Alimentare, la crisi e i ricatti dell'industria

28 Giu 2012, 14:28 | a cura di

Circa 4 milioni di lavoratori coinvolti, 274.000 aziende, esportazioni per 65,3 miliardi di euro e importazioni per 55,5 miliardi. Non c'è che dire, l'industria alimentare in Europa è uno dei motori trainanti del Vecchio Mondo e riesce ad avere influenze su vari aspetti di questo territorio. Si va dalle politiche e

uropee, economia, ma anche società, lavoro e quotidianità dei cittadini.

In questo mare magnum opera FoodDrinkEurope, ovvero quella che prima era la CIAA (Confederazione delle industrie agroalimentari della CEE) e che da giugno 2011 è registrata come associazione internazionale di diritto belga. A capo di questa associazione, oltre ai leader di alcune delle principali aziende europee, vi sono anche diversi rappresentanti di multinazionali statunitensi, che ovviamente hanno produzioni sparse in tutto il mondo e che quindi rientrano perfettamente nel calderone della produzione alimentare europea: Coca Cola, Pepsi, Kraft Foods, Kellogg, General Mills.

 

Pochi giorni fa sul sito dell'associazione è stato pubblicato il report annuale relativo all'anno 2011, documento che fornisce alcuni spunti di riflessione. Si comincia dai dati del settore in Europa e sull'uso delle materie prime (circa il 70% dei prodotti agricoli europei viene usato dall'industria alimentare) per poi arrivare a toccare l'argomento della CAP (Common Agricultural Policy) ovvero la politica agricola europea. FoodDrinkEurope dichiara apertamente il suo appoggio a “CAP towards 2020”, ovvero un programma di riforma sostanziale delle politiche agricole nel quale si dichiara:

“In un contesto internazionale caratterizzato dal problema del riscaldamento globale, da risorse idriche limitate e da una popolazione mondiale in continua crescita, la sicurezza alimentare a livello mondiale è un problema. Non è però plausibile giustificare l’attuale PAC con i problemi di sicurezza alimentare su base mondiale. I soldi destinati a ridurre la fame e la povertà nel mondo sarebbero meglio spesi investendoli in ricerca agricola e infrastrutture nei paesi in via di sviluppo, che non distribuendoli tra gli agricoltori europei. “

Niente più soldi, quindi, agli agricoltori europei, ma solo a quelli nei paesi in via di sviluppo. Argomento sicuramente interessante se visto in chiave globale, ma non sicuramente europeista. Ma perché finanziare l'agricoltura fuori dall'Europa e non quella nostrana? A una  risposta ci si può arrivare tornando a sfogliare il report di FoodDrinkEurope e nello specifico il paragrafo chiamato Access to Raw Materials (accesso alle materie prime). Dai paesi in via di sviluppo arrivano molte materie prime utilizzate nella produzione alimentare europea, e nella maggior parte dei casi in questi stessi paesi è legale la produzione di OGM. Cosa dirà mai quindi questo paragrafo?

“Pur essendoci solidi sistemi di isolamento vi è una significativa possibilità che tracce di non ancora approvate varietà GM (geneticamente modificate) potrebbero capitare anche in materie prime destinate alla produzione alimentare nell'Unione Europea. Una soluzione tecnica  potrebbe essere quella dello 0,1% (Low Level Presence) di presenza, ed è in attesa di autorizzazione come modifica del Regolamento CE n. 619/2011 entrato in vigore il 24 giugno 2011. Tuttavia l'applicazione del seguente Regolamento riguarda solo i mangimi. Sebbene il Regolamento rappresenti un primo passo in senso positivo, non è sostenibile. I produttori di alimenti e mangimi si confrontano su situazioni simili e nel 2011 FoodDrinkEurope ha richiesto che il campo di applicazione della legislazione sia esteso fino a comprendere gli alimenti, senza indugio. FoodDrinkEurope continuerà a comunicare alla Commissione Europea su come questo problema incida sull'industria alimentare, chiedendo l'inclusione degli alimenti nella soluzione tecnica per LLP.”

Insomma, una sorta di porta di ingresso per l'uso di OGM negli alimenti senza che però vengano coltivati direttamente in suolo europeo.

Altro argomento, seppur appena accennato, è quello legato alle tasse. Come dice espressamente il documento, il 2011 ha visto l'introduzione di tasse specifiche da parte alcuni Stati membri dell'UE su particolari categorie di alimenti nell’ambito della lotta contro l'obesità. Pertanto questa è la risposta dell'industria:

FoodDrinkEurope riconosce che l'obesità e le altre Malattie non trasmissibili (MNT) sono complesse questioni sociali e che l'industria ha un ruolo da svolgere nel contribuire a trovare una soluzione. Il ricorso a ulteriori imposte discriminatorie sui prodotti alimentari, tuttavia, devono essere trattate con la massima cautela dato l'impatto negativo che può risultare nella generale competitività della prima industria manifatturiera in Europa, l'industria alimentare e delle bevande, in particolare in un momento in cui i governi stanno cercando di promuovere la crescita, l'occupazione e gli investimenti in Europa.”

Come dire: niente tasse altrimenti niente investimenti ma solo licenziamenti.
Quello che veramente ci si aspetterebbe forse è che il più grande settore manifatturiero in Europa non si preoccupasse di operare ricatti subdoli verso gli Stati membri, oppure che non appoggiasse politiche in favore di tecnologie come gli OGM le cui conseguenze sull'uomo sono ancora tutte da verificare.

 

Ma forse questa è solo l'idea di un'altra Europa, quella che prima di tutto rispetta il cibo che mangia e chi lo mangia.

Indra Galbo
28/06/2012

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