Vini d’Italia Experience in Usa e Canada. Indagine sui mercati da presidiare

25 Giu 2018, 14:30 | a cura di

Le bollicine continuano a raccogliere le preferenze dei consumatori internazionali. E Canada e Stati Uniti, non fanno eccezione. Due mercati fondamentali, per i quali si prospettano scenari futuri molto diversi.

 

Non ci sono solo gli States nel Nord America. Noi siamo partiti dal Canada (precisamente da Vancouver e Toronto, proprio nei giorni del 44esimo vertice del G7 in Québec), per un giro in Nord America con il tradizionale roadshow in compagnia delle migliori cantine nostrane – tra degustazioni per addetti ai lavori e masterclass - per spostarci poi (per la prima volta nella nostra storia) a Washington DC e Boston. Un giro alla scoperta di due mercati fondamentali, anche se molto differenti tra di loro.

Da una parte il Canada: mercato di riferimento(è il quinto di destinazione per i vini italiani, per questo tappa irrinunciabile) per la molta attenzione per i prodotti agroalimentari di qualità, una passione per il Made in Italy sempre più forte e consumi di vino pro capite in crescita (siamo sugli 8 litri a testa, secondo l'Istituto di statistica nazionale). Dall'altro la prima piazza per il vino, quella statunitense, che presenta ancora le maggiori potenzialità di crescita e che può ancora riservare sorprese e incertezze. Cogliamo dunque l'occasione del nostro wine tour per mettere a confronto due giganti dello scacchiere mondiale della vendita del vino, tra tendenze di consumo, dati di vendita, prospettive presenti e future (da una parte i dazi, dall'altra gli accordi di libero scambio).

 

Canada e Usa a confronto: il valore dell'export italiano nel 2017

Nel corso del 2017, l'Italia ha esportato verso il Canada quasi 800 mila ettolitri di vino, registrando una crescita del 9,2%, per un corrispettivo in valore di 333 milioni di euro che, rispetto al 2016, aumenta del 9 per cento. L'Italia, sul fronte dei volumi, è il primo fornitore di un mercato dominato da Stati Uniti, Francia e Italia, che assieme detengono il 66% del mercato a valore, con quote del 21% ciascuno. Se consideriamo i primi mesi del 2018, secondo i dati Istat, il primo trimestre si chiude con un lieve incremento dell'export italiano a valore (+0,4% a 73,3 milioni di euro) a fronte di una flessione nei volumi del 4% circa.

Positiva, ma con qualche ombra, la situazione negli Usa dove, nel 2017, si sono registrati dati in chiaroscuro: +4,2 in valore (1,4 miliardi di euro) rispetto all'anno precedente, incrementando anche i volumi dell'1,7% (3,34 milioni di ettolitri), mentre i principali competitor - in primis la Francia, protagonista a fine estate del sorpasso sull'Italia nei valori esportati - hanno guadagnato quote di mercato con progressioni a due cifre. Insomma: i diretti concorrenti hanno esportato ben più di noi. Il trend di crescita dei nostri vini è inferiore alla media complessiva dell'import Usa, soprattutto per i fermi (con segno meno), compensati dall'ottimo andamento degli spumanti (circa il 15% in più a volume e a valore). A pesare anche i ritardi dello scorso anno nell'erogazione dei fondi Ocm da parte ministeriale (che potrebbero ripetersi ancora), a testimonianza dell'importanza che rivestono la promozione e la valorizzazione del made in Italy in un contesto competitivo come gli Stati Uniti.

 

Dazi e accordi di libero scambio. A che punto siamo?

Molte associazioni di settore (Unione Italiana Vini, Cia, Qualivita) considerano il Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement) tra Canada e Ue, un buon accordo per incrementare le esportazioni italiane. Ma è recente la presa di posizione contraria del neo-ministro delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio, con il plauso di Coldiretti (da sempre in prima fila contro l'accordo). Il motivo? “Tutela solo una piccola parte dei nostri prodotti Dop e Igp”, ha spiegato aggiungendo che chiederà al Parlamento “di non ratificare né questo trattato, né gli altri simili, come d'altronde previsto nel contratto di Governo”. L’accordo con il Canada è in vigore in via provvisoria il 21 settembre 2017 in attesa della ratifica di tutti i Parlamenti degli Stati membri dell’Ue, al momento si sono espressi solo 11 Paesi su 28 (Danimarca, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta, Spagna, Portogallo, Croazia, Repubblica Ceca, Austria e Finlandia). L'Italia è spaccata in due sui rischi e le opportunità: da una parte c'è il riconoscimento di 41 denominazioni italiane (150 europee), dall'altra il via libero a carne e grano nordamericani. Cambierebbero le condizioni fiscali per il vino, con l'abolizione dei dazi (non elevatissimi) all'entrata e dei Cosd (Cost of Service Differential), le pratiche discriminatorie adottate dai Monopoli canadesi, che agevolano i prodotti interni a discapito di quelli europei.

Di tutt'altro tono le prospettive per gli Usa, a oggi il primo luogo di consumo del vino mondiale (la quota a volume è del 13%) con ulteriori previsioni di crescita grazie a un aumento del Pil pro capite, dai 59,5 mila dollari del 2017 a 70 mila dollari nel 2022. La maggiore ricchezza dovrebbe spingere i consumi di vino, con tassi di crescita annua tra +2 e +4% a valore. Bene, se non fosse che l'amministrazione Trump ha esteso i dazi su acciaio e alluminio all'Europa aprendo la porta a un duro faccia a faccia commerciale: dal 22 giugno inEuropa sono scattate barriere tariffarie del 25% - per un valore di 2,8 miliardi - su alcuni prodotti simbolo degli Usa: jeans, alcol e sigarette, ma anche vari tipi di succo d'arancia e di mirtillo, riso e mais confezionato, oltre ad alcolici come il bourbon e il whisky. “Non avevamo altra scelta” ha detto la commissaria al Commercio Ue Ceciclia Malmstroem. Ma è inutile dire che se gli Usa rimuovono i loro dazi, anche le nostre misure saranno rimosse”. Èimprobabile che il vino venga coinvolto da una possibile guerra commerciale, considerato il forte legame che da anni lega il commercio vitivinicolo tra le due sponde dell'Atlantico, ma lapreoccupazione c'è. Importante è, però, non perdere di vista i nuovi trend in corso.

 

Bollicine, rosati e vitigni autoctoni. I trend

Insomma: per fare bene occorre conoscere il mercato, e questo vale tanto per gli Stati Uniti quanto per il Canada. Negli Usa bisogna tenere d'occhio 3 elementi: l'interesse per i rosati fermi (l'incremento dei rosati in stile Provenza è stato del 55% sull'off trade), la Prosecco mania che è destinata a proseguire, e la preferenza per i vini americani con la concorrenza delle etichette californiane. Ma quali denominazioni italiane piacciono di più? Proviamo a rispondere alla luce dei nostri eventi nei quali è emersala forte attrattiva verso i territori del vino italiano: moltissimi, non sempre facili da mettere a fuoco. L’Etna, il Sannio o la Gallura - per fare alcuni esempi - parlano di un Sud testimone del vino italiano di qualità. I vitigni autoctoni fanno la differenza per far scoprire sfaccettature della nostra viticoltura, si tratti di Semidano (varietà tradizionale sarda prodotta nel comune di Mogoro) o Pecorino in Abruzzo e nelle Marche, o Grechetto umbro. Un ruolo fondamentale lo giocano poi comunicazione e promozione: si tratti di spiegare l'andamento delle annate o di disegnare etichette che rimangano impresse (quelle di Mustilli hanno destato curiosità e apprezzamento in entrambi gli eventi).

Passando al Canada c'è da riscontrare una qualità del vino importato mediamente alta, col vino in bottiglia che rappresenta (dati 2016 dell'Istituto canadese di statistica) oltre il 95% del totale importato, che vale 2,23 miliardi di dollari canadesi. Anche qui i vini fermi crescono di meno (+5,9% in quantità, a 650 mila ettolitri, e +7,3% in valore, a 289 milioni di euro) rispetto agli spumanti che, nel solo 2017, ottengono una delle migliori performance tra i Paesi clienti dell'Italia. È l'effetto Prosecco, che si fa sentire portando il comparto da 53 mila a 67 mila ettolitri (+25,6%) e da 26 a 32 milioni di euro (+24%). Il piacere di un buon bicchiere di vino italiano è comune in tutto il territorio canadese (i mercati principali sono British Columbia, Ontario, Quebec e Alberta), e anche se acquisti e distribuzione di vino e alcolici in tutta la nazione sono regolati dal Provincial Liquor Boards, nei singoli Stati ci sono monopoli, con regole d'importazione leggermente diverse tra loro, ma comunque molto ferree. Anche in questo caso i grandi eventi del Gambero Rosso rappresentano un osservatorio impareggiabile: a Vancouver hanno fatto il tutto esaurito le masterclass, una sul Prosecco Doc(ripetuta anche a Toronto) che ha confermato l'interesse crescente verso le bollicine. “Col seminario sul Prosecco vogliamo far conoscere agli esperti canadesi le peculiarità di un prodotto che ha determinate caratteristiche che dipendono dall’area di produzione. Prosecco prima che il nome di un vino è il nome di un piccolo paese che da origine a una Denominazione, con criteri precisi di produzione spumantistica”.A parlare è Tanja Barattin del Consorzio Prosecco, che ha condotto le masterclass affiancando Giuseppe Carrus, collaboratore della guida Vini d’Italia. Sempre a Vancouver la masterclass “From white to gold” ha posto l’accento sulle potenzialità d’invecchiamento del Custoza, prodotto vicino al lago di Garda: un bianco di carattere, fresco e sapido e soprattutto capace di sfidare il tempo. In assaggio 8 etichette diverse, un percorso dall’annata 2016 al millesimo 2012. A Toronto invece la masterclass ha presentato la Barbera d’Asti con le sue sottozone, a partire da Nizza, denominazione diventata da qualche anno Docg: 9 cantine per un totale di 17 etichette, dal Barbera d’Asti al Nizza, passando per alcune etichette del territorio ottenute da uve nebbiolo o ruché. “Bellissima panoramica del territorio Astigiano e del Monferrato” ci dice David De Ranieri, export manager di vino italiano “grazie al quale il trade del vino in questo Paese può apprezzare le sfumature delle diverse denominazioni italiane, vero valore aggiunto della nostra produzione”.

 

Non solo vino: alla ricerca dei migliori ristoranti italiani

A Washington, la Guida del Gambero RossoTop Italian Restaurants ha assegnato le Tre Forchette - il massimo riconoscimento - a Fiola,locale di livello assoluto, dalla proposta internazionale ma dall’animo assolutamente italiano, fondato e diretto dallo chef marchigiano Fabio Trabocchi. Vanno bene anche le trattorie: ben tre sono recensite con Due Gamberi, Al Tiramisù, Assaggi e Lupo Verde, mentre tra le pizzerie spiccano Meno Malee Pasquale's Pizzeria Napoletana, bellissima realtà di Rhode Island premiata con i Due Spicchi. Stesso discorso per il Canada: i wine tour sono l'occasione per premiare lamigliore ristorazione italiana di qualità, secondo la guida nata un anno fa Top Italian Restaurants con due premi speciali promossi da Contadi Castaldi dedicati alla cucina tradizionale italiana e la pizza all’estero. A Vancouver il premio è andato a Via Tevere, che propone una grande pizza napoletana, a Toronto, ad aggiudicarsi il riconoscimento è stato Terroni, locale presente anche a Los Angeles che da sempre è riuscito a valorizzare al pizza e la cucina tradizionale italiana all’estero.

 

 

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