10 motivi per cui l'arrivo di Starbucks in Italia non è una catastrofe

2 Mar 2016, 13:30 | a cura di

A un anno dall'arrivo di Starbucks a Milano sfatiamo un mito: non è il male assoluto e non è la morte della cultura del caffè. Non più di quanto lo siano, spesso, i nostri bar. Tra l'altro nessuno vi obbliga a bere sbobbe americane se non vi piacciono...

"Eccoli, ora ci porteranno sbobbe americane insultando la patria del caffè. E magari faranno chiuderei i nostri bar". Questa, nelle varie sfumature, è stata la reazione media alle notizie che via via si sono susseguite, fino all'ufficialità definitiva, riguardo all'apertura di Starbucks in Italia.

 

Ora lo sbarco è sicuro: 2017 a Milano. Altrettanto sicure sono le critiche, perché il brand Starbucks fa parte di quei marchi che dividono il pubblico tra tifosi e detrattori, un po' come Apple. Ma se l'azienda che produce l'iPhone non ha concorrenti locali, Starbucks si andrà a confrontare con una delle culture del caffè più straordinariamente radicate del mondo: una sfida che è stata procrastinata per decenni e che finalmente è stata lanciata.

 

Il caffè in Italia, tra riti e umiliazioni

L'Italia non è il primo consumatore mondiale di caffè procapite, ma con ogni probabilità è il paese dove questa bevanda ha un ruolo sociale, culturale e antropologico più cruciale e irrinunciabile. Tuttavia, come capitato per tante altre eccellenze dell'Italia, anche questa è stata maltrattata e umiliata negli anni, fino al punto di diventare l'ombra di se stessa.

E così chi critica Starbucks fatica a rendersi conto della realtà: ovvero che oggi in Italia si beve mediamente pessimo caffè, lo si fa in contesti inadeguati, sciatti, scadenti dal punto di vista dell'esperienza di consumo e del servizio. Chi critica fatica a capire, insomma, che Starbucks, nel frattempo, è diventato mediamente superiore del bar italiano tipo: la catena di Seattle è migliorata, i nostri gloriosi caffè terribilmente peggiorati. Ovviamente al netto delle eccellenze, dei posti di qualità, degli imprenditori accurati, seri, rigorosi. E onestamente lo possiamo dire noi più di altri: il Gambero infatti tiene d'occhio il comparto da anni e realizza la prima e unica guida del settore (Bar d'Italia), un autentico caso editoriale per qualità, cura e unicità. Inoltre, da un annetto a questa parte, siamo impegnati a documentare il mondo delle torrefazioni indipendenti, degli specialty coffee, dei bar alternativi, all'estero ma anche in Italia (che, proprio come Starbucks - mutatis mutandis - propongono sistemi di estrazione che non si limitino all'espresso).

Proprio in virtù di questa grande attività di analisi, indagine e ricerca in questo ambito ci permettiamo anche di giocarci su, ad esempio con una lista come questa. Che prova a mettere in fila non gerarchica i 10 motivi per cui l'arrivo di Starbucks non deve spaventarci, perché Starbucks sarà anche il male, ma comunque è meglio del bar italiano medio.

 

10 punti sui cui riflettere per migliorare

 

1. Stagionalità

I bar italiani medi (da qui in avanti solo "bar italiani", tanto ci siamo capiti che qui non si prendono le poche eccellenze) sono immutabili. Ci entri a marzo o a ottobre e l'offerta è la stessa. Starbucks, furbo, anche per sollecitare i consumi, segnala le stagioni con cura, e cuce addosso ai mesi dei prodotti ad hoc. A ottobre trovi tutte cose tematizzate alla zucca, a aprile no di certo.

 

2. Servizio&servizi

Il servizio di Starbucks è standardizzato e cordiale. Il personale riceve una formazione professionale, sa come comportarsi. Nel bar italiano si va a fortuna, in molti casi grande accoglienza e calore, in altri casi cafonaggine da Guinness. Però il caffè e il cornetto (ovviamente decongelato, quasi sempre), costa uguale in entrambi i casi. Pietoso velo poi sui servizi igienici. Il confronto rischia di essere spietato.

 

3. Tasse

I punti vendita Starbucks pagano le tasse, battono lo scontrino, si sa quanto fatturano, si sa se il loro fatturato sale o scende. Prendete 20 caffè da Starbucks e otterrete 20 scontrini fiscali; prendete 20 caffè in 20 bar normali e fateci sapere...

 

4. Personale

Starbucks è una multinazionale. I costi sono compulsati al millimetro e quindi, chiaramente, il personale non è strapagato. Anzi. Tuttavia tutti coloro che vedete lavorare negli store sono stati messi regolarmente sotto contratto, hanno uno stipendio pagato puntualmente e tutto il resto. Vi sembra una banalità?

 

5. Il caffè

Al di là dei gusti e delle considerazioni tecniche sulla qualità delle miscele proposte, Starbucks è il primo touch point che milioni di persone hanno con il mondo del caffè. Queste persone, grazie a Starbucks (sia nei menù che negli scaffali dove i prodotti sono in vendita), scoprono che non esiste "il caffè", ma esistono "i caffè" modulati in tante varietà, in tante miscele, in diverse origini. Apprendono il tema della sostenibilità. Vengono resi edotti sulle caratteristiche e sulle aree di produzione anche grazie a piccoli compendi formativi. Nessuno in un bar tradizionale italiano è in grado di insegnarti queste cose, il risultato è che quello italiano è forse il popolo che sa meno di caffè in occidente. Altro che patria della tazzulella...

 

6. Orari di apertura

Starbucks fa orari più generosi, quasi sempre, di un bar tradizionale. Non di rado almeno fino alle 21.30. Quando non fino alla mezzanotte.

 

7. Arredamento, decor, design

L'arredamento di Starbucks non è bello (salvo alcune eccellenti eccezioni), ma ha una sua coerenza, una sua ergonomia, una sua logica e soprattutto risponde a un progetto ben preciso. Qualcuno, signori, ha "pensato" a come allestire quel dannato punto vendita. Pen-sa-to. Ora, con questo concetto in testa, guardate il vostro bar di fiducia con un occhio un pelo più critico e riparliamone... Ecco, è così per quasi tutti i bar medi italiani: arredamento imbarazzante, complementi d'arredo imbarazzanti, oggettistica atroce e la variopinta messe di espositori regalati dai diversi brand (i peggiori, ovviamente). Poi ci sono le eccezioni che sono mille volte più belle e comode del più ambito divano di Starbucks, ma sono eccezioni appunto.

 

8. Wi-fi

Percentuale di bar Starbucks dotati di wi-fi libero e abbondante? 100%

Percentuale di bar italiani medi dotati di un wi-fi libero? Dato molto inferiore.

 

9. Un luogo di aggregazione

In un bar italiano ti guardano male (e infatti spesso ti fanno pagare di più se ti siedi, non è così da Starbucks) se stazioni con il tuo caffè troppo a lungo. E attenzione non stiamo parlando esclusivamente di quei bar dove per questioni di spazio il turnover è in qualche modo fisicamente obbligatorio, no, parliamo anche dei posti pieni di tavolini a perdita d'occhio, prevedibilmente tutti mezzi vuoti perché, appunto, consumare lì costa pressoché il doppio. A Starbucks puoi stare, lavorare, familiarizzare, far conoscenze e andartene via esattamente quando ti pare e piace. Tutto questo che valore ha? Enorme.

Il bar italiano medio è concepito immutabilmente per una clientela di travet o di ministeriali dotati di enne pause caffè ciascuna da trenta secondi. Starbucks dà invece delle risposte ai bisogni di liberi professionisti, grafici, architetti, smanettoni, scrittori, perditempo, ricchi nullafacenti e autori di romanzi che magari proprio grazie al valore di quel relax firmeranno un successo. Il piccolo dettaglio fin troppo trascurato è che la clientela liquida di chi non ha orari da ufficio tradizionale è in aumento, mentre l'altra è in diminuzione...

 

10. Il rispetto per l'Italia

Starbucks ha dimostrato, a parole e a fatti, di avere rispetto per il nostro paese. Ha aperto qui dopo mille ripensamenti perché ci considera sinceramente la patria del caffè, sta pensando a come strutturare il suo primo punto vendita che magari, udite udite, avrà un bancone all'italiana (dove stare) e non all'americana (dove pagare soltanto). Allo stesso modo i bar italiani hanno dimostrato rispetto verso l'Italia e la sua ancestrale cultura del caffè?

 

Lungi da noi denigrare un'intera categoria di esercenti, ma qualche forzatura speriamo serva da sollecito e da sprone a cambiare. Dieci motivi, insomma, per convincersi che l'arrivo di Starbucks non sarà una minaccia per la nostra "industria" del bar, ma magari un'opportunità e uno stimolo a migliorare. Peraltro c'è tempo un anno dunque si potrebbe valutare anche l'ipotesi di farsi trovar pronti.

 

a cura di Massimiliano Tonelli

 

 

 

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