Agricoltura in cerca di manodopera stagionale. E se la soluzione fossero i braccianti irregolari?

4 Apr 2020, 09:58 | a cura di
Oltre che sulla manodopera straniera regolare, che ora viene a mancare, l’agricoltura italiana continua a fare affidamento sul lavoro nero e sullo sfruttamento dei braccianti irregolari. Molti di loro vivono in ghetti che li espongono maggiormente al rischio di contagio. Ma potrebbero essere una risorsa: è il momento giusto per regolarizzarli.

L’agricoltura ha bisogno di manodopera stagionale

Mentre nel veronese fioccano le risposte di studenti e cassaintegrati all’appello lanciato da Confagricoltura Verona per reperire lavoratori stagionali da impiegare nei campi (la raccolta di fragole e asparagi è imminente), la commissione Bilancio del Senato rigetta la possibilità, paventata dal presidente Coldiretti Ettore Prandini, di reintrodurre il voucher agricolo per semplificare le operazioni di reclutamento e pagamento di nuova forza lavoro in questo contesto inedito. Resta all’ordine del giorno, dunque, l’allarme lanciato dagli addetti ai lavori della filiera agricola, che si trova a fronteggiare un’imponente mancanza di manodopera, dovuta al venir meno dei lavoratori stagionali stranieri. Per altri versi, però, i braccianti agricoli stranieri presenti in Italia sono ancora numerosi.

Il popolo dei braccianti irregolari

Si tratta di immigrati irregolari, in maggioranza provenienti dal continente africano, che il sistema agricolo nazionale – terreno ancor fin troppo prolifico per il lavoro in nero – non ha mai avuto interesse a mettere in regola. Cedendo così il passo al caporalato, piaga che indistintamente affligge le campagne italiane da Nord a Sud del Paese, nonostante i tentativi ricorrenti di normare il settore (ma il problema si risolverà veramente solo quando lo Stato saprà sottrarre ai caporali gli strumenti di controllo sul territorio). In piena emergenza Coronavirus, la situazione dei braccianti irregolari si è aggravata ulteriormente.

Vita in un ghetto di braccianti nel Sud Italia

L’emergenza contagio nei ghetti. Un appello per i diritti

Le condizioni igieniche e sociali nei ghetti tristemente noti del Sud Italia (da San Ferdinando in Calabria alla Capitanata foggiana) non sono mai state sostenibili, e ora l’aggressività del virus rischia di trasformare queste cittadelle dimenticate dal mondo in bombe epidemiologiche pronte a esplodere. La lettera-appello redatta da Terra! e Flai Cigl qualche giorno fa parte da questa premessa per contenere i danni: “C’è il rischio che il Covid-19 arrivi in quegli insediamenti, tramutandoli in focolai della pandemia. Ma le soluzioni ci sono: i Prefetti – destinatari di nuovi poteri a seguito del DCPM del 09 marzo – possono adottare disposizioni volte alla messa in sicurezza dei migranti e richiedenti asilo presenti sul territorio, mediante l’allestimento o la requisizione di immobili a fini di sistemazione alloggiativa. Le risorse necessarie per gli eventuali interventi di rifacimento e adeguamento degli immobili requisiti potrebbero essere attinte dalla dotazione del Piano Triennale contro lo sfruttamento e il caporalato”. Nella Capitanata, per esempio, il messaggio è stato recepito, ed è ora attiva una foresteria d’emergenza che può ospitare 200 persone (ma nei ghetti della provincia di Foggia vivono 5mila persone, e ne contano 1200 le baraccopoli della Piana di Gioia Tauro, in Calabria; mentre sono 10mila gli immigrati, soprattutto africani, impiegati nelle campagne del casertano, nell’area di Castel Volturno, ora assistiti da Emergency, con grande difficoltà). Ma è una goccia nel mare.

Regolarizzare i braccianti irregolari. Una risorsa per il settore

Tanto più che proprio considerando la difficoltà a reperire manodopera stagionale, i braccianti irregolari potrebbero costituire una risorsa importante. A patto però di concedere loro una sanatoria per accedere a cure e lavoro (il Portogallo, per esempio, ha appena approvato una regolarizzazione temporanea per chi è sprovvisto di permesso di soggiorno, fino al 1 luglio), regolarizzando il loro ruolo nella filiera in applicazione dei contratti collettivi agricoli, e contrastando al contempo il lavoro nero e il caporalato, come specifica un passaggio essenziale della lettera in questione: “Questo però non dev'essere uno strumento per rifornire il settore primario di lavoro a buon mercato in un momento di shock economico. È necessario, pertanto, rafforzare le misure di contrasto al lavoro nero e favorire l'assunzione di chi sta lavorando in maniera irregolare”.

Ma sarebbe un peccato se il dibattito perdesse di mira l’obiettivo, spostandosi solo sul piano politico alimentato dallo scontro tra fazioni opposte, come sta accadendo nelle ultime ore. Sanare la posizione degli irregolari non esclude l’opportunità di coinvolgere disoccupati e cassaintegrati nella risoluzione dell’emergenza, fornendo loro una fonte di guadagno alternativa in un momento di necessità (tramite voucher agricolo, che però non contempla copertura per malattia e infortuni?). All’appello mancano 200mila addetti ai lavori stagionali, c’è posto per tutti. La priorità è procedere in fretta. Non solo per garantire la produttività del settore, ma anche per salvaguardare i braccianti stranieri da un’emergenza che ha aggravato, se possibile, le loro condizioni di vita. Il ministro Teresa Bellanova sembra aver raccolto l’istanza, intervento in merito al dibattito Agricoltura a rischio, organizzato da Più Europa. Ora è necessario che le buone intenzioni diano adito a provvedimenti concreti.

 

a cura di Livia Montagnoli

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