LSDM 2016 Report. Prima giornata: Crippa, Klugmann, Colagreco

19 Apr 2016, 10:30 | a cura di

Strizzata, compressa, emulsionata, frullata. Ma anche integra, semplicemente polo di attrazione di ingredienti, tradizioni di luoghi ed epoche diverse. Primo giorno da protagonista per la mozzarella. 


Contaminazione di luoghi

Il tema della contaminazione tra culture differenti è forse quello che, leggendo gli intenti della nona edizione de LSDM, ci si aspettava venisse affrontato di più. Eppure non se ne è parlato molto. O, se se ne è parlato, lo si è fatto in maniera defilata. Ci sono stati però due chef che lo hanno centrato: da una parte Enrico Crippa (Piazza Duomo – Alba) con il Tacos farcito con battuta di Fassona con crema di mozzarella e aromi, dall'altra Gert De Mangeleer (Hertog Jan – Zedelgem, Belgio) con Sfere di mozzarella, cocomero marinato e caviale. Nel primo c'è una contaminazione da parte di uno dei simboli culinari del Messico. Usando però ingredienti italiani e locali. Il tacos è infatti preparato con salsa di pomodoro, tanta cipolla e aglio. Il tutto frullato, passato, steso sul SiliKomart(sorta di foglio di silicone) e messo in forno, prima a 45 e poi a 180° C, per dare croccantezza. Una volta modellato come un tacos, viene farcito con: battuta di fassona piemontese condita con sale, olio di peperone di Senise e polline di finocchietto selvatico, crema di latticino ottenuto inglobando cubetti di mozzarella nella mozzarella frullata, olive taggiasche essiccate e ciuffi di basilico nano. Più italiano di così, questo piatto, non poteva essere, eppure Crippa l'ha chiamato tacos. Quando rappresentare un luogo significa, prima di tutto, essere aperti ad altri luoghi.

Stessa filosofia, di apertura verso altri luoghi e ingredienti, per il giovane belga Gert De Mangeleer, che si differenzia dalla maggior parte degli chef fiamminghi, che seguono il filone Renè Redzepi più orientato verso erbe e ingredienti locali. Gert in carta ha invece piatti preparati (anche) con la mozzarella. Uno di questi è ripreso (con la variante dell'anguria al posto del melone) da Sfere di mozzarella, cocomero marinato e caviale. Le prime le ha preparate lavorando l'acqua di governo con la mozzarella fino a ottenere una crema alla quale aggiunge panna acida. Questa viene prima congelata, in appositi stampi, poi bagnata con la gelatina. Le piccole sfere di cocomero vengono invece marinate nel dashi, il brodo di pesce giapponese. A queste sfere lo chef ha aggiunto dei coni di rapa riempiti di caviale. Come dire: aprirsi al mondo senza dimenticare gli ingredienti locali.

 

Gert De Mangeleer, Mozzarella, cocomero, caviale

Contaminazione di tempi

Un viaggio attraverso i confini temporali ci porta direttamente al decennio più rinnegato della gastronomia nostrana, quello che ha visto epiche storpiature gastronomiche, ma anche i primi tentativi concreti di rinnovare le abitudini culinarie degli italiani. A partire dall'opulenza, oggi quasi colpevole, di certe creme. Negli anni '80 era così: la partita si giocava nella testura setosa delle salse e negli abbinamenti (allora) inediti che inventavano nuove mode alimentari. E a sorpresa eccoli di nuovo, quegli anni, nel gioco ponderato di Luigi Taglienti che punta tutto sul kitsch delle famigerate paste dell'epoca, al salmone, al salmone e radicchio e alla vodka, con l'immancabile panna a dare sostegno, unite insieme senza indecisioni: il ruolo di protagonista va alla salsa, classica olandese, ricca e morbida, rinnovata dal twist dell'arancia sanguigna, con l'agrumato (quasi un marchio di fabbrica dello chef) a sfidarne la grassezza. Pasta vodka e salmone, dunque, con le calle dei campi, passate nella vodka, sostituiscono le pennette, mentre l'acqua di stroncatura della mozzarella diventa la marinata per il salmone tagliato spesso, a dare pienezza al morso. E la tecnica, di stampo classico, è la chiave di volta di un melting pot tra cucina d'autore e proposte popolari, che rinnova un cliché di pochi anni fa. Altro giro altro primo storico: il risotto alle fragole, che, nella sensibilità di Antonia Klugmann (L'Argine a Vencò - Dolegna del Collio, zona di confine che vive di contaminazioni) si trasforma in una pasta con le fragole e il pomodoro che gioca con gli aromi nascosti dei prodotti della terra: dolce, amaro, acido. “Bisogna ascoltare le verdure” dice soave la Klugmann, a intendere che dietro il primo sapore, quello più evidente, c'è un'incredibile varietà di sfumature. Il segreto è tutto nel succo stabile ottenuto con un estrattore a caldo, regalo di Piergiorgio Parini. Quello delle fragole, aggiunto a una salsa di pomodoro in cottura e completato da cipolla e fiori di aglio orsino. Il risultato è un piatto fresco, acidulo, leggero, forse da registrare ancora di qualche millesimo, ma il piatto è lì: un ritorno al futuro.

Non contaminare la sacralità della mozzarella

Ha aperto la nona edizione delle LSDM, Matteo Baronetto (Ristorante Del Cambio – Torino) con un piatto dove la mozzarella rimane tale e quale, accompagnata da un'animella di vitello. Quasi a sostenere la sacralità di un prodotto intoccabile e a ribadirne la superiorità su un ingrediente povero come la ghiandola animale. Eppure forse l'intento è esattamente l'opposto: desacralizzare la mozzarella e innalzare l'animella attraverso una similitudine di consistenze. “La consistenza dell'animella si avvicina molto a quella della mozzarella”. Soprattutto dopo la lavorazione di Baronetto: “La ghiandola viene spurgata, privata della pellicina e fatta bollire per dieci minuti, proprio per arrivare a una consistenza che ricorda quella della mozzarella. Poi la si affumica col carbone vegetale per dare l'idea di una mozzarella affumicata”. Il piatto si va a comporre alternando il carpaccio di animella con fette di mozzarella tagliate più spesse con gocce di olio di sesamo ad accentuare la nota tostata. Alla fine la protagonista è pur sempre lei.

Altro modo di intendere la sacralità per Davide Oldani (D'O – Cornaredo) che a giugno aprirà il suo nuovo D'O proprio nella piazzetta a fianco al vecchio locale, dove i tavoli e le sedie sono state progettate dallo chef stesso con la collaborazione del famoso artigiano Maurizio Riva. Per Oldani il latticino è un prodotto così importante che non se la sente nemmeno di tagliarla. Allora la strappa, per non perdere il latte contenuto all'interno. Così ha fatto per preparare Mozzarella a piedi, piattocomposto da biscotto di pomodoro, olive nere essiccate, salsa di pane, basilico e rafano, sfere di aceto di lampone, uva di mare, spuma di mozzarella, mozzarella (strappata con le mani) e zampe di gallina (bollite, ripulite dagli ossi, ribollite e leggermente fritte). A detta dello chef: “Un piatto pop pensato appunto per mettere d'accordo tutti i palati attraverso l'equilibrio dei contrasti”. Senza dimenticare l'altro suo cavallo di battaglia, ovvero la leggerezza. Ottenuta, in questo piatto, grazie alla nota acida dell'aceto di lampone “che aiuta anche nella digestione”.

Sempre mozzarella, così come mamma l'ha fatta, sempre note acide, per la bravissima Antonia Klugmann (L'Argine a Venco – Dolegna del Collio) che sul palco ha portato Agrumi e mozzarella. Un piatto elegante in cui convivono armoniosamente la mozzarella, una finta maionese senza grassi, il latte della mozzarella infuso in erbe perenni, il limone candito, lo sciroppo di arancia e l'arancio arrostito in forno. A completare il tutto, le tanto a lei care foglie di camomilla.

Cresce la Calabria con Luca Abruzzino (Antonio Abruzzino alta cucina locale - Catanzaro) protagonista di un trittico teso e molto interessante che dà voce alla contaminazione tra la mozzarella e i prodotti della sua terra, a loro volta frutto di incontri di civiltà diverse. A partire dall'Antipastofreddo, intenso, elegante, identitario, con quel prodotto simbolo della regione, la 'nduja, che compare nell'altrettanto tipica ampanata (preparata frullando siero di ricotta caldo e pane, stavolta con 'nduja), la base di crema di frutti di mare (realizzata con cozze, cicale di mare, teste di gamberi e ricci, emulsionati con latte di mandorla), uno spicchio di mozzarella di bufala lasciata integra e poi mandarini cinesi, fiori di nasturzio ed erbe amare. A completare un piatto deciso ma non greve.

Fresco, moderno, dinamico: è così il piatto di Emanuele Scarello (Agli Amici – Udine). Un antipasto che richiama alla memoria un Minestrone primaverile, e punta sull'equilibrio sottile di acidità, testure e aromi vegetali. La base è quella della mela verde centrifugata, il frutto torna poi in piccoli bocconi da alternare a pezzetti di mozzarella di bufala lasciati asciugare per ottenere una consistenza tenace e quasi friabile. Insieme olive del Carso intere e in frullato e unite a una crema di melanzane per trovare una consistenza setosa, una crema di basilico, extravergine di oliva e patata. Un ideale inizio di pasto che lascia il palato pulito e pronto al pasto “mi piace perché non condiziona l'ospite nella scelta dei piatti successivi, sia che scelga carne o pesce”.

Contaminazioni, separazioni e trasformazioni

Anche Mauro Colagreco (Mirazur – Mentone) si trova in difficoltà quando si parla di mozzarella: “Per me rappresenta da sola un piatto, quindi comporne uno con questo ingrediente non è semplice. O per lo meno non è semplice valorizzarla”. La svolta di Colagreco è stata di scomporla nei suoi vari addendi, cuocendo la mozzarella nel suo stesso liquido di governo (senza superare i 35° C altrimenti la proteina coagula e non sprigiona il latte) e recuperando così il suo latte per farne una zuppa. In questa zuppa, lo chef argentino inserisce dei ravioli di barbabietole bianche farciti con il grasso che si è separato dalla mozzarella, maggiorana e grano saraceno, un uovo di quaglia cotto a bassa temperatura e semi di basilico.

Un'altra proposta relativa alla pasta è quella di Riccardo Monco Alessandro Della Tommasina (Enoteca Pinchiorri – Firenze) che sul palco hanno preparato iPici di pane con le vongole. Dove i pici sono preparati con un impasto di acqua, farina e lievito madre di quasi 6 anni. Qui la mozzarella entra in gioco solo alla fine, grattugiata direttamente sul piatto, grazie alla sua consistenza solida dovuta, prima a un bagno di acqua termale di pomodoro, spinaci, aglio e rosmarino, e poi a uno shock termico.

Luca Abruzzino racconta del cambio di passo di un ristorante che si lascia alle spalle, felice, numeri più alti per una cucina più elaborata e una clientela più selezionata. E nel passaggio di questa Calabria che sta finalmente trovando la sua identità gastronomica ci sono piatti che abbandonano preparazioni classiche ma poco caratterizzanti pur richiamandole nell'aspetto. È il caso degli Spaghetti al nero di sesamo, col riferimento linguistico ed estetico al nero di seppia. Colatura di alici, uvetta, cipolla di Tropea, sesamo tostato e una crema di mozzarella affumicata che rafforza i sentori tostati. A rinfrescare il tutto lo zenzero fresco. Un piatto che si apre a suggestioni diverse ma non perde il contatto con la realtà. È il Sud, con le sue molte storie, al centro di tutto. Strizzata, sbriciolata, compressa e compattata a formare due sfoglie di latticino, la mozzarella per Emauele Scarello è la base per una sorta di Millefoglie con i frutti di mare cotti (anche le ostriche pastorizzate perché, dice: “prima di fare un piatto buono abbiamo l'obbligo di fare un piatto sano”), profumati di menta, cipollotto fresco limone ed emulsione del latte della mozzarella uscito strizzando il latticino.

Contaminare l'intoccabile

Ci sono cose che non sono in discussione, sono quelle che riguardano gli affetti più intimi, la famiglia, la squadra del cuore, la pasta. O almeno così pareva, perché – passate le prime ribellioni e i reclami di lesa maestà - da qualche tempo perfino in Italia è lecito sperimentare sulla pastasciutta. E non più, soltanto, nei condimenti, ma anche nelle tecniche di cottura. Prese a prestito, magari, da altri ingredienti e consuetudini, è un viaggio dentro se stessi e i propri confini. E poco importa se non sempre i risultati sono all'altezza delle riflessioni. Staccarsi da un punto fermo richiede coraggio e tentativi, esperimenti da ripetere e ricette da mettere a punto. E per indagare a fondo le potenzialità di questo prodotto iconico servirà del tempo, perché non sia solo più versatile per i molti condimenti da usare, nei primi anni '10 la pasta è anche (finalmente?) un ingrediente che apre molte strade di utilizzo. Lo dimostra Matteo Baronetto, che prende a prestito un piatto semplice e confortante come la Pasta burro e parmigiano, dolce, morbida e avvolgente, per provare una vasocottura. La pasta, idratata in acqua per due ore e poi asciugata, viene messa in barattolo, immersa nel burro chiarificato e cotta a vapore per 15 minuti, poi condita con cialdine di parmigiano grattugiato e poi compresso tra le dita. Gli spaghetti, assorbito il burro necessario, si trasformano in lunghi fili traslucidi e quasi trasparenti. Il sapore del burro è intenso, persistente e lunghissimo, restituisce il caldo abbraccio del latticino. Altro giro altra pasta: stavolta è quella di Saverio Sbaragli (Il lago – Ginevra) che la trasforma in finger food lavorandola di volta in volta in modo diverso, sublimandone l'identità per guardarla con occhi rinnovati. Le Candele soffiate, con crema di melanzana bruciata e crema di mozzarella e basilico, sono un croccante snack dal sapore mediterraneo, le trofie ridotte in piccoli pezzi poi scottati e risottati diventano la base per un arancinogoloso e dai sapori familiari. I mezzi paccheri cotti in una soluzione di metodo classico e acqua di cozze e ripieni di mozzarella frullata con caviale di storione bianco ed erba ostrica sono un boccone ricco, iodato, aromatico, con il pomodoro verde centrifugato e tritato a giocare a rimpiattino con il richiamo marino. Cottura per osmosi conclusa in boule con acqua e ghiaccio per Luigi Taglienti, a completare la Pasta con torzella e panna di bufala semimontata con le acciughe, un piatto dal tono vegetale profondissimo.
 

Luca Abbruzzino, Gelato con stroncatura e mozzarella

 

Ovviamente durante gli interventi si è parlato anche di altri prodotti, come yogurt, ricotta e panna. Declinati il più delle volte nelle preparazioni dolci. Pensiamo ai dessert presentati da Gert De Mangeleer, Enrico Crippa o Luca Abbruzzino ( suo il Gelato con stroncatura, mozzarella tritata, cedro, bergamotto, crumble di biscotto con farina bruciata in foto. Anche se non è mancata la proposta salata di Colagreco con Asparagi verdi e viola e yogurt di bufala. In tutti casi il minimo comun denominatore è la presenza degli agrumi (canditi, sotto forma di meringa oppure di brunoise).

 

LSDM | Paestum (SA) | Savoy Beach Hotel | il 18 e 19 aprile | www.lsdm.it

 

a cura di Antonella De Santis a Annalisa Zordan

Il report della prima giornata

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