Guinness, storia di una birra e di brand di successo

7 Set 2015, 11:02 | a cura di

È uno dei simboli dell'Irlanda, ed è stata capace di costruire attorno a sé l'immagine di una birra che non è per tutti, anche se la si trova dappertutto. Un esempio di marketing emozionale che dovremmo imparare a interpretare anche per il nostro vino.


L'Irlanda

Visitare l’Irlanda ha un fascino particolare: oggetto di anni di racconti di amici, in qualsiasi età e momento della propria vita. Arriva poi l'anno la svolta con la decisione di partire, dopo una sommaria ricognizione. Natura protagonista per ogni dove, non c’è da sbagliarsi su cosa fare: le chiese sono diroccate o rifatte in tempi recenti, i musei non chissà quale grande appeal e si possono anche visitare molto rapidamente (a meno che non vogliate perdervi in quello del burro a Cork!). Dunque, al netto di suggestioni letterarie, ci si dedica a scogliere, mare e isole. Al ritorno a Dublino, però, scatta la voglia di visitare qualcosa che racconti un po’ il passato, anche industriale dell’isola, e quindi la scelta diventa semplice, tra due opzioni: distilleria o Guinness?

 

La costruzione di un brand

La birra ha un fascino maggiore, si trova in città, e quando si arriva a visitare la sede ci si rende conto che è uno dei pochi luoghi irlandesi dove si respira l’idea di fabbrica, in un Paese dove l’impatto industriale è praticamente nullo. 18 euro il biglietto d’ingresso, per un locale di 7 piani, due dei quali dedicati comunque alla sola ristorazione: e qui parte il pensiero di come, riguardo all’accoglienza turistica nei luoghi del vino, per fare un paragone con l’Italia, siamo all’anno zero. Qui si riesce a fare promozione del brand, facendo pagare un biglietto e vendendo servizi all’interno, oltre ad avere il negozio con tutto il merchandising fatto di capi di abbigliamento, stoviglie, accessori, insomma tutta roba che finirà nelle case di tutto il mondo a fidelizzare nuovi clienti.

L’immagine che si è data la Guinness, che è pur sempre parte di uno dei colossi globali della distribuzione dell’alcol come la Diageo, è quella di una birra che non è per tutti, anche se la si trova dappertutto. La pubblicità di alcuni anni fa che la indicava da conquistare gradualmente, come fa un ascoltatore di musica che arriva ad apprezzare il jazz dopo un percorso non velocissimo, rende bene l’idea che si vuol dare al consumatore: una volta che la berrai regolarmente, diventerai uno dei nostri, uno che ha capito, dove sta la qualità, appartenente a una cerchia ristretta. Eppure la birra la si trova in ogni singolo pub irlandese, da Sydney a Città del Capo, nei supermercati e quindi i numeri sono importanti, eppure…eppure le persone affollano le casse del piano terra per acquistare le tazze, le felpe, i piatti, le mutande (sic!) per confermare il loro senso di appartenenza!

 

Il confronto con il mondo del vino in Europa e in Italia

Se facciamo un paragone con il vino in Europa, molte aziende sono inaccessibili (si pensi agli chateaux bordolesi), il consumatore europeo si aspetta che la visita e la degustazione siano gratuiti (L’americano no, perché in California fanno pagare eccome!) e al massimo l’acquisto riguarda una bottiglia di vino. Praticamente un abisso, che ha però un aspetto positivo: il potenziale di crescita è immenso, si tratta di cambiare mentalità e approccio: ristoranti tra le vigne già esistono, vanno solo valorizzati.

Ma non è solo questo. Il pensiero corre ai produttori di vino italiani, e a quanto lontano appaiano le strategie di marketing adottate, soprattutto nella valorizzazione delle strutture: ora, grazie al cielo, il mercato tira, si esporta senza problemi, ma il settore dell’accoglienza ancora latita. Eppure ci sono castelli, ville ed altri spazi, sedi di aziende vinicole, che da soli meriterebbero il viaggio, vista l’importanza storica ed artistica degli ambienti; a questo si aggiunga anche che arrivare a degustare il prodotto, per un appassionato di vino, può diventare una conquista, magari perché la produzione è limitata, così come la distribuzione, e una volta arrivato alla casa madre, il prezzo della degustazione diventa un dettaglio insignificante.

 

La visita alla Storehouse

Meglio lasciare i pensieri e dedicarsi alla visita, che inizia con la spiegazione del processo di produzione, con la descrizione degli ingredienti principali. È un mix tra antico e moderno: oggetti antichi e narrazione moderna, con l’audioguida che, in italiano, risente un po’ dei toni entusiastici del racconto modello anglosassone, ma è divertente da seguire. Alcune installazioni sembrano quasi opere di arte contemporanea, si entra nella stanza con i personaggi che raccontano attraverso i video chi era Mr. Guinness, e l’ambientazione si fa settecentesca, poi si riprende e si trovano reperti che hanno avuto un ruolo nella storia del prodotto, compreso un siluro che avrebbe dovuto affondare un carico di birra! La parte degustativa è semplice, lineare, esaustiva: in una stanza la spiegazione teorica, nella successiva quella pratica, pochi fronzoli, ragazzi giovani, dalla parlantina sciolta, che riescono a non annoiarsi ad intrattenere gruppi di 60-70 persone che si succedono ogni quarto d’ora (speriamo si diano il cambio spesso).

Il penultimo piano è dedicato a come è stata gestita la pubblicità, cartacea e televisiva, in questo secolo, con gran finale di spot recenti. Un aspetto, quello della comunicazione commerciale, che ha avuto u ruolo determinante nella creazione del mito.

Si chiude sulla terrazza panoramica, in uno dei tre bar che offrono la pinta gratuita. Rimane il pensiero di quanto dobbiamo ancora apprendere per valorizzare al massimo le nostre ricchezze enologiche, mentre non si può fare a meno di sorseggiare una Guinness che qui, dove si produce, ha tutto un altro sapore…

 

Guinness Storehouse | Irlanda | Dublino 8 | St James's Gate | https://www.guinness-storehouse.com/en

 

a cura di Leonardo Romanelli

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