Cibo e sostenibilità. La risposta di 7 città del mondo al problema alimentare

4 Dic 2018, 11:00 | a cura di

Il rapporto presentato in occasione del nono Forum internazionale sull'alimentazione e la nutrizione, promosso da Fondazione Barilla, confronta i passi in avanti fatti da 7 grandi città del mondo in tema di sostenibilità alimentare. Per l'Italia c'è Milano. Ecco come si può contrastare la crisi alimentare. 

La crisi alimentare nelle grandi città

Sette differenti approcci al problema della sicurezza alimentare per sette grandi città del mondo impegnate per raggiungere un obiettivo comune, anzi due, strettamente correlati tra loro: migliorare l'accesso al cibo e promuovere pratiche di produzione e consumo sostenibili. All'appello con il Forum internazionale sull'Alimentazione e la Nutrizione, organizzato qualche giorno fa da Fondazione Barilla all'Hangar Bicocca di Milano (il nono incontro nella storia del Forum), rispondono forze istituzionali ed esperti riuniti per rispondere alla vera sfida del nostro tempo, quella sostenibilità che rischia di restare solo un concetto affascinante di cui riempire i discorsi e invece può (deve) essere l'urgenza all'ordine del giorno nel tentativo di immaginare un futuro migliore. Dunque è lo studio su Cibo e Città presentato in occasione del summit a fornire un quadro incoraggiante di quanto sta succedendo nel mondo – in alcune delle maggiori città – per rispondere agli obiettivi dell'Agenda 2030 promossa dall'Onu. Il terreno di confronto è quello dei grandi centri abitati, dove entro il 2050 si concentrerà l'80% della popolazione mondiale: campo di battaglia assillato dalla crisi alimentare, soprattutto in termini di spreco e difficile accessibilità al cibo. Il rapporto stilato da ricercatori e responsabili delle politiche alimentari delle municipalità coinvolte vuole essere quindi un punto di (ri)partenza per ispirare soluzioni possibili, e insieme un momento di confronto per riflettere su ciò che è stato fatto sin qui. Sette le città prese in considerazione: New York, Rio de Janeiro, Ouagadougou, Tel Aviv, Seul e Sydney e, per l'Italia, Milano. Ad accomunarle è l'impegno dimostrato nel promuovere un nuovo approccio alla produzione e al consumo di cibo orientando le abitudini alimentari delle comunità urbane e le pratiche degli operatori del settore. Ecco, in sintesi, quanto di buono ciascuna ha fatto fino a questo momento, con l'auspicio di continuare su questo percorso.

 

L'esempio di Milano

Partiamo da Milano per riscontrare come procede l'impegno preso in occasione di Expo 2015 dall'amministrazione meneghina. Obiettivo: ridurre lo spreco alimentare del 50% entro il 2030. Due i fronti di manovra privilegiati, con l'intervento diretto sui consumi familiari – che generano il 40% delle eccedenze alimentari per errate abitudini di acquisto e consumo – e il recupero delle eccedenze alimentari generate dalle mense scolastiche della città (oltre 400). Nel primo caso si è scelto di premiare chi dona il cibo in eccesso con sgravi fiscali (sulla scia della legge Gadda in vigore su scala nazionale); tra le mense, invece, sono oltre 100 quelle coinvolte nelle ridistribuzione di pane e frutta in eccesso durante la merenda.

 

La salute passa dal cibo. New York, Sydney, Seoul

Dall'altra parte dell'oceano, invece, New York si è impegnata per migliorare le abitudini alimentari della comunità stimolando la consapevolezza dei cittadini verso il consumo di cibi più salutari, favorendo al contempo l'accesso al cibo sano a prezzi accessibili. Tra i provvedimenti più efficaci (e chiacchierati), il pacchetto di norme che oggi regolano i pasti al ristorante, con l'introduzione di simboli specifici sui menu, a fare il paio con le etichette informative previste per i prodotti che contengono elevati livelli di sale. Ancora diverso l'approccio di Sydney, dove circa 17mila persone non possono permettersi di acquistare cibo. La metropoli australiana ha lavorato quindi sul sostegno allo sviluppo di un'industria alimentare sostenibile, incubando e finanziando le imprese alimentari impegnate in tal senso e riunite sotto la tutela del FoodLab promosso dall'Università di Sydney. A Seoul, intanto, maturava il progetto Eco School: il sistema alimentare coreano per tradizione è impostato su abitudini che privilegiano il consumo di cibi benefici per l'organismo. La città ha quindi investito oltre 2,5 miliardi di dollari per servire nelle mense scolastiche cibo salutare e di qualità. Abbattendo così le differenze economiche che non permettono a molte famiglie di garantire un'adeguata alimentazione ai propri figli.

 

Gli orti urbani di Tel Aviv, le reti agricole di Rio e Burkina Faso

A Tel Aviv l'urgenza di favorire corrette abitudini alimentari ha invece incentivato lo sviluppo di un'agricoltura urbana praticata sui tetti degli edifici pubblici e dei centri commerciali della città, con orti coltivati in idroponica grazie a tecnologie avanzate, che riforniscono anche i principali ristoranti della città. E intanto sgravi fiscali e incentivi hanno favorito la diffusione di pratiche sostenibili tra privati e attività commerciali, spinte a risparmiare corrente elettrica e acqua. Più difficile il cammino di Rio de Janeiro, dove la crescita demografica galoppante mette a rischio un territorio soggetto ad antropizzazione incontrollata, e le sacche di povertà sono sempre più estese. Di fatto, quindi, la città è ancora in cerca di soluzioni efficaci per sviluppare una cultura del cibo sostenibile, e al momento punta sul coinvolgimento delle imprese agricole locali, con sostegni economici volti a premiare le realtà virtuose. Ugualmente dura la lotta di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, che ha risposto all'importante crescita demografica degli ultimi anni con lo sviluppo di una rete di produzione agricola urbana quanto più possibile efficace. Come? Innanzitutto dotando i dintorni della città di 71 bacini acquiferi che alimentano la produzione e favoriscono l'impresa agricola, offrendo un'importante risorsa per sfamare la popolazione locale.

Obiettivi comuni, soluzioni calibrate sulle necessità del territorio e delle diverse culture alimentari. Con la speranza che il confronto possa alimentare nuove buone pratiche.

 

a cura di Livia Montagnoli

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