Addio a Paolo Villaggio. Tic, mode e manie degli italiani a tavola raccontate dal ragionier Fantozzi

3 Lug 2017, 13:34 | a cura di

Genovese, classe 1932, l'attore si è spento al Policlinico Gemelli di Roma, all'età di 84 anni. In lotta con la bilancia nella vita di tutti i giorni, è il suo personaggio più celebre ad aver rappresentato l'italiano medio a tavola attraverso il suo controverso rapporto con il cibo: compulsione, moda, consolazione per le difficoltà di una vita mediocre, status symbol. 

L'uomo medio italiano è anche quello che lotta con la bilancia, annaspa tra le regole di un'etichetta bon ton che non gli appartiene al tavolo della dirigenza tra portate che irridono la nouvelle cuisine (nel senso deleterio del termine), si abbuffa davanti alla tv. È certo l'epopea fantozziana il ciclo che resterà più impresso nella memoria cinematografica collettiva. Perché il contributo di Paolo Villaggio al racconto di un'epoca, di una condizione umana che ci accomuna tutti, di una società che ride di se stessa filtrata dalla voce antiretorica, dissacrante e provocatoria di quel personaggio talmente caricaturale da essere brutalmente vero, si spinge ben oltre la macchina da presa. E celebrare quella comicità che per decenni ha concentrato in sé tutte le frustrazioni di un uomo come tanti, nel giorno (triste) della scomparsa di chi le ha dato un volto – e un'anima – è un atto dovuto. Ma anche un piacere velato dall'ombra della nostalgia, mentre sullo schermo scorrono gli spezzoni di un'antologia fatta di scene memorabili (quanti ne conoscono ogni battuta a memoria?).

 

Mode e manie a tavola

Molti di quegli sketch hanno a che fare col cibo, uno degli elementi che il ragionier Fantozzi mette in scena per esprimere il suo disagio esistenziale. Goffo e ingordo, sin dalla fisicità appesantita che immediatamente lo caratterizza, così fuori posto intorno alla tavola compassata di casa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare (nel Secondo Tragico Fantozzi) o malamente agghindato al ristorante giapponese all'ultimo grido per compiacere la signorina Silvani, in veste di improbabile intenditore di sake e “triglie alla livornese”: è il 1975, e la pellicola capostipite della saga di Fantozzi anticipa quella mania per la cucina esterofila e orientale che avrebbe imperversato in Italia nei decenni a seguire. A rimetterci la pelle sarà l'amatissimo pechinese della Signorina, Pier Ugo:

 

Fantozzi e la dieta

Del resto il ragioniere ci prova pure a rimettersi in forma, sul campo da tennis all'alba di un giorno di gennaio col fido ragionier Filini, fino agli estremi rimedi della dieta forzata presso la clinica-prigione Le Magnolie. Di nuovo il cliché di una società ossessionata dal cibo, ma perennemente in lotta con i chili di troppo, dove la forma fisica diventa uno status symbol, da pagare a caro prezzo, e non solo in termini di parcella: dieci giorni di digiuno assoluto, la tortura olfattiva, il vitto di contrabbando notturno. Finisce con due porzioni di pappardelle al sugo di lepre pagate in cambiali già compilate:  

E in crescendo, con la mitica scena delle “polpette di Bavaria”, da guardare senza poter assaggiare. Come Fantozzi si ingegna per rubarle lo ricorderanno tutti i cultori della commedia all'italiana:

 

Cibo consolatorio

Nel cibo Fantozzi annega le delusioni della vita familiare e professionale: una fame compulsiva che è gratificazione illusoria e al contempo alienazione dal mondo difficile che lo aspetta all'esterno. Ecco allora le abbuffate sul divano, con gli occhi fissi sulla tv: la mitica frittatona di cipolle, gli spaghetti, la birra ghiacciata. Quando mette piede fuori di casa, invece, le situazioni imbarazzanti che lo aspettano diventano sempre più tragicomiche. E nel migliore dei casi lo ritroviamo con un vassoio di lenticchie rovesciato sulla testa, durante il veglione di Capodanno. O mentre cerca di trovare rimedio alla “tragica caratteristica” di un pomodorino a 18mila gradi:

Insomma, è la dimensione farsesca quella che più gli appartiene, una parodia ai limiti del surreale, ma lucidissima analisi della realtà, con la sveglia puntata alle 7.51, i tre secondi “per bere il maledetto caffè della signora Pina a tremila gradi fahrenheit” e il “caffelatte con pettinata incorporata” nell'ingranaggio calcolato che lo accompagna al timbro del cartellino, croce e delizia dell'Italia impiegatizia degli anni Settanta:

Alla fine il ciclo si articolerà in dieci episodi, a testimoniare il successo di un'invenzione senza tempo. Ma Paolo Villaggio, scomparso da poche ore all'età di 84 anni presso il Policlinico Gemelli di Roma dov'era ricoverato – peraltro anche nella vita sempre in conflitto con il cibo, bulimico, lui che era gravemente malato di diabete: “era un cialtrone con il cibo, capace di mangiare dopo un dolce anche un piatto di aglio e olio o pasta e ceci” ricorda con affetto stamattina Lino Banfi, intervistato da La Repubblica - è stato anche molto altro. Attore (recitò per Fellini, Olmi, Monicelli) e caratterista (c'è anche il Fracchia che lavora nell'azienda che produce merendine), certamente, ma anche scrittore, autore di canzoni, pensatore. Mercoledì 5 luglio alla Camera Ardente in Campidoglio lo saluteranno per l'ultima volta in moltissimi. Ma la sua comicità grottesca continuerà per sempre a raccontare i tic di un'epoca. Anche a tavola.  

 

a cura di Livia Montagnoli

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