I bistrot di Parigi siano patrimonio Unesco. La Francia si appella al simbolo dell'esprit de vivre

22 Giu 2018, 15:00 | a cura di

Chi sostiene la candidatura all'Unesco del bistrot parigino lo fa soprattutto in difesa di uno stile di vita che nei tradizionali caffè con cucina e dehors della capitale francese trova il suo approdo naturale. Perché? Troppo feroce la concorrenza di fast food e paninoteche: valori culturali sì, ma contano anche gli interessi economici di categoria. 


 

Il bistrot sta scomparendo?

Diventati simbolo dell'esprit de vivre francese dopo il sanguinoso attacco terroristico di novembre 2015 al Bataclan, e da sempre colonna portante della narrazione gastronomica legata alla ristorazione d'Oltralpe, i tradizionali bistrot parigini, sono stati pure ispirazione, negli ultimi anni, per la moderna rivoluzione della bistronomie – però molto lontana dal punto di origine - fenomeno da esportazione capace di ribadire, ancora una volta, quanto l'universo gastronomico internazionale sia debitore alla cucina francese e ai suoi stilemi. E certo il folclore che lega l'immaginario comune all'idea di boulevard parigini affollati di caffè con cucina dall'atmosfera retrò e rilassati dehors dove sorseggiare un bicchiere di vino provando la quiche lorraine della casa è ancora ben vivo nel pensiero di molti turisti. Eppure, dicono i dati, oggi quei bistrot raccontati nei testi più celebri di scrittori illustri e immortalati dall'arte rappresentano solo il 14% dei ristoranti censiti nella capitale francese, schiacciati dal proliferare di fast food e paninoteche. Sorte comune, peraltro, alle insegne storiche e tradizionali di molte città d'Italia e del mondo.

 

Il bistrot come stile di vita

La Francia, però, notoriamente parecchio attaccata alle sue radici, ha deciso di fare fronte comune per difendere quello che molti considerano un patrimonio culturale che unisce la comunità, “un modo di vivere e condividere, trascorrere il tempo e incontrarsi”, come sottolinea Alain Fontaine, presidente dell'associazione dei bistrot, nel suo accorato appello alla salvaguardia dei bistrot, finanche spingendosi a qualche accento d'enfasi caricaturale: “I bistrot sono un ecosistema fragile come il Museo del Louvre o la Torre Eiffel e sono il luogo dove le persone si incontrano e conoscono, uscendo dalle loro case e dal loro isolamento. In un certo senso sono stati i precursori dei social network”. Apologia funzionale alla presentazione della candidatura dei bistrot di Parigi per l'inserimento in lista del patrimonio immateriale dell'umanità protetto dall'Unesco, che si concretizzerà la prossima primavera con la consegna di un fascicolo al Ministero della Cultura francese, a propria volta chiamato a presentarlo alla commissione Unesco. Un iter lungo e complesso, dunque, che l'Italia ricorderà per l'ultima campagna intrapresa, e andata a buon fine, a sostegno dell'arte del pizzaiuolo napoletano, e che la Francia si appresta a risalire anche per difendere un altro simbolo indiscusso della gastronomia nazionale, la baguette (ma solo quella artigianale).

 

La candidatura all'Unesco

Ma la specificità di un bistrot, esattamente, qual è? Dicono i suoi sostenitori, in mancanza di un codice che ne definisca i confini (complicando così la stessa decisione dell'Unesco), che il bistrot è sempre pronto ad accogliere i suoi avventori, cucina operativa no stop, prezzi accessibili, clientela (molti gli habitué) libera di trattenersi al tavolo per sfogliare il giornale, o leggere un libro. Un'accezione ben diversa, dunque, da quella che del bistrot ha fatto un'etichetta da piegare alle esigenze più disparate nel resto del mondo. Di fatto il grido di aiuto che i proprietari di bistrot rivolgono al mondo si scontra pure con mutate abitudini alimentari – dei francesi, in primis: quanti giovani parigini ancora considerano un rito incontrarsi al bistrot? – e con la difficoltà conseguente di fare cassa in un mercato sempre più concorrenziale da un lato, contratto dall'altro. È quanto analizza all'indomani della proposta un lucido articolo del New York Times, muovendo dal concetto di resilienza – come detto sopra: la voglia di contrastare il terrore con l'energia della vita – alla considerazione che, per esempio, limitare la richiesta di tutela ai soli bistrot di Parigi (perché non cercarli a Lione, o Marsiglia?) sia piuttosto parziale, e figlia di considerazioni meramente economiche. Inutile dirlo, in loco l'idea ha invece già riscosso molti consensi tra personalità pubbliche e associazioni di categoria. Di certo per la tenacia con cui difende i suoi “feticci” la Francia non è seconda a nessuno. 

 

a cura di Livia Montagnoli

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