We are what we eat. A New York la mostra dell’Onu sulla sicurezza alimentare

1 Mag 2016, 14:27 | a cura di

Sono insolite, suggestive, commoventi le opere in mostra presso il quartier generale delle Nazioni Unite a New York, fino al 30 giugno. Si parla di diritto all’alimentazione attraverso scatti e performance di artisti in arrivo dal mondo. 


Obiettivo: sicurezza alimentare

Cosa significa sicurezza alimentare al giorno d’oggi? Se le chiedono i fotografi e gli artisti coinvolti nella mostra We are what we eat di scena al palazzo delle Nazioni Unite di New York. “Siamo quello che mangiamo”, ribadisce lo slogan scelto per sottolineare, anche nella ricerca artistica, il bisogno di decodificare la rete di rapporti culturali, ingiustizie sociali, dinamiche economiche, che si stabilisce intorno e per il cibo. E non è un caso che l’esposizione delle opere selezionate a questo scopo sia ospitata proprio nella sede della nota organizzazione internazionale, spesso promotrice di appuntamenti culturali che accendono i riflettori sui diritti umani, la sostenibilità ambientale, i cambiamenti climatici e tutti gli altri grandi interrogativi che affliggono il futuro dell’umanità. In più di qualche modo, infatti, è proprio il diritto all’alimentazione (compresa la denuncia al consumismo sfrenato e all’obesità) il focus di una mostra che accosta diverse espressioni artistiche, facendo della versatilità degli stili un elemento per catturare l’attenzione degli spettatori e indurli a ragionare sul tema. Perché fame, malnutrizione, sfruttamento agricolo, cattiva distribuzione delle risorse sono ancora problemi molto attuali in buona parte del mondo. E su questo sta lavorando negli ultimi anni l’Onu, nel rispetto di un’agenda che assegna alta priorità al tema della sicurezza alimentare, incentivando lo sviluppo di pratiche agricole sostenibili (per ambiente ed economia), stimolando l’attivismo e finanziando un programma di educazione alimentare.

Le opere in mostra

Il percorso di visita offre diversi spunti sul tema: ci sono i disegni realizzati con lo zucchero da figli e nipoti di coloro che lavorano (o lavoravano) nei campi dello zucchero, fotografati dal brasiliano Vik Muniz, ma anche la serie di scatti (di Edward Burtinsky) che immortala le più aride terre spagnole, nella regione di Monegro, strappate dai contadini all’abbandono. O il suggestivo body painting del cinese Liu Bolin, che ha nascosto se stesso confondendo il suo corpo dipinto tra gli scaffali di un supermercato. E poi lo stridente contrasto tra i più celebri loghi di grandi catene internazionali – da Mc Donald’s a Starbucks, a Pepsi cola – e i cesti artigianali in fibra naturale su cui il venezuelano Pepe Lopez riproduce gli stessi loghi, per evidenziare la distanza tra la società rurale e il consumismo globale. La mostra terminerà il 30 giugno. Intanto eccone una sintesi per immagini, che parlano meglio di tante parole.

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