Focus Brunello. Ecco perché va così bene

8 Ott 2013, 08:43 | a cura di
Se ne vende tanto, va bene all’estero, e le giacenze diminuiscono. Lo scandalo Brunellopoli non ne ha arrestato il successo. Anzi. E il mercato non è più dominato dai grandi nomi, ma si fanno avanti sempre più piccole aziende.

Vendite in aumento, export in crescita, prezzo dello sfuso alto, giacenze in calo: il Brunello sta vivendo un buon momento. Ora però il trend di crescita è certo e, anzi, negli ultimi anni si è intensificato. I dati dell’Artea Toscana (Agenzia regionale per le erogazioni in agricoltura) hanno registrato fedelmente l’andamento. Spiega Stefano Cinelli della Fattoria dei Barbi: “Nei tre anni che vanno dal 2009 al 2012 le giacenze di Brunello sono calate di oltre 83.000 ettolitri (83.235 hl pari 11.098.000 bottiglie). Di queste 2,6 milioni sono state declassate per effetto delle decisioni della Procura di Siena ma il resto cioè 8,5 milioni non ci sono più perché sono state vendute. Per avere un dato reale delle vendite, a quelle ufficiali del 2010, 2011 e 2012 si devono aggiungere circa 2,8 milioni di bottiglie all’anno, ciò porta il dato reale di quei tre anni a circa 11/12 milioni di bottiglie. Ovvero quasi il doppio dei 6 - 6,5 milioni di bottiglie mediamente vendute prima di Brunellopoli”.

La crisi del mercato domestico, iniziata molto prima del 2008, ha costretto le aziende montalcinesi – come del resto tutte le cantine italiane - a accelerare il processo di internazionalizzazione. Se nel 2007 la quota dell’export era il 60%, nel 2012 è diventata il 65% del totale prodotto. Tra i mercati più rappresentativi ci sono sempre gli Usa che rappresentano il 25% del totale prodotto e quasi raddoppiano le vendite rispetto a 5 anni fa. Remo Grassi, vice presidente della Banfi, riassume così: “Adesso si produce di meno però le vendite non sono più concentrate solo tra poche aziende ma spalmate tra tante piccole aziende e in diversi mercati”. D’accordo con questa analisi Patrizio Cencioni, vicepresidente del Consorzio e titolare dell’azienda Capanna: “Io come tanti altri sino a qualche anno fa non avrei mai immaginato di vendere in paesi come Malesia, Vietnam o Indonesia. Gli spazi si sono aperti per tutti”. Paola Gloder dell’azienda Poggio Antico spiega la novità in questo modo: “In molti mercati, specialmente asiatici, si avverte una certa stanchezza nei confronti dei vini francesi di alta gamma e dei loro prezzi mentre sta aumentando l’interesse per il vino italiano: a parità di qualità siamo più competitivi. Ormai se ne sono accorti in tanti”.

Viene da sorridere pensando al 2008, dopo Brunellopoli, quando i nostri critici enologici più puntuti preconizzarono un orizzonte fosco e l’entrata in crisi di molte aziende. In realtà, a parte qualche spostamento di preferenza da un marchio ad un altro, l’unico accadimento a pesare quell’anno e i successivi fu il crollo della Lehman Brothers. A Montalcino ciò ha provocato un trasferimento di valore dai produttori ai commercianti, equilibrando i prezzi e incidendo sulla marginalità di molte aziende. Giampiero Pazzaglia, ex direttore della Tenuta di Argiano, ora consulente al posto di Stefano Campatelli nel Consorzio di tutela del Brunello, dice che “c’è da considerare che l’annata 2008 ha avuto un andamento di vendite più lento rispetto al 2006/2007. Ne hanno approfittato i commercianti saliti quasi al 30% del totale rispetto a poco più del 20%”. “In effetti proprio l'aumento della produzione avrebbe dovuto, anche a parità di percentuale venduta” osserva Stefano Cinelliportare a un aumento in termini assoluti delle giacenze, cosa che invece non è avvenuta: sono calate sia in assoluto che in percentuale alla produzione”. Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del Brunello e direttore de Il Poggione conclude: “A partire dal 2010 la domanda si è intensificata. Negli Usa il mercato ha ripreso a tirare in modo costante e ora anche il Rosso di Montalcino si sta muovendo”. Eh già, perché non solo il prezzo del Brunello sfuso è alto (780/850 euro/ettolitro), ma anche quello del Rosso non scherza visto che quota 100 euro/ettolitro. Insomma da far venire il mal di pancia ai chiantigiani. Ma questa è un’altra storia.

di Andrea Gabbrielli

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 3 ottobre. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.

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