Intervista a Dominik Flammer: food writer e food scout

17 Mag 2016, 10:14 | a cura di

Le Alpi. Pietra angolare della gastronomia svizzera

Dominik Flammer, autore e specialista dell’eredità culinaria delle Alpi - foto Sylvan Müller

 

Il cibo, si sa, non è soltanto sostanza nutritiva ma anche un aggregato di itinerari, cultura, tradizioni, interpretazioni e reinvenzioni. Come si può allora riassumere l’identità culinaria della Svizzera? Forse considerando i prodotti, il patrimonio e le storie dell’arco alpino che riuniscono e contraddistinguono il paese dai suoi vicini. Ne parliamo con Dominik Flammer, autore di tre libri sull’eredità culinaria delle Alpi e food scout di grandi chef svizzeri.

Le Alpi si estendono per circa 1.200 chilometri dalla Francia alla Slovenia, passando da Italia, Germania e Austria, con la Svizzera al centro. Ci sono, al di là delle classificazioni comuni, prodotti propri in particolare della Svizzera? 

«Certamente! Ci sono prodotti tipici straordinari in Svizzera. Innanzitutto le varietà di pane: dall’arioso e scuro Baslerbrot (il pane di Basilea) a quello denso e duro di segale in Vallese, fino alla treccia. La treccia è anche l’unico denominatore comune in tutta la nazione, disponibile ogni domenica in tutte le regioni linguistiche. Altra particolarità elvetica è l’incredibile varietà di salsicce, tante realizzate con aggiunte di percentuali di cavolo o di barbabietola o perfino di pane e di patate. Per non parlare dei dolci: dalle meringhe alle spampezie della Leventina passando per la Fuatscha Grassadei Grigioni. Ma basta anche solo concentrarsi sui tanti Pan di pera Birnbrot, prodotto diversamente in ogni regione».

Molto spesso all’estero la Svizzera viene associata solo al formaggio e al cioccolato. Cosa altro assaggiare?

«Sottovalutiamo sicuramente la grande varietà di frutta e verdura. In Svizzera ci sono centinaia di diverse ed entusiasmanti varietà di mele, decine di varietà di cavolo e soprattutto molte piante oleaginose particolari che forniscono oli sensazionali: olio di camelina, olio di semi di rosa canina, olio di noce o quello, incredibile, di papavero bianco».

L’arco alpino può essere concepito come una barriera ma in realtà è sempre stato un territorio di passaggio tra Nord e Sud. Nel passato, già tante merci e materie prime transitavano tra Svizzera e Italia, quali sono gli esempi più rilevanti?

«La Svizzera è sempre stata un paese di transito, in tutte le direzioni! Da Sud, le spezie arrivavano da Venezia per essere trasportate verso Norimberga in Germania, così come l’olio d’oliva, i vini dell’Alto Adige e della Valtellina, il riso, gli agrumi e i carciofi. Dal Nord, invece, arrivò a Milano attraverso la Svizzera lo stoccafisso, ma anche alcune specie di cavolo, pesci d’acqua dolce come il coregone che sono poi andati a rifornire i laghi del Nord Italia. Ma dalla Svizzera è anche stata portata tanta carne in Italia, latte di mucca e formaggi delle malghe».

Tanti alimenti hanno attraversato il tempo ma anche territori, scoperti per esempio in America o nel Medio Oriente prima di essere introdotti in Europa. Nella gastronomia svizzera, quali sono gli alimenti arrivati nei bagagli di mercanti e viaggiatori Italiani?

«Principalmente delle nuove piante approdate nel regno di Napoli grazie agli spagnoli: mais, pomodori, topinambur, peperoni e paprika. Dal sedicesimo secolo, l’Italia ha influenzato moltissimo la Svizzera con nuove verdure: finocchio, cavolfiore, broccoli e negli ultimi decenni tante insalate amare tipo il radicchio rosso di Treviso o quello variegato di Castelfranco. La cultura del caffè, approdato per la prima volta a Venezia, si diffuse prima in Francia e poi, attraverso i Grigioni, nelle altre città italiane.  Tutta la tradizione pasticciera italiana, inoltre, è stata molto influenzata dagli artigiani dei Grigioni».

Sin dal Medioevo, operatori del settore alimentare si sono spostati in tutta Europa attraverso le Alpi: cuochi, casari, pasticceri, cioccolatieri, venditori di alimentari… Si potrebbe quasi dire, semplificando, che casari italiani hanno insegnato agli Svizzeri a fare formaggio a pasta dura mentre pasticceri svizzeri hanno introdotto l’arte dei dolci con la panna in Italia?

«Già! I pastori bergamaschi sono venuti in Svizzera sin dal sedicesimo secolo per migliorare la lavorazione del formaggio. I casari svizzeri (che non erano Svizzeri all’epoca, per essere esatti!), durante la guerra dei 30 anni (diciassettesimo secolo), hanno proseguito la loro evoluzione indipendentemente e hanno sviluppato le loro varietà tipiche. Allo stesso modo, i pasticceri grigionesi hanno insegnato alcune tecniche di pasticceria agli Italiani, i quali hanno sviluppato un’arte propria arricchendo questi prodotti con la loro personale esperienza. Questa influenza reciproca rende l’area alpina uno spazio incredibile per l’arte culinaria e la cultura gastronomica».

La Svizzera non si può limitare a montagne e prodotti rustici della cucina povera, esistono anche centri urbani molto dinamici già dal Medioevo. Qual è stato e qual è ancora oggi il ruolo delle città nello sviluppo della gastronomia svizzera?

«L’influenza delle città è sempre stata molto importante. A Ginevra, gli Ugonotti che fuggirono della Francia introdussero nuove colture orticole, come cardi, carciofi, e tante insalate. Attraverso Basilea, invece, sono passate tante influenze sia dalla Francia che dalla Germania. Tra 1800 e 1900, Lucerna aveva fama internazionale grazie alle scuole alberghiere e alla proverbiale istruzione svizzera applicata ai cuochi. Oggi sicuramente Zurigo fa tendenza, con i suoi ristoranti dinamici e innovativi».

Oggi lei lavora con parecchi chef svizzeri, anche stellati come Andreas Caminada. Come si manifesta questo patrimonio culinario ai loro fornelli?

«I cuochi svizzeri come Stefan Wiesner nell’Entlebuch, Meret Bissegger in Ticino, Andreas Caminada o Nenad Mlinarevic hanno interiorizzato molto i valori del regionalismo, anche se ciascuno col suo stile. L’élite della gastronomia sa che il futuro della nostra cucina sta nelle particolarità della regione alpina, ha riconosciuto che il regionalismo non ha nulla a che fare con i luoghi comuni, e che raclettee fonduehanno in fin dei conti soltanto un ruolo marginale. Questi professionisti dei fornelli sono curiosi e spingono artigiani e coltivatori a sviluppare nuovi prodotti per la realizzazione di nuove ricette».

L’uso estremizzato di ingredienti locali nell’alta gastronomia è stato concettualizzato negli ultimi anni da esponenti della cucina nordica, come René Redzepi. Secondo lei la gastronomia svizzera sta solo seguendo un modello o ha le sue dinamiche proprie?

«Sarebbe sciocco copiare la Scandinavia. Da loro possiamo imparare qualcosa su sostenibilità e marketing. Ma la Svizzera e le Alpi hanno valori unici: nessun altro luogo in Europa ha una varietà paragonabile di cibi, tra cui cereali, frutta, verdura, prodotti a base di carne, specialità casearie. A parte il pesce di mare, abbiamo di tutto».

Due o tre spunti sull’orientamento futuro della gastronomia elvetica? 

«Stiamo evolvendo verso un’epoca segnata dalla diversità della regione culinaria delle Alpi. I nostri nuovi oli verranno utilizzati in cucina sempre di più, come quello di camelina o l’olio di semi di papavero bianco. Prevedo una riscoperta delle piante selvatiche commestibili e di alcune carni, oltre alle tantissime varietà di pane. È un periodo molto entusiasmante per la cucina elvetica e alpina, da non perdere»!

 

L’eredità culinaria delle Alpi. La storia dell’alimentazione nell’area alpina 

Edizioni Casagrande  | pp. 370 | Euro 63.75 

 
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