La grande reunion al Trigabolo: una sera d'estate nel mito della cucina italiana

12 Mag 2023, 12:12 | a cura di
Venerdì 23 giugno sarà una serata da non dimenticare a Cesenatico, presso il Grand Hotel Da Vinci. Il Trigabolo di Argenta torna a splendere per una cena di beneficenza realizzata dalla storica brigata.

A 40 anni dalla nascita e a 30 dalla chiusura, per una sera rivive Il Trigabolo di Argenta, il ristorante ferrarese che per un decennio fu il faro della cucina italiana di ricerca. La cena, organizzata per sostenere l’Istituto Oncologico Romagnolo, sarà realizzata dalla storica brigata. Menu composto da 4 portate, i piatti più rappresentativi e rivoluzionari della band di Argenta: crème caramel di cipolla, salsa al fegato grasso d’oca, zenzero e coriandolo; medaglie di faraona, zabaione di parmigiano Malandrone e culatello croccante di Brozzi; germano reale, ripieno d’anguilla con salsa peperata e rosolaccio al vapore; bigné fritti caramellati in salsa di agrumi. Attesi 400 ospiti. 200 euro il costo a persona, che verrà devoluto in beneficienza allo Ior.

Brigata del Trigabolo in un momento di pausa

Cosa ha rappresentato Il Trigabolo di Argenta per la cucina italiana

Il Trigabolo di Argenta è stato il ristorante che negli anni ’80 ha rivoluzionato la cucina italiana con la forza prorompente dei suoi, all’epoca, giovanissimi protagonisti. Si trovava nella piazza principale di Argenta, un paese di poche anime nelle umide valli ferraresi, luogo di nebbie da tagliare con il coltello in inverno, di zanzare come elicotteri in estate, ma anche di un paesaggio acquatico ricco di cacciagione, presenza costante nel menu del Trigabolo: il territorio è sempre stato un must del locale, fin dalla prima ora. La sua storia è durata 10 anni, dal 1983 al 1993. Un astro luminosissimo e relativamente breve della ristorazione italiana, figlio dei tempi e di un gruppo scatenato di giovani con una passione per la cucina e per la vita. Una banda rock, come scrisse Stefano Bonilli: definizione più azzeccata non si poteva trovare. I piatti erano in rotazione 45, cambiavano quasi tutti i giorni ed erano una sintesi di creatività, follia, talento, grandi materie prime, una giostra pirotecnica di portate innovative che sono entrate nella leggenda. Ai suoi 8 tavoli, per un totale di 32 coperti, si sono seduti artisti, politici, campioni dello sport, vip internazionali. Ha conquistato tutti i premi conquistabili, i massimi punteggi nelle guide gastronomiche. Qui sono nati artisti dei fornelli che hanno conquistato fama internazionale.

Intervista a Igles Corelli, leader della brigata

Lo storico locale di Argenta chiude improvvisamente nel 1993, dopo appena 10 anni di vita. Poco, a pensarci. “Quanto basta” sorride Igles Corelli, che della rock band di giovani cuochi è stato il leader. Fu lui, nel giugno del 1983, il primo a mettere piede nella cucina di quello che dal 1979, in attesa della licenza come ristorante, era una pizzeria rilevata da Giacinto Rossetti, titolare di un negozio di giocattoli, e dai soci Gualtiero Musacchi e Luigi Basigli, torrefattore. Nella cena della Reunion farà parte della brigata di cucina insieme a Bruno Barbieri, Mauro Gualandi, Marcello Leone, Pierluigi Di Diego, Elga Cavallini, Sandro Trioschi, Italo Bassi, mentre in sala ci saranno Giacinto Rossetti, Bruno Biolcati, Flavio Errani e Marco Merighi. Abbiamo intervistato Igles, dal 2018 coordinatore del Comitato Scientifico di Gambero Rosso Academy, per farci raccontare storie, aneddoti e curiosità legati al Trigabolo. Ne è venuto fuori un affettuoso amarcord di fatti, zingarate e racconti di “caccia e pesca” di un momento irripetibile della nostra storia gastronomica.

Com’era composta la squadra del Trigabolo?

In cucina all’inizio c’eravamo io e la sfoglina Gianna Maccarini, l’anno successivo sono arrivati l’amico Bruno Barbieri, con il quale avevo lavorato nelle navi da crociera, Mauro Gualandi, pasticciere, Marcello Leoni, Italo Bassi, poi a seguire Marco Ghezzi, Sandro Trioschi, Pierluigi Di Diego, Vincenzo Morgia, Elga Cavallini, che sostituì la Gianna. In sala nel 1983 c’erano Rossetti e Bruno Biolcati, all’epoca studente, in seguito Marco Merighi, Bruno Biolcati e Flavio Errani. Molti saranno nella brigata della Reunion Trigabolo il 23 giugno prossimo.

Ricordi i piatti del primo giorno?

Sicuramente il crème caramel di cipolla, salsa al fegato grasso d’oca, zenzero, coriandolo e porri fritti, che riproporremo nel menu del 23. Nei primi anni ’80 lo presentai a un concorso a Sermide dedicato alla cipolla locale. C’erano strutture gastronomiche pazzesche, carri allegorici mangerecci pieni di ogni ben di Dio. Io arrivai con il mio budinetto alla cipolla appena fatto dentro un semplice piatto Ginori. Il maître mi dice: “lei, giovanotto, che ci fa qui in mezzo a queste sculture coreografiche”, e io: “a me sembrano un po’ kitsch, le ho già viste quando lavoravo nelle cucine delle navi, cose vecchie, dejavù, il mio piatto invece è roba fresca”. Il mio crème caramel di cipolla, nonostante fosse stato penalizzato perché abbinato a un Sauternes invece che a un vino italiano, e gli fossero stati tolti 10 punti, ricevette un punteggio talmente alto da vincere ugualmente il concorso. Il piatto giusto al momento giusto. Da lì abbiamo capito che c’erano le potenzialità di un cambiamento della cucina.

Bigné fritti caramellati in salsa di agrumi

Trigabolo figlio dei tempi dunque

Il Trigabolo nasce e raggiunge il suo apice in anni di grande cambiamento politico. I locali di cucina innovativa gourmet in Italia si contavano quasi sulle dita di una mano: Marchesi, Paracucchi, Vissani, San Domenico di Imola, Cantarelli, Pinchiorri. Se volevi farti l’esperienza gastronomica, ti bastava un weekend. L’amico Vissani era come noi, genio e sregolatezza. Marchesi faceva cucina francese, e anche Pinchiorri guardava Oltralpe. Da Cantarelli grande materia prima ma era un ristorante di tradizione. Paracucchi era già un veterano della ristorazione. Il San Domenico era il nostro antagonista, lo chef Valentino Marcattilii un competitor, anche se l’indirizzo di cucina era filofrancese. Noi invece avevamo il territorio e la creatività della giovinezza. Giacinto ricercava le materie prime in tutta Italia, portava a casa cose incredibili. E la cucina era espressa, tutto veniva fatto al momento della comanda. Perché non avevamo voglia di lavorare (ride). Andavamo in cucina alle 11.30 e non avevamo nulla di pronto se non il ripieno delle paste fresche. L’immediatezza paga: tagliare una zucchina o fare un raviolo lì per lì e subito cuocerlo fanno la differenza, sono molto più buoni! E avevamo attrezzature innovative, all’avanguardia: pacojet, abbattitore, sottovuoto con gas alimentari, cutter sottovuoto, piastra a induzione, forno a vapore compresso. Neanche oggi i ristoranti hanno questa roba qui.

Quanto costava mangiare al Trigabolo?

Per 3 piatti più il dolce all’inizio si spendevano 50.000 lire, altrove 20.000 lire. Quando abbiamo chiuso alla fine del 1993 il menu era arrivato a 153.000 lire.

All’inizio come è stato accolto il locale?

Il primo anno facevamo 5 coperti a settimana. Guadagnavamo pochissimo. Chi veniva ad Argenta nelle umide valli ferraresi. In mezzo quasi al nulla?

Quando ha cominciato ad avere successo?

Nel 1984, quando è arrivato Luigi Veronelli, che all’epoca aveva una rubrica dei ristoranti di campagna: ci diede il massimo del punteggio, 3D. Subito dopo sono venuti altri critici gastronomici: Federico Umberto D’Amato, Giuseppe Mantovano, Stefano Bonilli. Da quell’anno c’è stata la svolta.

Qual era il vostro pubblico?

Professionisti, industriali, politici, sportivi, artisti, pittori, attori, chef, che volevano fare l’esperienza gastronomica.

Vittorio Sgarbi al Trigabolo

Clienti famosi?

Andy Warhol, Mario Schifano, Antonio Zancanaro, Miguel Berrocal, la moglie di Elvis Presley, Priscilla, Alberto Tomba, Vittorio Sgarbi, il presidente della Repubblica Cossiga. Tra gli chef Ferrand Adrià, Gualtiero Marchesi, Giorgio Pinchiorri, Charlie Trotter. Ugo Tognazzi, che completamente vestito di bianco arrivò al Trigabolo in un taxi bianco, mi fece uno dei complimenti più belli: “arrossisco davanti ai tuoi piatti”.

Quando siete diventati un mito?

Negli anni 1987-1988 quando abbiamo preso il Sole di Veronelli e la prima Stella Michelin. Poi a fine anni ‘80/inizio anni ’90 sono arrivati le 3 Forchette del Gambero Rosso, i 19,5/20 della Guida dell’Espresso, i 30/30 di Bell’Italia, i 4 templi dell’Accademia Italiana della Cucina, le 2 stelle Michelin, subito seguite dalla terza stella, data quando il ristorante stava ormai chiudendo. Eravamo terzi nella classifica generale dei ristoranti italiani, ma Antonio Piccinardi ci inviò una lettera per scusarsi di un errore pubblicato nella guida Bell’Italia: era stato dimenticato di aggiungere lo Chapeau accanto al punteggio di 30/30. Avevamo scavalcato Marchesi!

Come nascevano i vostri piatti?

Erano ispirati da esperienze vissute sulla pelle, dal vino, da botte di vita. Mentre andavamo ai concerti dei Pink Floyd e dei Duran Duran sul pulmino Volkswagen. Ascoltando musica rock a manetta mentre si spadellava. Facendo le nostre bravate durante il lavoro e nel tempo libero. Mentre si faceva l’amore. Ci scorreva l’adrenalina nelle vene.

Cosa piaceva di più al Trigabolo: la cucina, la cantina, l’atmosfera, il fatto di essere un locale di rottura e tendenza, la banda rock?

Sicuramente piaceva per la cantina di Rossetti con oltre 2.200 etichette. Per la cucina creativa. E per vedere i giovani pazzi della brigata. Avevamo un unico ingresso, a fine serata uscivamo dalla cucina attraversando la sala: io con i capelli alla Lucio Battisti, Marcello Leoni con il cappotto di pelle lungo fino ai piedi, il pittore Franco Cevenini, che faceva il lavapiatti e lucidava il rame, rapato e pieno di tatuaggi. Uno spettacolo. A Natale facevamo l'albero con le copertine delle guide gastronomiche. Ne combinavamo di tutti i colori, ci siamo permessi certe cose con una sfrontatezza, una tale faccia tosta… Cose da deficienti a ripensarci (ridacchia).

La brigata del trigabolo con Alberto Tomba, cliente del ristorante

Tipo?

Eravamo pazzi per Alberto Tomba. Quando faceva lo slalom tutto si fermava. Eravamo inchiodati davanti alla tv e finché non tagliava il traguardo non lavoravamo, non rispondevamo alle comande. Finita la discesa si tornava a cucinare. E i clienti stavano lì ad aspettare, 15-20 minuti, senza fiatare. Un’altra prova di giovanile sfacciataggine è stata quando Henri Gault e Christian Millau, i famosi curatori della guida Gault&Millau, furono mandati al Trigabolo da Federico Umberto d'Amato, curatore della guida dell'Espresso, appositamente per le medaglie di faraona allo zabaione di parmigiano, un piatto che ci aveva reso famosi. Era stato tolto dalla carta, è vero, ma avremmo potuto prepararlo, gli ingredienti c’erano, però Rossetti si rifiutò di servirli. Non avevamo timore dei giornalisti, eravamo giovani e pazzi. Una banda di anarchici! Poi c’è stato quello che abbiamo battezzato “l’attimo fuggente”. 10 agosto di non so quale anno, ma già avevamo una stella Michelin. Era l’ultimo giorno di apertura prima di andare in ferie. Frigorifero vuoto, avevamo solo un germano reale e un mezzo branzino. Diluviava. Al festival dell’Unità di Argenta capannoni che volavano via, la gente che scappava. Il Trigabolo si è riempito di botto. Marcello Leoni va al festival dell’Unità, che era organizzato dal padre, e compra tutto quello che c’era in cucina. Abbiamo fatto un menu fisso a prezzo pieno, e già si spendevano più di 100.000 lire per mangiare da noi.

Critiche?

Molto poche. La cucina di rottura ti piace o non ti piace, e se non ti piace non ci vai. È più facile fare un piatto creativo, non hai parametri. La critica ricorrente è che si mangiava poco. Abbiamo fatto la fortuna di un locale vicino al Trigabolo, che faceva i bomboloni. La gente usciva da noi con la fame e andava da loro a riempirsi di dolci. La cosa più bella e più brutta l’ha scritta Renato Fiorentini su Bargiornale: “ero convinto di trovare una cucina giovane e fresca, invece è barocca”. Mi sono messo a piangere, però ci ho riflettuto e ho tolto qualche orpello. La critica costruttiva funziona.

Qual è il piatto che rappresenta di più il Trigabolo?

I quattro piatti della cena della Reunion. Il germano reale ripieno d’anguilla con salsa peperata, secondo me, è la pietanza più attuale del Trigabolo.

 Quando costerebbe oggi un menu come quello che proponevate voi?

Non meno di 300 euro. Torno a ripetere: nulla era pronto, tutto espresso.

Qual è l’eredità del Trigabolo?

Saperi e Sapori, evento dedicato alla gastronomia mondiale, che abbiamo inventato noi del Trigabolo e si è svolto ad Argenta dal 1990 al 1994. L’abbiamo creato per interrogarci su dove stava andando la cucina, e abbiamo scoperto che eravamo molto avanti. Ci venivano da tutto il mondo: i grandi chef di Francia, Spagna… E non c’era ancora internet!

Lasagnetta croccante con verdure, foie gras e prosciutto di Praga

Cosa è avvenuto quando il locale ha chiuso i battenti, nel 1993?

Ognuno ha preso la sua strada e ha cominciato a raccogliere stelle Michelin per conto proprio. Io con la Locanda della Tamerice a Ostellato e con Atman a Pescia: una stella ciascuno. Bruno Barbieri ha preso 7 stelle tra La Grotta di Brisighella, Locanda Solarola e il ristorante Arquade del Relais & Châteaux Villa del Quar, prima di approdare a MasterChef. Pierluigi Di Diego una stella al Don Giovanni di Ferrara. Italo Bassi 3 stelle da Pinchiorri. Marcello Leoni una stella al Sole di Trebbo… Tutti figli del Trigabolo, che è stata una fabbrica di stelle Michelin: ben 51!

Qual è oggi il locale che più si avvicina al Trigabolo?

Un mix di Philippe Léveillé del Miramonti L’Altro, che capisce i prodotti, e Terry Giacomello del ristorante Nin sul lago di Garda, che conosce la tecnica.

Perché il Trigabolo ha chiuso? Tutte le bande prima o poi si sciolgono…

Erano cambiati l’Italia e il contesto politico (dice con educazione ma anche sincerità, non tanto per sviare il discorso). Il Trigabolo ha chiuso nel momento della sua massima espressione. Era giusto così.

 

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