Sommelier addio. Così i ristoranti statunitensi rispondono alla crisi economica

4 Mar 2024, 15:51 | a cura di
La denuncia del New York Times evidenzia un cambiamento del settore Horeca nel post pandemia. Per molti esercizi una figura che fino a pochi anni fa era osannata e ricercata ora è diventata un lusso, di cui si può fare a meno, per questioni di bilancio

Vita dura per i sommelier nel mercato statunitense. Questa figura professionale che fino a qualche anno fa era diventata una celebrità anche grazie a film-documentari come Somm, di Jason Wise, ora si ritrova in difficoltà a causa della scelta di molti ristoranti di fare a meno del loro apporto in sala. Tutto questo in un clima economico in cui il settore della ristorazione americana, che li aveva idolatrati, ha dovuto riassestarsi dopo l'urto subito nel periodo della pandemia e  della successiva crisi inflattiva e dei consumi.

Sia chiaro: sui tavoli dei locali negli Stati Uniti, il vino viene ancora servito regolarmente, ma a mancare progressivamente sono proprio quelle figure professionali chiamate a curare la lista vini, a selezionare le migliori etichette, a formare i dipendenti, a raccontare le giuste storie di viticoltori, e di territori, ai commensali.

Il sommelier in sala "è diventato un lusso"

La considerazione arriva dalle pagine del New York Times, quotidiano statunitense che per descrivere questo nuovo scenario non usa mezzi termini: il lavoro del sommelier è diventato per molti esercizi un vero e proprio lusso, ma sacrificabile nei freddi bilanci nel modello di ristorazione che si è via via affermato nel post-pandemia. Il risultato è evidente nella gamma ristretta delle carte dei vini proposte attualmente: meno creatività, più essenzialità. Di fatto, come fa notare l'autore dell'articolo (Eric Asimov), quei ruoli specificamente dedicati al sommelier sono ora demandati a baristi, camerieri o agli stessi manager dei ristoranti che, in aggiunta alle loro mansioni, si occupano di vino.

Carte dei vini semplificate e più attenzione a far quadrare i conti

La tendenza alla semplificazione delle carte vini è testimoniata sia da Étienne Guérin, che dal ruolo di responsabile vino per M. Wells nel Queens e per Gage & Tollner a Brooklyn, ora lavora per Sotheby nell'Upper East Side, sia da Cedric Nicaise, sommelier proprietario del Noortwyck nel Greenwich Village. E tra i pareri raccolti dal quotidiano c'è anche quello di Yumilka Ortiz, giovane sommelier di Cucina Alba a Chelsea, con trascorsi anche in Italia: «Attorno a una bottiglia puoi creare un'intera esperienza», anche se ora in molti ristoranti «l'attenzione si è spostata dall'ospitalità alle vendite e ai volumi. Ora - ammette - ho molto meno tempo per parlare con gli ospiti del ristorante e capire i loro bisogni e i loro desideri».

Il problema interessa meno i ristoranti di fascia alta

La pandemia ha provocato dei cambiamenti nel mercato Horeca. Ad esempio, molti professionisti della ristorazione, cucina e sala, hanno trovato impieghi alternativi rispetto agli orari e alla mancanza di benefici del lavoro in ristorazione. Come conseguenza, i ristoranti hanno incrementato i salari per attirare i lavoratori rinunciando, in tutto o in parte, ai loro stock di vino per far quadrare i conti. Lo scenario illustrato dal New York Times vale, in generale, meno per i ristoranti di fascia alta e più per quelli di fascia media. Il futuro del segmento è incerto, ma moderatamente roseo secondo Paul Roberts, ex gestore vino per i ristoranti Thomas Keller, che al Nyt si dice fiducioso che ristoranti e sommelier tornino a crescere e prosperare. Anche se occorrerà fare i conti col profilo psicologico dei consumatori che sono attualmente pessimisti, nonostante negli Stati Uniti l'economia stia dando, recentemente, segni di ripresa.

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