piatti-icona che hanno resa famosa la sua cucina “contemporary classic”?

È stata etichettata così, ma al di là delle parole è soprattutto l’idea di unire la nostra cucina con la nostra personalità, creare combinazioni di ingredienti per il piacere di tante persone, reinterpretare il nostro vissuto, in una parola definire una nostra identità, fra tradizione e contemporaneità.

 

Una filosofia di cucina che è stata premiata da ben 4 stelle Michelin. Come si guida un “impero stellato”, si è più chef o più manager?

Ho ottenuto 4 stelle tutte insieme e mi hanno detto che non era mai successo. Ne siamo fieri, record e classifiche sono uno stimolo, danno visibilità. Ma il nostro obiettivo è il piacere degli ospiti e noi lavoriamo in squadra per coordinarci e offrire il massimo del piacere a chi viene da noi. La cucina, certo, ma anche un ambiente gradevole, il servizio attento, tutto concorre all’obiettivo.

 

Due stelle sono per il ristorante del Mudec, in un museo… Il cibo è arte?

È piuttosto un modo di comunicare sensazioni emotive forti. Ci sono diversi ambiti che ci comunicano emozioni: l’arte, la musica, l’amicizia e anche la cucina, per me al primo posto. Io amo l’arte, quando ho potuto ho investito nell’acquisto di qualche opera d’arte, c’è arte nei miei ristoranti… ma il mio vero spettacolo è la cucina, naturalmente.

Proprio per il Mudec, i nostri piatti sul sito non sono fotografati, ma disegnati. La fotografia non si mangia, ma il percorso corretto sarebbe proprio leggere, vedere, poi assaggiare. E allora abbiamo preferito una comunicazione più evocativa, che facesse venire voglia di scoprire i contenuti. E i nostri contenuti sono i contadini che oggi per esempio mi hanno portato delle albicocche che sono vere opere d’arte.

 

Un modo anche per prendere le distanze rispetto alla grande mediaticità della comunicazione-food oggi?

Per carattere non amo troppo apparire, mettermi in luce, essere popolare. Sono stato cercato dalla televisione agli inizi, ma poi ho cercato io di non farmi troppo coinvolgere. Ammiro i colleghi che sanno fare bene entrambe le cose, ma sul video siamo attori, in cucina cuochi, ed è quello che voglio essere

 

Cuoco famoso anche all’estero, Emirati, Hong Kong... dove e come sta andando la nostra cucina fuori dall’Italia?

Quando sono all’estero, se possibile faccio un ulteriore bagno di umiltà. Ogni volta che esco dai confini nazionali ho la chiara percezione che la nostra è considerata una cucina etnica e i piatti devono essere semplici e popolari. Dobbiamo proporre cioè i nostri “sex symbol” della cucina: pizza, pasta, burrata, e poi l’ossobuco, il tiramisù. Noi siamo forti e apprezzati all’estero per i nostri prodotti e quello che dovremmo fare è tutelare meglio i nostri valori e – dico una banalità – chiamare parmigiano e non parmesan il nostro formaggio, per evitare che poi arrivino le imitazioni di cui tanto si parla… Anche perché all’estero il business è molto rapido, e il business del cibo evolve in fretta. La nostra sostenibilità dei prodotti all’estero è business. Dovremmo anche essere capaci di attrarre investitori in Italia, ma i nostri costi di gestione sono troppo alti.

 

Questo significa che i progetti futuri sono di investire all’estero?

Sono troppo innamorato dell’Italia, e ora sono, anzi siamo tutti molto concentrati sul progetto di FICO che aprirà in autunno a Bologna. Lì avremo un ristorante piccolo, 40 posti, posizionato al centro della passeggiata, e puntiamo a valorizzare soprattutto i prodotti che nascono all’interno di FICO, e offrire della buona cucina.

E poi consolidare i nostri ristoranti, affinare il sistema di squadra: l’energia di molti unita è un sistema che dà grandi risultati, applicata alla ristorazione. Come dice Farinetti, siamo come una famiglia, tutti fratelli: ogni fratello – quindi ogni nostro ristorante - ha le sue caratteristiche, la sua “biodiversità territoriale” ma tutti puntano a uno stesso obiettivo, il piacere degli ospiti.

 

Lei è molto “in giro per il mondo”, ha spiritosamente raccontato che ormai il cane è l’unico a riconoscerla quando torna a Bergamo… ma a casa Enrico Bartolini cucina? E cosa cucina?

Ho la fortuna di assaggiare cose buone sempre, ma sono assaggi microscopici, giusto per stuzzicare le papille, sto molto attento alla dieta e alla salute. A casa preferisco dedicare tempo alla famiglia, ai miei figli, agli ospiti. Un pesce da mettere in forno, acciughe e culatello, ricette di pasta mediterranea, qualche piatto alla brace sul camino. Cose semplici con buone materie prime.

 

Enrico Bartolini è nato cuoco?

Sono nato bambino con sogni da bambino. Ma mi ha incuriosito presto quello che capitava in cucina, dalla zia. Ho un ricordo molto netto, avevo tre anni, all’asilo: la maestra aveva fatto caramellare dello zucchero e vedere quello zucchero che cambiava colore, ed essere autorizzato a mangiarlo… Una sorpresa e un piacere che non ho mai dimenticato. Come ricordo la prima trota che ho pescato io. Certo tra le passioni di ragazzo, la piscina, il calcio, il pianoforte, la cucina è diventata una presenza forte e mi ci sono applicato subito con impegno. E da allora non ho più smesso.

 

Mudec | Milano  | Via Tortona 56 | tel. 02 84293701 | http://www.enricobartolini.net/i-ristoranti/mudec

Trattoria di Enrico Bartolini | Castiglione della Pescaia (GR) | Tenuta La Badiola | presso L’ANDANA | tel.  0564 944322 | http://www.andana.it/it/l-andana

Casual | Bergamo | via San Vigilio, 1 | tel. . 035 260944 | http://www.enricobartolini.net/i-ristoranti/casual

Glam a Palazzo Venart | Venezia | Santa Croce, 1961 | tel. 041 5233784 | www.palazzovenart.com

 

 

a cura di Rosalba Graglia

foto d'apertura Brambila Serrani

 

 

 

 

 

 
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