Vigne a Venezia. Il terroir dove meno te lo aspetti

24 Ott 2013, 08:15 | a cura di
Al Gambero Rosso si raccontano i produttori che hanno dato vita a Le Vigne di Venezia, vincitori del XXXII Premio Masi per la Civiltà del Vino. Parola a Flavio Franceschet, Gianluca Bisol e Michel Thoulouze: ecco come hanno recuperato gli storici vigneti della Serenissima.

Produrre vino nella Laguna è un privilegio unico. Qui la terra è preziosa e bisogna difenderla, strappandola all’acqua e recuperando l’antica funzione delle isole come spazi agricoli coltivati, un’impresa da titani. Per questo ci vogliono proprio degli “angeli matti” come Michel Thoulouze, ex imprenditore del settore televisivo che sulla fertile isola di Sant’Erasmo ha reimpiantato 4 ettari di vigneto, o Gianluca Bisol, discendente di una storica famiglia di viticoltori di Valdobbiadene, che sull’isola di Mazzorbo ha fatto rivivere l’antichissima Dorona, o ancora Flavio Franceschet, architetto ed ex insegnante, anima del dell’associazione no profit La Laguna nel bicchiere - Le vigne ritrovate, che fa scoprire la campagna nella città di Venezia. I tre, seppur con percorsi diversi, si sono trovati accomunati dal vino e dai suoi legami con la storia e la cultura di Venezia e hanno vinto il XXXII Premio Masi, sezione Civiltà del Vino. Personaggi tutti da raccontare che hanno dato vita a Le Vigne di Venezia.

Flavio Franceschet ha iniziato nel 1993 “Ero insegnante di educazione tecniche alla scuola media Calvi” ci racconta “e per far percepire ai miei ragazzi il senso più profondo del territorio, organizzavamo la vendemmia andando negli orti e nei conventi dove esistevano dei vecchi vigneti o dei pergolati”. Conventi come quello degli Scalzi, a San Francesco della Vigna, al monastero di Sant’Elena, a San Michele in Isola dove c’è la cantina ma anche nel giardino della Casa di riposo Ire. “Quando sono andato in pensione, insieme ad altre persone” continua Franceschet “abbiamo organizzato la prima rassegna dei Vini di Laguna durante la Festa della Bragora. Da qui si è sviluppata l’idea di intraprendere il recupero delle vigne storiche, di sperimentare vinificazioni, di classificare e identificare le vigne, attivando un vero e proprio censimento. L’obiettivo è la difesa del paesaggio e la salvaguardia del territorio, legati al piacere del cibo e del vino”. Da qualche tempo poi è iniziata la collaborazione con l’azienda La Ganga di Alfio Lovisa di Rauscedo, nella Grave. “Noi gli diamo le marze” spiega “e lui come vivaista biodinamico ci fornisce le barbatelle. Alla Giudecca ora stanno sperimentando biologico, biodinamico e permacultura. Quando l’uva è pronta viene selezionata a mano e pigiata con i piedi dai bambini nella cinquecentesca cantina di San Michele”.

Gianluca Bisol, produttore di Valdobbiadene, ha sempre portato i suoi clienti a visitare i luoghi della Venezia nativa. Ovvero quell’area un tempo densamente popolata di Torcello, Mazzorbo, Burano da cui, a seguito delle invasione barbariche, la popolazione fuggì rifugiandosi in quella che poi sarebbe diventata la Venezia attuale. Di fronte alla splendida basilica di Torcello, nel giardino di un antiquario vide circa 300 ceppi di vite, sopravvissuti a mille traversie. “Ho scoperto così la Dorona”ricorda Bisol “un vitigno di cui già si parlava nel 1400 che poi ho portato lì di fronte, sull’isola di Mazzorbo. Nel mio piccolo ho cercato di recuperare questa tradizione viticola partendo proprio dalla Dorona, piantandola in 1 dei 2 ettari della tenuta lasciando l’altro agli anziani di Murano per fare un orto comune e un frutteto”. Durante l’anno l’acqua alta ricopre queste terre anche sette o otto volte lasciando sabbia, sale ma anche sali minerali utili per il vino. La prima vendemmia è stata nel 2010, l’ultima è stata l’8 settembre 2013, poco più di 35 quintali di uva. “Siamo soddisfatti” dice Bisol “di aver contribuito a rallentare il calo demografico di queste isole generando una quindicina di nuovi posti di lavoro. Adesso, insieme agli anziani, stiamo lavorando per far crescere anche tra i bambini la consapevolezza di quanto sia importante la terra in un luogo come Venezia”.

E proprio la terra è stata la molla che ha fatto scattare la trasformazione di Michel Thoulouze, da fondatore di televisioni (oltre 60, compresa Tele+) a vignaiolo santerasmino come lui si considera e come tale viene considerato dagli altri contadini dell’isola che gli ripetevano quanto fosse “buono” il terreno del suo podere. Dopo aver liberato la sua tenuta di 11 ettari dai rovi accumulati negli anni, su 4,5 ettari ha rimesso i vigneti laddove ci sono sempre stati. D’altra parte nelle mappe settecentesche il suo podere era identificato come “La vigna del nobiluomo”. Qui a dargli una mano sono venuti Alain Graillot (Crozes Hermitage) e l’agronomo consulente del Domaine de la Romanée Conti, Claude Bourguignon. “Ora il mio vino Orto di Venezia” dice, spiegando che una volta Sant’Erasmo era conosciuta come l’orto dei dogi “si vende in tutta Europa e in molti grandi ristoranti di Francia. Ma tutto dipende dalla terra e se il mio vino è buono è perché la terra a Sant’Erasmo è buona”. Già, perché alla fine è sempre solo una questione di terroir e di passione. Il vino delle piccole isole, anche lagunari, ha una punta in più.

Bisol www.bisol.it
Orto di Venezia www.ortodivenezia.com

di Andrea Gabbrielli

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 10 ottobre. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.

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