Vinitaly Report: appunti di degustazione. I vini del Sudafrica

9 Apr 2013, 13:01 | a cura di

Vinitaly non è solo vino italiano: Vinitaly racchiude il mondo enologico, realtà provenienti da ogni parte del globo con cui confrontarsi. Siamo voluti andare oltre i confini nazionali per raccontarvi qualcosa che viene da molto lontano, nello spazio ma anche nel tempo. Andiamo con ordine: nel 1661 Luigi XIV intraprende una vera e

propria crociata contro i protestanti, gli ugonotti, che sono quindi costretti ad emigrare. Vengono ospitati dalla vicina Olanda, che a sua volta li indirizza nelle sue numerose colonie, tra queste c’è il Sudafrica. Furono gli olandesi che iniziarono a piantare viti qui, intorno al 1650, ma è con i francesi emigrati circa un decennio dopo che ha davvero inizio la vita enologica del paese. Ad aver frenato lo sviluppo e la diffusione dei vini sudafricani c’è senza dubbio l’ombra dell’apartheid, per cui per molti anni la produzione è rimasta nei confini della regione. Il vitigno più diffuso, all’epoca come oggi, è lo chenin blanc: un'uva a bacca bianca da cui si ottengono vini eleganti, profumati e molto acidi, e proprio da qui abbiamo iniziato i nostri assaggi.
 
Abbiamo visitato lo stand dedicato al Sudafrica per offrirvi la nostra visione di alcune aziende di lì, molte delle quali reperibili anche nelle enoteche italiane oltre che in molti importanti ristoranti. Ecco a voi il nostro resoconto, un breve viaggio in uno dei tanti “nuovi mondi del vino” (anche se, come abbiamo visto, qui il vino non è certo qualcosa di nuovo).

 

Ayama – Chenin Blanc 2012: bianco profumato, leggero, emergono subito le note di lime, frutta tropicale, mango. Siamo a Pearl e qui la vicinanza con l’Oceano Atlantico regala alle uve che regala un tono minerale molto bello e una sapidità spiccata. È fresco, beverino, piacevole. Non indimenticabile, ma un vino gradevole per accompagnare magari un aperitivo leggero.
 
Belbon Hills – Gewürztraminer 2011: sentiamo nitidamente la rosa, una grande aromaticità non caratterizzata però dai tipici aromi di mela e pesca, presenti nella versione europea di questo vitigno. Emergono note di salvia, rosmarino e si percepisce una presenza di zuccheri molto ridotta, infine una grande acidità. Anche se non intenso e ampio come nel caso dei nostri altoatesini, ad esempio, si beve con piacere.
 
Idiom – Viogner 2009: una bellissima mandorla e una leggera tostatura ci introducono a questo ottimo bianco, il migliore sino a ora tra quelli degustati in questa occasione. Si denotano poi note di pesca, frutta matura. Il palato è rotondo, morbido, elegante e molto persistente, ancora incredibilmente vivo anche considerata l’età. Piccola curiosità in merito: i babbuini in Sudafrica sono ghiotti delle uve viogner e ogni anno il raccolto perde circa il 50% del potenziale complessivo per questo motivo.
 
Idiom - Shiraz / Mourvèdre / Viogner 2008: taglio di uvaggi stile Rodano per un rosso definbile “giovane” e alla moda. Si sente molto la speziatura, il pepe, una morbidezza che ne facilita la bevibilità. Nonostante ciò mantiene un’acidità di fondo che invoglia al riassaggio.
 
Bebon Hills – Shiraz 2008: accattivante questo rosso, giovane e vigoroso a dispetto dell’età. Il classico rosso a tutto pasto, ben fatto, con un nerbo acido che ne accompagna il sorso e che fa da sfondo a note speziate e tonalità chiaroscure. Un vino che in Sudafrica viene considerato buono, ma facile, semplice, da consumare negli aperitivi con tante varietà di cibo.
 
Idiom – Cabernet / Merlot / Cabernet Franc 2006: taglio bordolese, premiato lo scorso anno dalla rivista inglese Decanter come miglior taglio bordolese del Sudafrica. È un rosso affascinante, il migliore della batteria provata, polposo, fruttato, succulento. Colpisce ancora una volta la freschezza e la vitalità di un vino che, nonostante i sette anni sulle spalle, rimane brillante e saporitissimo, con un bouquet di profumi invidiabile.
 
Bebon Hills – Passito: forse il vino che, più di tutti, ci ha colpito. Non solo perché buono, ma non il migliore, ma per il suo particolarissimo rapporto tra naso e palato. Avvicinandosi al bicchiere si scopre subito una gamma di profumi che vanno dal rosmarino, alla frutta tropicale, albicocche fresche – e non essiccate, come sarebbe stato lecito attendere – banane verdi. Si rimane spiazzati, davvero un bel naso, diverso e caratteristico. Al palato è più coerente con l’idea di passito, anche senza avere un residuo zuccherino altissimo che non rende stucchevole, tutt’altro.
 
a cura di Alessio Noè
09/04/2013

 

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