Tre Bicchieri. Parla Maurizio Anfosso dell'azienda Ka*Manciné

18 Set 2018, 15:30 | a cura di

Immaginate una terreno terrazzato, con vigne ad alberello di oltre 100 anni. È lì che nasce il Beragna di Ka*Manciné, Rossese di Dolceacqua che ha conquistato i Tre Bicchieri.

 

Appena 3 ettari, nel comprensorio di Soldano sulle sponde del torrente Verbone, nel Ponente Ligure. In quell'area che vede, nel piccolo Rossese, una perla solo recentemente riscoperta. Sarà per una questione di maggiore visibilità, sarà perché incontra di più i gusti di un pubblico che inizia ad apprezzare, nei vini, la freschezza e l'eleganza rispetto alla potenza e la concentrazione. Fatto sta che il Rossese di Dolceacqua (Doc dal 1972) sta vivendo un momento felice. Anche grazie a vignaioli come Maurizio Anfosso. Patron, con la moglie, dell'azienda Ka Manciné. Appena 3 ettari, come dicevamo, tutti terrazzati e coltivati con viti ad alberello secondo la tradizione locale. Due cru: Beragna a circa 350 metri, e Galeae tra 300 e 390. E un grande talento nel saper interpretare al meglio territorio e annata.

 

Da dove deriva il nome dell'azienda?

Ka sta per casa, ma anche energia. Manciné è un soprannome di famiglia. Siamo in un paese piccolo, abbiamo praticamente tutti lo stesso cognome, così ci sono dei soprannomi per indicare le persone. Mio bisnonno Pietro era mancino e ci ha lasciato in eredità il nomignolo.

 

L'azienda a quando risale?

Ka Manciné nasce nel 1998. Avevamo l'idea di riprendere l'azienda della famiglia di mia moglie. I primi anni abbiamo prodotto solo uva, poi nel 2006 è arrivata la nostra prima etichetta: Beragna, la stessa premiata quest'anno. Da allora abbiamo sempre seguito al stessa filosofia, che è tutta nel territorio.

 

Oggi come è Ka*Manciné?

Siamo un'azienda piccola, 3 ettari di terrazzamenti con vigne ad alberello e scaraffe, i vecchi pali di legno, come è tradizione di questa zona, e una resa che è tra i 40 e i 60 quintali per ettaro. Anche se non abbiamo mai preso la certificazione bio, perché per un'azienda come la nostra è un po' complicato, siamo molto vicini a quell'approccio.

 

Per quanto riguarda la vinificazione, invece?

Anche per quello il principio è di intervenire il meno possibile. L'obiettivo principale è sempre cercare di mantenere l'annata. Siamo sulle 20mila bottiglie l'anno, massimo 22mila.

 

Beragna e Galeae sono i nomi dei vostri vini oltre che delle vostre vigne. Quali sono i caratteri dei terreni e di questi cru?

Beragna è una vigna di più di 100 anni acquistata nel '98, quindi non era della nostra famiglia. È uno scisto, un terreno calcareo marnoso, in una valle lunga 4-5 chilometri, dove il mare è a un chilometro in linea d'aria, e la sua influenza si sente. È un terreno esposto a nord est, diversamente dalle logiche delle vigne tradizionalmente esposte a sud est: questo orientamento ci salva quando fa molto caldo. Facciamo una vinificazione in acciaio con 7-8 giorni di fermentazione alcolica e si imbottiglia da marzo dell'anno successivo. Riusciamo a mantenere la freschezza. È un vino poco strutturato, punta più su eleganza e finezza.

 

Galeae è l'altro cru

È un vigneto esposto a sud est, quindi più caldo, su argille bianche e rosse. Qui da noi il terreno cambia anche nell'arco di 100 metri. È una vigna più giovane, piantata nel '98; ha rese più alte e ci dà un vino più strutturato.

 

Come mai hai scelto di utilizzare l'acciaio per le tue vinificazioni?

Perché il Rossese è un vino delicato, che ha una certa eleganza. Il legno si può usare, certo, ma bisogna avere a disposizione un'uva con una buccia più spessa, e stare molto attenti a capire quali sono i legni giusti per intervenire sul vino altrimenti si rischia di sconvolgerne la natura. Qui, in realtà, un tempo si usavano tonneau vecchie, che spesso però erano mal conservate. Quindi non era certo un elemento che migliorava il vino. Nelle prove che abbiamo fatto finora, il legno rischia di coprire la tipicità del Rossese. Ma non abbiamo abbandonato l'idea.

 

Angé però fa un passaggio in legno

Angé è la nostra riserva. Sono uve della vigna del Galeae. Fa un passaggio di 8 mesi in legno piccolo, ma non usiamo barrique nuove. Stiamo provando fino a che punto possiamo arrivare con le uve rossese, che estrazione e longevità riusciamo a ottenere. 10 anni sono possibili, è la fascia di tempo nel quale il vino si comporta meglio, ma può andare oltre.

 

State sperimentando ancora sui materiali?

In futuro vorremmo usare un materiale poroso ma che non abbia un rilascio per non rischiare di coprire il vino ma far sentire ancora di più gli aromi del vitigno. Che ha caratteristiche che un legno usato male o con tostature sbagliate rischiano di penalizzare, così che si rischia di fare peggio e non meglio.

 

Usi una percentuale di uva non diraspata. Come mai?

Assaggiando con altri colleghi anche annate molto vecchie, degli anni '60, quando cioè non si usava diraspare, abbiamo scoperto vini interessanti, più di quelli degli anni '90 prodotti senza raspi. Che sul breve periodo possono dare dei problemi al Rossese, soprattutto se tenuti su tutta l'uva, però sul lungo periodo danno qualcosa di buono. Perché quei tannini verdi dei raspi che inizialmente si integrano con difficoltà dopo qualche anno si nascondono, e fanno il loro dovere.

 

In che modo?

Il Rossese come il Pinot Nero tende alle riduzioni a dare qualche odore non piacevole, e poi a cambiare colore. Negli anni passati infatti era conosciuto più per questi suoi difetti che per i pregi. I raspi evitano tannini aggiunti, rimontaggi e altre pratiche che rischiavano di farne perdere i profumi tipici. Questo è un prodotto da trattare con i guanti. I raspi spaccano il cappello e impediscono alla massa di compattarsi favorendo l'ossigenazione e eliminando il rischio di riduzioni. Abbiamo visto che usare una percentuale di uve non diraspate - noi arriviamo al 20-30% ma ogni produttore di questa zona ha la sua formula – elimina il problema degli odori e dà più longevità al vino, oltre che aiuta a mantenere il colore.

 

Quanto è conosciuto il Rossese di Dolceacqua in Italia e nel mondo?

In Italia da qualche anno è abbastanza conosciuto. E questo anche grazie al lavoro di altre aziende della zona. Lo vediamo con le vendite che sono ben distribuite a livello nazionale. Per quanto riguarda il resto del mondo siamo in America, su entrambe le coste, in Australia, Irlanda e un po' nel nord Europa. C'è stato un incremento decisivo negli ultimi 4 anni, di pari passo a un aumento della visibilità di questo vino che fa pochissime bottiglie. Credo che il mercato abbia cambiato un po' gusti, orientandosi verso vini meno strutturati che qualche anno fa non sarebbero stati considerati.

 

Quanto contano per far conoscere un vino dalla produzione così ridotta, i premi come quello appena ricevuto?

Il Tre Bicchieri è un l'unico premio riconosciuto all'estero, riceverlo ha un grosso impatto. Questo per noi è il secondo anno e abbiamo potuto già vedere la differenza. E ce lo hanno detto anche i nostri esportatori.

 

 

Ka*Manciné - Soldano (IM) - Via Maciurina n°7 - 339-3965477 http://www.kamancine.it/

 

 

a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli

 

 

 

 
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