Street food dalla Campania. Un viaggio attraverso il cibo da strada meno conosciuto della regione

7 Feb 2018, 11:00 | a cura di

Quarta puntata della nostra rubrica dedicata agli street food meno conosciuti di tutto lo Stivale. รˆ la volta di quelli campani, che scopriamo assieme alla ricetta delle golose graffe.

Ribadirlo puรฒ sembrare scontato, ma si tratta di una veritร  indiscussa: la regina incontrastata della gastronomia campana รจ la pizza, uno dei prodotti maggiormente conosciuti โ€“ e purtroppo โ€œmaltrattatiโ€ - al di fuori dei confini nazionali, grazie al quale a dicembre 2017 lโ€™arte del pizzaiuolo napoletano รจ diventata patrimonio immateriale dellโ€™Unesco. Oltre al classico disco servito al piatto, steso a mano, sottile e con il cornicione rigonfio, in tutto il territorio regionale la parola โ€œpizzaโ€ individua altri interessanti prodotti, alcuni dei quali rientrano nel variegato universo del cibo da strada. Ci sono, in particolare, la versione chiusa a portafoglio e le opzioni fritte, in primis la tipica napoletana con il ripieno di ricotta, cicoli, salsa di pomodoro, provola e pepe. Per iniziare il nostro viaggio attraverso lo street food meno conosciuto della Campania (dopo Sicilia, Toscana e Trentino Alto Adige), andiamo invece alla scoperta delle altre varianti.

 

Pizzatulieddi. Foto di Toni Isabella e Anna Ida Guida

 

La pizza fritta, ma non quella napoletana

Da Calvi Risorta, comune della provincia di Caserta, arriva ad esempio la pizzonta, mentre a contraddistinguere la tradizione di Celle di Bulgheria (nel salernitano) sono i pizzatulieddi. In entrambi i casi โ€“ anche se ovviamente la ricetta puรฒ subire modifiche di casa in casa โ€“ il tratto distintivo delle due pietanze non risiede tanto negli ingredienti che le compongono, ma piuttosto nelle modalitร  di preparazione e consumo. Si parte infatti da un impasto lievitato cotto in olio bollente, che perรฒ (a differenza della piรน celebre pizza fritta napoletana) di solito non viene farcito prima della frittura, ma impreziosito dopo con sale o zucchero. รˆ cosรฌ che le casalinghe, creative interpreti dellโ€™arte di non buttar via nulla, trasformavano gli avanzi in gustose merende. I pizzatulieddi, inoltre, sono spesso accompagnati con salumi e formaggi locali oppure vengono conditi con la salsa di pomodoro.

 

Guanto caleno Guanto caleno. Foto Pro Loco Cales Novi

La tradizione, tutta al femminile, del guanto caleno

Restiamo a Calvi Risorta, ma passiamo al dolce, che qui รจ prima di tutto sinonimo di โ€œguantoโ€, un prodotto diffuso pure in qualche comune limitrofo e spesso protagonista di sagre, ricorrenze e feste patronali. Si tratta di una ciambella a base di farina, zucchero, latte, olio di oliva, lievito (in origine si usava il bicarbonato), scorza di limone e anisetta. Lโ€™impasto viene lasciato riposare per circa mezzโ€™ora, successivamente steso su una tavola di legno e tagliato a strisce con il uantaruolu, il tradizionale strumento caratterizzato da una rotella dentata. La pasta, avvolta a corona, รจ infine fritta in olio bollente. Il fascino di questa ricetta risiede soprattutto nel fatto che, ancora oggi, sono principalmente le donne del paese a realizzarla: custodi di segreti e tecniche necessari per dar vita al miglior guanto caleno, nelle varie occasioni si riuniscono e mettono in pratica la loro maestria.

 

Le origini e la variante di Falciano del Massico

Per quanto riguarda lโ€™origine del nome, la leggende vuole che il guanto caleno sia nato perchรฉ, nel 1776, il barone Luigi Zona e suo fratello Muzio donarono la cappella patrizia - diventata poi la chiesa di San Nicola - al paese di Zuni (frazione di Calvi Risorta). A quel punto, per festeggiare, una signora intenta a preparare i dolci, dopo aver tagliato lโ€™impasto a strisce e aver avvolto una di queste attorno alla sua mano, esclamรฒ โ€œmโ€™ parโ€™ propriu nu uantuโ€, ossia โ€œmi sembra proprio un guantoโ€.

Spostandoci a Falciano del Massico, sempre nel casertano, la situazione non cambia: sono le guantarea impastare con abilitร , dare al dolce la sua peculiare forma e friggerlo nei tempi giusti. Rispetto al guanto di Calvi Risorta, questโ€™ultimo รจ perรฒ piรน simile alle frappe o chiacchiere (in ogni zona dโ€™Italia si usano appellativi diversi), dotato di una sfoglia fragrante e scioglievole al palato, che viene chiusa a moโ€™ di rosone.

Paddoccole

Paddoccole. Foto di Toni Isabella e Anna Ida Guida

 

Street food dal Cilento

Torniamo a Celle di Bulgheria, perchรฉ tra gli street food da scoprire in questo angolo di Cilento non ci sono solo i pizzatulieddi, ma anche paddoccole e ruspitieddi. Le prime sono delle polpette (di solito dalla forma piรน allungata) di patate lesse, uova e formaggio di capra, impanate e fritte; le seconde, invece, sono delle frittelle di pasta lievitata: lโ€™impasto a base di farina e lievito deve risultare morbido, va versato a cucchiaiate nellโ€™olio bollente e tendenzialmente รจ arricchito dalla presenza di fiori di zucca o alici. โ€œI ruspitieddi sono in realtร  diffusi in tutto il territorio cilentano, dove le alici sono altresรฌ protagoniste del classico cuoppo(il cono di carta oleata che accoglie i fritti, ndr)โ€, sottolinea Toni Isabella, collaboratore dellโ€™ultima edizione di โ€˜A Cillisi, la tre giorni organizzata a Celle di Bulgheria ad agosto e dedicata proprio al recupero dei sapori della cucina cellese, โ€œun tempo ci si riforniva dai pescatori e, date le limitate possibilitร  economiche, il cuoppo era riempito principalmente con le alici; oggi รจ sempre piรน comune trovarci la frittura mista, ad esempio con gamberi e calamariโ€.

Che ci metto nel cuoppo?

Nel capoluogo regionale lo scenario era molto simile, come testimonia la descrizione fatta dalla scrittrice e giornalista Matilde Serao nella sua opera โ€œIl ventre di Napoliโ€: โ€œcon un soldo, la scelta รจ abbastanza varia, pel pranzo del popolo napoletano. Dal friggitore si ha un cartoccetto di pesciolini che si chiamano fragagliae che sono il fondo del paniere dei pescivendoliโ€. Ebasta fare una passeggiata tra le strade di Napoli per rendersi conto di quanto il cuoppo sia rimasto protagonista del cibo da strada partenopeo, riempito e ideato ad hoc a seconda delle richieste del cliente. Ci sono perรฒ dei pezzi canonici, che sul bancone delle friggitorie non possono mancare, come ci hanno raccontato dalla friggitoria Vomero, locale segnalato nella guida Street Food 2017 del Gambero Rosso: โ€œla nostra offerta comprende, ad esempio, le zeppole, caratterizzate da un impasto a base di acqua, farina, lievito e sale, che viene lasciato lievitare e infine fritto, oltre ad arancini di riso, verdure pastellate che variano secondo stagione come melanzane e fiori di zucca (in dialetto sciurilli, ndr), scagliozzi, ossia triangoli di polenta; e poi frittatine di maccheroni e crocchรจ:queste ultime sono crocchette fritte di patate dette pure panzarotti, disponibili in due formati (quelle piรน grandi custodiscono un cuore di formaggio)โ€.

 

Graffe. Foto: pasticceria Capriccio

Il dolce nato dopo lโ€™arrivo degli Asburgo: storia e leggenda delle graffe

In quanto contenitore perfetto del ricco ventaglio di prelibatezze da passeggio, il cuoppo non poteva che essere declinato anche in versione dolce: in questo caso, accoglie di frequente le graffette, formato mignon di un altro grande classico dello street food napoletano. Stiamo appunto parlando della graffa, una sorta di ciambella fritta che la tradizione vuole chiusa a forma di nodo e caratterizzata dalla presenza di patate nellโ€™impasto (oggi, perรฒ, cโ€™รจ pure chi non le utilizza); sotto trovate la ricetta fornitaci dalla pasticceria Capriccio, indirizzo recensito dalla nostra guida Pasticceri&Pasticcerie 2018, aperto nel 1917 e dove, con la stessa pasta delle graffe, si preparano pure golosi cannoli farciti con la crema pasticcera.

Sulle origini di questa preparazione non ci sono informazioni certe, ma tendenzialmente si fanno risalire al XVIII secolo, quando - a seguito della firma del trattato di Utrecht nel 1713 - il Regno di Napoli finรฌ sotto il dominio di Carlo dโ€™Asburgo. Le graffe sarebbero dunque il frutto di una reinterpretazione del krapfen(la parola stessa va a supporto di questa tesi). A livello etimologico, infatti, cโ€™รจ chi afferma che i due termini derivino dal longobardo krapfo, ossia uncino, altrimenti una seconda ipotesi li collega al cognome della pasticcera che, nel 1683 a Vienna, pare abbia realizzato per la prima volta i krapfen, Cรคcilie - secondo altre fonti, Veronica โ€“ Krapf.

 

Frattaglie โ€œda passeggioโ€, โ€˜o pere e โ€˜o musso

Torniamo al salato, ma sempre in formato cuoppo: la tradizione vuole che, proprio al suo interno, venga servito โ€˜o pere e โ€˜o musso(letteralmente, il piede e il muso), una pietanza a base di frattaglie che a Napoli - ma non solo - sono stati i carnacuttari a diffondere, ossia i venditori di trippa e carni cotte. โ€œOriginariamente si utilizzavano piede e musetto del vitello, ma poi il primo รจ stato sempre piรน frequentemente sostituito con quello del maialeโ€, precisa Francesco Leone del locale โ€˜O Muss Francesco a San Valentino Torio (in provincia di Salerno), segnalato dalla guida Street Food 2017, โ€œoltre a queste due parti, si impiegano tanti altri scarti di macellazione, come lingua, centopelle, intestino: il tutto, dopo esser stato accuratamente pulito, viene bollito, tagliato a pezzetti e condito con sale e limone, oppure si aggiungono olive, lupini, finocchi, sottaceti e peperoncino per la versione a insalataโ€.

 

La storia del cibo da strada napoletano, tra brodo di polpo e taralli

I carnacuttari sono solo una delle tante figure che animavano il variopinto universo dello street food partenopeo, che fa della Campania una di quelle regioni in cui lโ€™abitudine di acquistare e consumare in strada vere e proprie pietanze รจ da sempre radicata nella tradizione popolare (reggono bene il confronto i mercati siciliani). Negli anni, complici il cambiamento delle abitudini collettive e โ€“ancor di piรน - lโ€™introduzione di nuove norme, alcune categorie di venditori ambulanti sono quasi o del tutto scomparse.

Un tempo, a riscaldare gli inverni napoletani cโ€™erano pure i pentoloni fumanti di brodo di polpo (in dialetto โ€˜o bror โ€˜e purp) che profumavano i vicoli della cittร , anche questi descritti nellโ€™opera โ€œIl ventre di Napoliโ€ di Matilde Serao: โ€œcon due soldi si compera un pezzo di polipo bollito nellโ€™acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignattaโ€. Oggi, specialmente in qualche trattoria, รจ ancora possibile trovare la classica tazza riempita di brodo caldo e ranfetella, ossia il tentacolo.

E poi cโ€™erano i tarallari, perchรฉ โ€“ a dispetto dellโ€™opinione comune โ€“ i taralli non sono solo un prodotto pugliese, dato che la gastronomia campana ne annovera vari tipi, le cui caratteristiche cambiano da zona a zona: a Napoli, in particolare, sono caratterizzati dallโ€™accoppiata nzogna(sugna) e pepe e dalla presenza delle mandorle. Se prima erano numerosi i carretti da cui poterli acquistare, oggi ci si reca invece in chioschi o panetterie.

 

Freselle Freselle. Foto Antica Freselleria

E ancora, freselle e maruzze

Da non dimenticare, nemmeno, i fresellari e i maruzzari (rispettivamente venditori di freselle, una sorta di pane biscottato che puรฒ avere la forma di una ciambella o di un crostino, e di maruzze, vale a dire le lumache di terra, ma in realtร  anche di quelle di mare e altri molluschi), due figure apparentemente lontane che invece la tradizione ha unito. โ€œCome esercenti ambulanti in strada sono scomparsiโ€, ricorda Antonio Di Paolo dellโ€™Antica Freselleria di Napoli, unโ€™attivitร  familiare che si dedica a produzione e vendita di freselle da sette generazioni, โ€œma prima andavano a braccetto perchรฉ la tipica zuppa di maruzze si mangiava โ€“ e nei ristoranti si mangia tuttโ€™oggi - accompagnata proprio dalle freselleโ€. Lโ€™origine di questo piatto caldo si fa risalire alla passione di Ferdinando I di Borbone per le cozze: un frate domenicano gli suggerรฌ di non assecondare i suoi peccati di gola in occasione della settimana santa ed egli decise di seguire il consiglio. Non riuscendo perรฒ a rinunciare ai molluschi, Ferdinando chiese al cuoco di corte di renderli protagonisti di una ricetta piรน grama e nacque cosรฌ la zuppa di cozze. Essendo queste ultime molto costose, il popolo fece propria la ricetta ma dovette sostituire lโ€™ingrediente principe con le lumache di terra.

 

Il panino di Napoli: il pagnottiello

Concludiamo questo viaggio restando nel capoluogo regionale, che puรฒ vantare un suo rustico caratteristico: il pagnottiello. Lo si prepara con un impasto simile a quello del casatiello, che viene farcito con salumi, formaggi e uovo sodo (ma รจ facile trovarne anche altre varianti), arrotolato su se stesso e tagliato a rondelle dalla forma piรน o meno allungata, che infine vengono cotte al forno. Un prodotto nato dalla fantasia delle massaie e dalla necessitร  di riciclare gli avanzi, diventato poi un appetitoso spezza-fame da gustare tutto lโ€™anno e a qualsiasi ora del giorno.

 

La ricetta delle graffe della pasticceria Capriccio

 

Ingredienti per lโ€™impasto

250 g di farina 0

250 g di farina 00

10 g di sale

10 g di zucchero

50 g di burro

1 uovo

100-200 g di acqua a temperatura ambiente

10 g di lievito di birra

Succo di limone q.b.

Aroma di vaniglia q.b.

 

Per friggere

Olio di semi q.b.

 

Unire le farine, sale, zucchero, lievito e burro; aggiungere gli altri ingredienti (lโ€™acqua gradualmente), impastare fino a ottenere un composto omogeneo ed elastico. Lasciar riposare per circa 10 minuti, stendere lโ€™impasto e ottenere con uno stampo delle ciambelle, che devono poi lievitare per altri 10 minuti.

Friggere in olio bollente fino a quando le graffe non risultano dorate e rigonfie. Dopo aver lasciato scolare lโ€™olio in eccesso, immergere subito le graffe nello zucchero semolato.

 

Friggitoria Vomero โ€“ Napoli โ€“ via D. Cimarosa, 44 โ€“ 0815783130 www.facebook.com/friggitoria.vomero/

Capriccio Pasticceria โ€“ Napoli โ€“ via Carbonara, 39 โ€“ 081440579 - www.facebook.com/capriccio1917/

โ€˜O Muss Francesco โ€“ San Valentino Torio โ€“ via Zeccagnuolo, 3 โ€“ 3382580501

Antica Freselleria โ€“ Napoli โ€“ via Santโ€™Antonio Abate, 116 โ€“ 081200176 - www.facebook.com/antica-freselleria-298706920170106/

 

 

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