Certificazione troppo cara: la rivolta dei produttori

6 Feb 2012, 17:53 | a cura di

Certificare un vino a denominazione è obbligatorio, comporta costi che ogni azienda mette a bilancio. Ma in una fase di mercato complessa come quella attuale “vincolare al prepagamento la certificazione di un vino rappresenta per i produttori un ostacolo, una barriera al mercato”.

 

La denuncia del president

e dell'Unione italiana vini, Lucio Mastroberardino, raccolta da Tre Bicchieri, sta facendo discutere la filiera proprio nel momento in cui i Consorzi stanno ridiscutendo i contratti con gli enti di certificazione. Il mercato della certificazione vale circa 13 milioni di euro, che arrivano a 18 considerando prelievi, analisi dei campioni e commissioni di degustazione.

 

“Occorre capire come nascono le tariffe degli enti – mette le mani avanti il presidente di Cevico, Ruenza Santandrea – soprattutto alla luce del fatto che alcune denominazioni non pregiate presentano alti costi di certificazione. Il rischio è che i viticoltori, davanti a prezzi troppo elevati, preferiscano i vitigni internazionali che hanno costi inferiori, abbandonando la vecchia denominazione o passando ad una meno costosa”. Di fronte a queste prese di posizione, gli enti di certificazione si difendono, sostenendo che le loro tariffe non sono onerose.

 

“Quello che afferma l'Uiv – dice l'amministratore delegato di Valoritalia, Ezio Pelissetti – dimostra l'esistenza di un problema culturale, perché la certificazione dei vini è ancora vista come una tassa e non come un servizio, che serve prima di tutto a difendere la produzione e l'identità del proprio vino”. Le tariffe possono variare da 0,35 euro a ettolitro fino ai 2,5 euro. “Per le grandi Doc i costi si abbassano – aggiunge Pelissetti – ma è chiaro che è impossibile pensare a una unica tariffa nazionale”. Le differenze territoriali, il numero di prelievi, le tipologie all'interno di una stessa Doc determinano il prezzo finale: “Il prezzo non lo fa l'importanza della denominazione, ma il lavoro che dobbiamo fare noi ispettori sul territorio – spiega Antonio Manzo, responsabile filiera vino dell'Ismecert, che certifica tutte le 700 aziende campane –. Per vini che possiedono una o due tipologie, come il Greco di Tufo, applichiamo tariffe minime (circa un euro a quintale, Iva esclusa); per quelli invece che superano le 6-7 tipologie, come la Doc Sannio, abbiamo quelle massime (1,3 euro). Ci capita anche di lavorare sotto costo, in particolare quando facciamo i prelievi e le commissioni di degustazione, che il decreto del Mipaaf ci ha affidato di botto tra dicembre 2011 e gennaio 2012. Questo, purtroppo, ha ritardato la messa in funzione del nostro sistema informatizzato di comunicazione dei dati aziendali. A breve sarà pienamente operativo e potremo ulteriormente ridurre tempi e costi della certificazione".

 

Invece che lamentarsi sui costi guardiamo alla qualità dei servizi offerti – rileva Guido Giacometti, direttore generale di Siquria (che certifica grandi denominazioni come Amarone, Soave e Bardolino) –. Per quanto ci riguarda, applichiamo tariffe tra le più basse d'Italia (1,10 euro a quintale, compresa l'analisi sensoriale) e il mio mandato è quello di cercare di abbassarle ulteriormente. Inoltre, rispetto ai tempi delle Camere di Commercio, siamo riusciti a ridurre i tempi, passando da 8-10 giorni a 4 giorni lavorativi. Ma soprattutto non chiediamo alcun pagamento anticipato”.

 

Tempi ridotti e costi contenuti anche in Sicilia, conclude Dario Cartabellotta, dg dell'Istituto regionale vite e vino (che ha competenza per le 23 Doc siciliane): “Grazie a un'interfaccia telematica tutto l'iter si svolge nel giro di 18-20 giorni. Le aziende hanno una propria password, si collegano, caricano le giacenze e le etichette per le quali desiderano ricevere la certificazione. Anche noi lavoriamo per rendere tutto il sistema più efficiente”.

 

Gianluca Atzeni

06/02/2012

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