30 anni di Pont de Ferr a Milano. Dall’osteria alle guide, e ritorno. Intervista a Maida Mercuri

30 Dic 2016, 14:00 | a cura di

Alla fine degli anni Ottanta, Veronelli la definiva patronne e sommelier “elettiv’erettiva”, riassumendo le qualità di una donna che per il vino e la ristorazione ha speso gran parte della sua vita. Dopo esattamente 30 anni Maida Mercuri è ancora alla guida del Pont de Ferr, e dal quartier generale dei Navigli ripercorre con noi l’evoluzione della sua osteria. 


Gli anni Ottanta sui Navigli

Tanti anni fa il Ticinese era il quartiere dei ladri. Un labirinto di vicoli e cortili, dov'era facile far perdere le tracce di sé. C'era un bar, La Latteria. La mattina si andava lì per recuperare il bottino della notte precedente: sul tavolino era pieno di autoradio allineate”. Storia della Milano che fu, gli anni Ottanta visti dai Navigli, quando i canali meneghini erano ben lontani dal boom di popolarità che li avrebbe trasformati in fulcro della movida cittadina dalla metà degli anni Novanta.

Lo ricorda come fosse ieri Maida Mercuri, che al quartiere ha legato gli ultimi 30 anni della sua vita, e dal suo quartier generale di ripa di Porta Ticinese, proprio dove il Naviglio Grande è attraversato da un ponticello in ferro, ha accompagnato l'evoluzione dei Navigli, assecondandone gli umori e dettando la rotta, ostessa fiera e anticonvenzionale al timone del Pont de Ferr.

Quand'è arrivata lei, con quella intraprendenza un po' sfrontata di chi dalla sua ha l'entusiasmo della prima volta, di insegne intorno ce n'erano ben poche: “Il pioniere fu Bisignani, da avventori era il nostro punto di riferimento. Poi, alla fine dell'86 siamo arrivati noi, proprio di fronte alla sua osteria”.

Era il 14 dicembre, il Pont de Ferr (in società con Licio Mannucci) muoveva i primi passi sulla scena gastronomica milanese, a uso e consumo di chi, in una zona ben poco alla moda della città, cercava l'onestà di una cucina semplice, solo un paio di piatti caldi in menu, ma soprattutto un pretesto per condividere un buon bicchiere in osteria. Sì, perché nella storia di Maida il vino è una presenza importante, mai ingombrante, la scintilla che invoglia a lanciarsi in nuovi progetti: "Accadde un giorno che io incontrai il vino..." è l'incipit degno di una favola che si nutre dei ricordi di una vita. "Avrò avuto 18 anni, ero a cena in Chianti, con un amico, pensammo di bere un goccio di vino. Sulla tavola c'era il classico fiasco impagliato... Bevvi tutto il bottiglione!" Dunque questo era il vino? Maida non ebbe più dubbi: "Fu colpo di fulmine".

Da sommelier a ostessa. L’inizio del Pont de Ferr

Così, dopo una parentesi in Sardegna per scoprire nuove tradizioni marinare e vitivinicole, venne il ritorno a Milano, per intraprendere il percorso da sommelier. Prima il corso professionale, "ero l'unica donna sola, nessuna storia alle spalle nel mondo del vino, molti mi guardavano con sospetto”; ma la diffidenza e l’ostracismo di qualche collega non fiaccarono la voglia di emergere, “anzi, tutti mi volevano, una donna in prima linea a servire vino… All’epoca ero una mosca bianca”. E proprio negli ambienti più compassati della Milano bene, dall’hotel Gallia al Michelangelo, Maida si fa le ossa. Ma intanto monta l’insoddisfazione per una dinamica che la lascia interdetta: il vino è una gioia da condividere, servire grandi etichette con il distacco proprio di certi contesti cominciava a sembrarle una nota stonata. “Per me il vino è comunicazione”. Una considerazione lucida che attraversa gli ultimi decenni: consapevolezza rivelatrice all’inizio degli anni Ottanta, solida conferma oggi che al Pont de Ferr l’ambizione della cucina non trascura l’anima dell’osteria e la carta dei vini continua a far parlare di sé. Insomma nasceva così l’osteria sul Naviglio Grande: “La gente stava fuori fino a tarda ora, chiedeva una tavola semplice e godereccia. Noi servivamo pane, salame, affettati toscani, buon vino”. E il motto stampato sul primo menu ribadiva lo spirito della casa: La buona cucina è amica del vivere bene e nemica della fretta. In tavola arrivavano pasta e fagioli, pappardelle, uno stufatino di asinello con polenta, tra i dolci la sbrisolona, il salame di cioccolato, i biscottini di pasta frolla. Per chi preferiva semplicemente accompagnare un calice di vino, il tagliere con mortadella e pancetta d’asino, coglioni di mulo e coppa, la selezione di formaggi. Fino a quando non fu il momento di evolversi: “Chi fa questo mestiere capisce quand’è ora di cambiare passo. Sull’evoluzione del Pont de Ferr potrei inventare tante leggende, la verità però sta dietro a una considerazione semplice: se il cibo è più allettante, la scelta più varia, il cliente beve più vino”.

Matias Perdomo

Una cucina in evoluzione. L’arrivo di Matias Perdomo

Nel frattempo il Pont de Ferr era cresciuto, dal 1991 stava aperto anche a pranzo, e già da qualche anno marciava all’unisono con i desideri e le aspirazioni della Milano da bere. Nel 1989 era arrivato anche il sigillo di Luigi Veronelli, che sul profilo di Maida Mercuri cuciva l’appellativo ammirato di “patronne e sommelier elettiv’erettiva”. E ben note erano pure le frequentazioni vip dell’osteria, da Fabrizio De Andrè con sua moglie Dori ad Alda Merini. Tutte presenze assidue alla tavola del Pont de Ferr.

Nel 1993 però arriva la prima novità evidente: “Ahmed era il nostro lavapiatti tunisino, è cresciuto in cucina con noi. Da quell’anno cominciò a curare il menu, uscivano piatti diventati storici come la brandade di baccalà o l’agnello in crosta di lavanda. Era una cucina classica, autentica, che rivedeva la tradizione, attenta all’equilibrio e alla leggerezza.”

Poi, nel 2000, sarebbe venuto Juan Lema Pena, uruguajo, a raccogliere un testimone passato – ironia della sorte – in tante mani straniere. Intanto i Navigli diventavano quel quartiere ambito che oggi conosciamo tutti, e il Pont de Ferr procedeva dritto per la sua strada, con i primi lavori di ristrutturazione e ingrandimento, una carta dei vini sempre più ambiziosa. Juan indirizzò nuovamente la cucina, aprendo la strada al connazionale Matias, un giovane chef di 21 anni, che quando all’inizio degli anni Duemila arriva a Milano di cucina italiana non sa quasi nulla. Di cognome fa Perdomo. E questo, a posteriori, dice molto su quel che sarebbe successo negli anni a seguire: “Quando nel 2006 Matias prese in mano le redini della cucina faceva già parte della famiglia da tempo; gli chiesi se aveva voglia di assumersi la responsabilità, mi rispose senza esitare”. E la cucina cambia passo ancora una volta: sono gli anni della provocazione, “Matias azzardava con molti ingredienti a contrasto, la frutta nel salato, gli zuccheri soffiati”. Il Pont de Ferr sperimenta una nuova giovinezza, a far la differenza è ancora una volta l’intraprendenza di Maida che può contare sull’indiscutibile talento del suo pupillo.

La Forchetta, la Stella e il Rebelot. Prima della rottura

Non tutti però lo capiscono, “ricordo che tanti clienti abituali dopo aver letto il menu andavano via, i primi mesi furono difficili, ma tornare indietro sarebbe stato dichiarare di aver perso la battaglia”. Il tempo le diede ancora una volta ragione: i piatti si fanno più centrati, l’estetica ricercata, ai fan della prima ora si aggiunge un coro di apprezzamenti unanime. Ed è in una notte del 2011 inaspettata e impensabile fino a qualche anno prima che lo staff del Pont de Ferr al completo si ritrova a festeggiare con Massimo Bottura il traguardo più ambito: per lo chef modenese arrivava la terza Stella, la cucina di Matias conquistava la prima. Ad accompagnare quella Forchetta che il Gambero Rosso già da tempo gli assegnava, facendo in più occasioni sfiorare la seconda. Come buttare benzina sul fuoco: Maida non si ferma, e nel 2013 ecco l’idea Rebelot, “che è arrivata girando per il mondo, con la voglia di attribuire centralità alla cockteleria accompagnandola con piccoli piatti sfiziosi. Un modo più semplice di approcciare la ristorazione, cresciuto grazie all’apporto di Mauricio Zillo”.

Nel frattempo si perfeziona un nuovo restyling, per dotare il ristorante dell’allure che merita nel suo nuovo ruolo. Ma nel 2015 la separazione da Perdomo determina un repentino cambio di rotta e la perdita della Stella. In cucina arriva Vittorio Fusari, chef italiano di grande esperienza.

Maida Mercuri e Vittorio Fusari (foto di Carlo Fico)

Il Pont de Ferr oggi. Tradizione, prodotto e tecnica

La parola spetta ancora una volta a Maida: “Non ho mai pensato di dover tirare avanti, piuttosto ho voluto accanto a me uno chef che sapesse cos’è la cucina, la sua storia e tutti quei sapori che portiamo nel Dna, da cui oggi molti deragliano. I piatti che arrivano in tavola, la materia prima e le tecniche di lavorazione mi ricordano quei profumi e quel gusto della nostra adolescenza; certo, ci vuole sempre quello zic in più che renda visibile la novità del piatto”.

Eccolo allora il presente del Pont de Ferr, grandi prodotti, tecnica, etica e una solida cultura gastronomica e medico-alimentare, per un cibo che nutre, diverte e non stanca. Un ritorno alle origini, in parte, tanto che “molti clienti storici sono ritornati a trovarci”, ma soprattutto un momento di rottura, dichiarato: “Avevo voglia di mediare, non certo di tornare indietro. Piuttosto mi piace l’idea di riproporre un bagaglio che si sta perdendo, la tradizione non va coperta, ma riscoperta”. Ma è un'altra la qualità che non può mancare in cucina: “Mi piacciono le persone che propongono piatti pensati con la loro testa, continuo ad apprezzare la cucina di ricerca, ma più che altro come curiosità che esula dal quotidiano. E invece per tutti i giorni voglio scommettere sulla valorizzazione dei prodotti: l’anno scorso avevo in carta un cappone (allevato libero) cotto a bassa temperatura nel carbone, servito con una tazzina del suo brodo e ravioli farciti con interiora… In sala la gente si voltava. Un perfetto esempio di equilibrio tra prodotti, tecnica e innovazione”. Nei piatti che arrivano in tavola, del resto, c’è sempre lo zampino di Maida, che insieme al suo chef perfeziona accostamenti e nuove creazioni.

Vittorio Fusari, tonno scottato con salsa bernese, alga nori fritta e mostarda di pomodoro

Il bilancio dei 30 anni. Guardando al futuro

Ora è il momento di festeggiare, fino alla prossima primavera un menu speciale da 5 portate ricorderà agli ospiti l’evoluzione degli ultimi 30 anni: un piatto per ogni chef che ha guidato la cucina. Ma oggi cos’è diventato il Pont de Ferr? “Un locale che guarda sempre avanti, dove la vera innovazione è recuperare la nostra storia. E uno spazio dove c’è sempre modo di lasciarsi andare, tra le mura intrise del nostro passato: nessuno ti chiederà di liberare il tavolo dopo due ore…La mia soddisfazione più grande è guardare i clienti che allentano il nodo della cravatta”.

E poi c’è il futuro, quello che sarà: “Il futuro è mostrare la qualità, invitare gli ospiti a guardare, chiedere, toccare con mano”. Per questo da marzo si comincerà a proporre un’esperienza molto particolare, “Vieni a passare una giornata con noi, l’ho voluta chiamare: dalle 9 della mattina al servizio serale per scoprire l’anima del Pont de Ferr”. E in primavera arriverà pure il menu che omaggia la storia della cucina italiana.

Maida invece, come si ritrova dopo 30 anni? “Come una donna soddisfatta che ha avuto un grande amante: il vino. Sentire il suo profumo mi emoziona ancora oggi: c’è sempre un momento della giornata in cui sento la necessità di dedicargli il mio tempo”. Tra un calice di champagne, un bicchiere di Barolo e un vino in anfora, l’ultimo colpo di fulmine in ordine di tempo. Perché di innamorarsi non ci si stanca mai. E Maida lo sa.

 

Pont de Ferr | Milano | Ripa di Porta Ticinese, 55 | tel. 02 89406277 | www.pontdeferr.it

 

 

a cura di Livia Montagnoli

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram