Allarme dall’industria conserviera italiana: non c’è più latta per i barattoli di pomodoro

7 Giu 2021, 14:59 | a cura di
La produzione a scartamento ridotto delle acciaierie rischia di danneggiare l’industria conserviera italiana, che, specie per far fronte all’imminente campagna di trasformazione del pomodoro, necessita di 800mila tonnellate di banda stagnata. Il rischio per il consumatore? Un evidente rincaro dei prezzi a scaffale.

L’invenzione delle latte per conservare il cibo

Per la filiera della trasformazione del pomodoro, luglio è un mese cruciale. Il periodo della raccolta entra nel vivo, il processo di lavorazione si mette tempestivamente in moto per preservare la freschezza del prodotto, destinato a finire sugli scaffali dei supermercati imbottigliato o inscatolato nelle caratteristiche confezioni di latta che identificano uno dei metodi di conservazione più longevi dell’industria di trasformazione alimentare. La fama delle latte di pomodori pelati affonda le radici nel 1867, anno dell’Esposizione Universale di Parigi, quando il metodo sistematizzato a cavallo tra XVIII e XIX secolo dal francese Nicolas Appert trova applicazione presso lo stabilimento torinese di Francesco Cirio, che nel processo di appertizzazione – inizialmente applicato al cibo conservato in bottiglie, sterilizzate tramite bollitura a bagnomaria – intravede il futuro dell’industria conserviera. Cirio pone così le basi per la crescita di un’impresa fiorente, capace di esportare prodotti in tutto il mondo. Nel ’67 presenta le sue latte a Parigi, ottenendo numerosi riconoscimenti. Alla sua morte, nel 1900, l'industria "Cirio - Società Generale delle Conserve Alimentari" è già una delle più grandi e prestigiose aziende agro-alimentari d'Europa. L’uso della latta in ambito agroalimentare è dunque stato sdoganato più di un secolo fa. Ma ora potrebbe entrare in crisi.

Scarseggia la latta. Ecco perché

All’origine del problema, ancora una volta, c’è la pandemia. Nell’ultimo anno l’acciaio in arrivo dai produttori asiatici è diminuito, e l’Europa non è in grado di sopperire con le sue riserve. Al contempo, però, la richiesta di conserve in barattolo è aumentata. Il corto circuito è stato inevitabile: la latta non basta, e quella disponibile è salita notevolmente di prezzo, con picchi fino al 60%. A Genova, nell’ex stabilimento Ilva che fornisce gran parte del comparto nazionale, attualmente si producono 100mila tonnellate di banda stagnata, mentre il fabbisogno nazionale dell’industria conserviera è pari a 800mila tonnellate, anche perché l’Italia, al pari della Cina, è nel mondo seconda solo agli Stati Uniti per produzione di conserve di pomodoro. Ma la preoccupazione riguarda l’intera gamma di conserve in barattolo: “Per quanto riguarda il settore delle conserve, abbiamo un consumo di scatole importante, perché l’acciaio rappresenta da sempre il principale packaging sia per i legumi che per il pomodorospiega al Corriere della Sera Giovanni De Angelis, direttore di Anicav, l’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali— Oltre i due terzi del nostro prodotto viene confezionato in scatole di acciaio”.

Il rincaro dei prezzi è inevitabile?

Proprio per il pomodoro, però, ora si prospetta una lotta contro il tempo, determinata dalla deperibilità del prodotto raccolto in campo, che dev’essere confezionato fresco, per non compromettere la qualità delle conserve. Il funzionamento abituale della filiera lo riassume sempre De Angelis, evidenziando la difficoltà del momento: “L’organizzazione della produzione delle scatole viene pianificata in anticipo, fino ad arrivare alla campagna di trasformazione, che per il pomodoro, diversamente dai legumi, è guidata dal processo di maturazione del prodotto, che non può andare oltre le 12-24 ore da quando viene raccolto. C’è dunque un’attività in parallelo che nei mesi tra agosto e settembre, in particolare, deve essere coordinata e programmata”. Come sopperire, dunque, alla scarsità di latta? Al momento si profila inevitabile il rincaro del costo delle conserve in scatola, diretta conseguenza di un aumento del costo dell’acciaio. Sul prodotto finito, se le cose non cambieranno, questo potrebbe tradursi in prezzi a scaffale più alti anche del 10% per il consumatore finale, in contemporanea, peraltro, con la crescita della domanda di prodotti a lunga scadenza determinata dalla preoccupazione delle famiglie italiane (e non solo) per la pandemia. Con il graduale ritorno alla normalità la richiesta dovrebbe rientrare, come pure sarà destinata a riprendere a buon ritmo l’attività delle acciaierie: “Stiamo interagendo con fornitori che esprimono criticità, ma che stanno lavorando per risolverle”, spiega De Angelis. L’auspicio è che non sia troppo tardi.

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram