Ciccio Sultano. Il Duomo che verrà: progetti per il futuro e ritorno alla campagna

26 Mag 2017, 14:31 | a cura di

Si lavora con intensità, e all'unisono, nel salotto ragusano di Ciccio Sultano, all'ombra della cupola di San Giorgio, nel cuore di Ibla. Dopo 17 anni di attività, lo chef siciliano è pronto a guidare il ristorante verso una nuova fase, forte di una brigata giovane, solida e appassionata. E intanto rinsalda un circuito che si alimenta del territorio e dei suoi prodotti.

Ci sono immagini che costruiscono la mitologia dei luoghi. Per esempio, chi ha seguito le gesta dell'Osteria Francescana di Modena negli ultimi anni sa quanto via Stella, il tran tran rilassato da città di provincia a misura d'uomo, sia fondamentale nel racconto di Massimo Bottura e dei suoi ragazzi, che lì hanno festeggiato i momenti migliori, compatti come una squadra dove tutti contano. E tante sono le foto che li immortalano.

Cambio di set, profondo Sud. Quello plasmato da una luce che ti resta negli occhi, costruendo il ricordo di un panorama che cambia a ogni ora del giorno, l'opulenza sinuosa delle facciate barocche addolcita dal sole del tramonto, l'affastellarsi composto della città vecchia svelata dai raggi del primo mattino, che indagano curiosi ogni spigolo. È così che Ragusa Ibla si presenta a chi l'osserva dall'alto, la tentazione di etichettarla come l'incantevole presepe di turno scacciata da una storia ben più complessa. Per ripensarla “con una certa qualità d'animo” come scriveva Gesualdo Bufalino, che di Ibla è stato uno dei più grandi cantori, “il gusto per i tufi silenziosi e ardenti, i vicoli ciechi, le giravolte inutili”. Con la cupola del duomo di San Giorgio che sorveglia, magnifica, l'abitato: impossibile perderla di vista, specie quando di notte si illumina di blu cobalto. E da via Capitano Bocchieri è sufficiente alzare lo sguardo per ritrovarla lì, imponente, dov'è da quasi due secoli.  

Via Capitano Bocchieri, 31. Ragusa Ibla

Eccoci a stringere il campo su un altro scorcio che racconta la storia vissuta di un luogo, che prima di essere insegna è famiglia: in prossimità del civico 31, dove una targa ricorda che siamo al cospetto di Palazzo La Rocca, non è raro imbattersi nei ragazzi della brigata di Ciccio Sultano. A ogni ora del giorno, perché la “famiglia” del Duomo non si fa sconti, e dalle prime ore della mattina la brigata comincia operosa a ripetere gesti quotidiani. Ci sono le forniture da sistemare, la carne (carrè di maiale e animali interi) da porzionare, il tonno da trattare con cura... Poi arriva il pane dai Banchi (l'insegna complementare in via dell'Orfanotrofio, cucina e bottega al motto di "pane al pane", con la supervisione fresca e competente di Peppe Cannistrà), Ciccio ogni tanto si affaccia sull'uscio, saluta chi passa. Le divise ordinate dei ragazzi – l'età media della squadra è decisamente bassa, eppure ognuno ha alle spalle esperienze di livello nella ristorazione nazionale e internazionale – si confondono all'orizzonte di un tranquillo vicolo della bella provincia italiana (e ci risiamo), ridisegnandone l'immaginario. A vantaggio dei turisti - in crescita costante, attirati dal mito Montalbano - che si aggirano per Ibla, come dei ragusani, che dell'insegna a Due Forchette e Due Stelle di Ragusa e del proprio concittadino diventato ambasciatore dell'alta cucina siciliana vanno piuttosto fieri.  

Il Duomo e Ciccio. Gli inizi

La storia del Duomo è cominciata 17 anni fa, non manca molto al traguardo dei 20. E Ciccio Sultano non vuole farsi trovare impreparato. Perché se alle spalle c'è il ricordo di un percorso di riconoscimenti e conferme che è costato sacrifici e pure momenti di sbandamento, per il futuro si prospetta un nuovo momento di crescita, l'ennesimo: “Il 2016 ci ha dato tante soddisfazioni, la sicurezza e la voglia di investire, perché il mondo intorno a noi sta cambiando, e noi non vogliamo solo mantenere lo stato delle cose, ma rilanciare. Gabriella, che è al mio fianco da diversi anni, nella vita e sul lavoro, mi ha garantito la tranquillità per farlo”. Non è stato sempre così.

Breve riassunto delle puntate precedenti, ché il racconto dell'innamoramento di Ciccio per la cucina – e viceversa - potrebbe riempire un'enciclopedia: “Io lavoro da 37 anni, da ragazzo in campagna, ma ho fatto anche il muratore: prendevo 10mila lire al giorno, mi massacravano. Una mattina mi sono alzato e ho detto basta. E ho deciso che avrei provato in un bar, con la pasticceria. Ma a Vittoria nessuno mi voleva, poi mi sono imbattuto nella Pasticceria Sweet. Mi ha accolto Corallo, il papà di Marco (il braccio destro dello chef al Duomo, ndr): cercavano ragazzi, dopo due ore ero al lavoro. Sono rimasto 7 anni. A 20 anni mi sono avvicinato alla cucina da autodidatta: studiavo sull’enciclopedia di cucina internazionale. I miei amici facevano da cavia, dal salmone in court bouillon al gulash”. La passione cresce e si trasforma in mestiere, prima una spaghetteria del posto, poi il lavoro stagionale con Ciccio Giaquinta, in stabilimenti balneari, villaggi “la cucina del parco acquatico per 800 persone al giorno, catering, buffet e matrimoni”. E, dopo la parentesi americana, “quando sono tornato con tutte le mie delusioni, ho deciso di fare un altro discorso: non volevo più lavorare per altri. Dopo 6-7 mesi ho trovato il Duomo”. All'epoca il ristorante già esisteva, con tutt'altra vocazione: Ciccio ne assunse la gestione, fino a quando decise di rilevare l'attività. Poche risorse economiche e tanta voglia di fare bene, “in un anno abbiamo portato il ristorante in positivo”.

Esuberanza e maniacalità

L'inizio di una storia fatta di rigore: “Mi sono imposto la maniacalità, perché voglio continuare a crescere”. Con una filosofia che non nasconde gli spigoli di un temperamento difficile, ma molto concreto: “La nostra è sempre stata una cucina ricca: niente degustazioni da furbetti, pesce azzurro, quinto quarto, essenzialità, poesie, poesie... La gente lavora un anno per permettersi di venire al ristorante, nel piatto 'minchiate' non vogliono trovarne. Devi fare la spesa, l’investimento maggiore è nel tavolo, il padrone di tutto è il cliente”. L'obiettivo è regalare un'esperienza felice anche a chi ritorna a distanza di un anno, aspettandosi di essere conquistato ancora una volta: “La chiave è rinnovarsi sempre, e coinvolgere chi si siede a tavola, farlo sentire a casa. Noi non raccontiamo le ricette come se avessimo inventato il mondo, anche se dietro ci sono dettagli termici, duttili, tattili: il contenuto non deve essere schiacciato dalla tecnica. E anche la pulizia dell’ingrediente è funzionale: prodotti stratificati, messi uno sopra l’altro, riconoscibili in bocca, dove evolvono”. 

Come lo Spaghettino con ricci, alghe, asparago, centrifuga di erbe primaverili, amaricante e limone crudo, chiuso da un boccone di scampo crudo con salsa di fichi d'India. Se il rischio è quello di concedersi troppe licenze barocche - anche se oggi un percorso di degustazione al Duomo rivela una mano educata e delicata e una sensibilità quasi femminile, ricca di profumi floreali, il sambuco e la rosa su tutti – Ciccio non sembra scomporsi: “Certo, mi porto dietro l’esuberanza siciliana: levare non significa privare. Voglio restare siciliano, l’essenzialità a volte mi fa paura”.

 

2018. Il Duomo che verrà

Ma la pulizia del racconto resta centrale, e il simbolo grafico scelto per rappresentare il Duomo di oggi ne è esempio lampante: un codice stilizzato che sembra un sigillo (sviluppato da Copy Studio, che ha curato anche l'ultimo recente restyling del sito, e seguirà l'immagine del Duomo che verrà) e racchiude tre elementi essenziali, grano, olio e sale. Parla, ancora, di evoluzione, alla soglia dei 50 anni (“ormai ne ho 47”). Come? Su due binari che procedono complementari, e si completano: il ristorante e la campagna. “Ho voglia di apparecchiare una grande tavola, e raccontarlo al mondo. E finalmente ho avuto il coraggio, e la possibilità, di rilevare la proprietà delle mura”. Questo, dunque, è un momento cruciale: all'inizio del 2018 la chiusura stagionale del Duomo coinciderà con una ristrutturazione importante del ristorante: “58 giorni per rimodulare gli spazi, razionalizzare la cucina, ripensare la sala senza compromettere l'atmosfera familiare che si respira”.

E lavorare sull'apertura di un nuovo spazio, un locale adiacente che fa parte di Palazzo La Rocca, dove nascerà entro la fine del 2018 il “salotto” del Duomo: “Un progetto di architettura millimetrica per creare un ambiente rilassato dedicato all'aperitivo e all'after dinner, prosecuzione naturale del ristorante. E lì troveranno spazio anche una cucina di produzione, un laboratorio per dare respiro alla brigata e una cantina visitabile”. Alla definizione dell'interior design si lavora con Davide Groppi, che curerà l'illuminazione perché “la luce sia funzionale al racconto del cibo”. E della storia del ristorante: “Non siamo a Milano, Parigi, Hong Kong. Dobbiamo mantenere l'integrità della casa: se è bello per noi, sarà bello per i clienti”.

Cucina, sala...

Nel frattempo si investe su formule di degustazione moderne: il piatto a scelta dal menu con calice di vino per un pranzo a 30 euro, la “cucina alcolica” con una drink list studiata per l'abbinamento (dal Barnum con gin, finocchio fresco, olio essenziale di finocchio e zeste di limone di Sicilia, al Mishima con vermouth Mulassano bianco, estratto di carota, sake e Marrocan Bitter) l'iniziativa 1cl, che invita a scoprire il mondo dei distillati con giudizio. Ma si lavora anche sul perfezionamento del servizio di sala, che segue l'evoluzione della cucina: oltre a Gabriella, tra i tavoli si muovono Giuseppe Di Franca, Claudio Marrale e la giovane Valentina Cinti nel ruolo di Head sommelier, acquisto recente (e brillante) dal Cambio di Torino. In cucina convivono in 6 (oltre allo chef), in spazi millimetrici (“lavori, pulisci, ricominci, come in una cucina di bordo”): “Stiamo raccogliendo frutti straordinari dalla squadra che abbiamo messo su. L'anno scorso abbiamo chiuso con 10mila coperti. Ora dobbiamo rinforzarci, per alzare lo standard e arrivare rilassati alla ristrutturazione”.

E campagna

Fuori dal ristorante, però, l'altro sogno di Ciccio Sultano procede a vele spiegate: l'Aia Gaia si raggiunge in pochi minuti da Ibla, tra i terreni in gran parte abbandonati che disegnano la valle del fiume Irminio con i tradizionali muretti a secco. E questo è il progetto in cui Ciccio ha intenzione di investire il proprio futuro, “quando smetterò di lavorare al ristorante per tornare alla campagna, magari aprendo una fattoria mia”. L'idea è nata un paio d'anni fa, dall'incontro con Carmelo Cilia e Paolo Moltisanti, esperti talent scout di piccoli produttori dell'isola e soci di questa che oggi rappresenta, a tutti gli effetti, un riuscito esempio di valorizzazione della microeconomia locale. Quella di una delle province più ricche della Sicilia proprio per la sua vocazione rurale. Oggi però accanto alle storiche aziende agricole della piana di Vittoria, si fa strada un drappello di giovani imprenditori che vogliono riscoprire il territorio e valorizzarne il prodotto, secondo un'idea di coltivazione e allevamento sostenibile che fa di questo ritorno alla terra un progetto sano, meritevole, dalle grandi potenzialità. Specie se l'impegno dei singoli è sostenuto dalla forza di una ristorazione di qualità, in un circuito di cui beneficiano tutti. Non ultimo il cliente che siede alla tavola di Ciccio Sultano. E allora molto presto torneremo a raccontare dell'Aia Gaia, delle sue galline felici, del ritmo lento delle stagioni. Di tutti i protagonisti di questa bella storia a più voci.

 

Il Duomo | Ragusa | via Capitano Bocchieri, 31 | tel. 093 2651265 | www.cicciosultano.it

La seconda puntata tra le campagne di Ragusa, con Ciccio Sultano e i suoi collaboratori

 

a cura di Livia Montagnoli

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram