Crisi alimentare in Venezuela. Intervista a Maria Fernanda di Giacobbe e all'Ambasciatore Julian Isaias Rodrigu

1 Lug 2016, 08:32 | a cura di

Inflazione elevata (secondo l'FMI tocca il 180,9%), blackout continui, ospedali senza farmaci, code interminabili fuori dai supermercati e la capitale Caracas dichiarata "la città più pericolosa del mondo" con 120 omicidi ogni 100mila abitanti. Il Venezuela sta vivendo uno dei momenti peggiori della sua storia.  


La grave crisi alimentare. Le cause

Dopo l’emergenza sanitaria, il Parlamento (in mano all'opposizione) a febbraio ha dichiarato la crisi umanitaria alimentare per mancanza di forniture nel Paese. E chiesto alla Fao e all’Unicef di inviare esperti per valutare il rischio della scarsità di alimenti. Ma come si è potuto arrivare fino a questo punto? Sicuramente è una crisi multifattoriale. Il primo colpevole è il crollo del prezzo del petrolio, che per un paese completamente dipendente dal barile (rappresenta il 96% delle esportazioni), si traduce in un disastro economico senza precedenti. Da qui è tutta una reazione a catena: senza queste entrate il governo non ha fondi per importare le materie prime, la produzione nazionale crolla e il PIL scende (nel 2015 ha toccato il 5,7%). Poi c'è quella che il governo di Nicolas Maduro chiama “guerra economica” condotta da parte dell’opposizione politica, che spingerebbe le aziende a non mettere sul mercato i beni di prima necessità. Ad aggravare il tutto, la siccità provocata da El Niño che ha prosciugato le riserve idriche lasciando il Venezuela senza elettricità. Il quadro è disastroso. Ma c'è chi accusa anche le politiche condotte dal governo in questi anni, che hanno portato, da una parte all'insufficiente produzione di cibo, dall'altra alla mancanza di dollari per importare le materie prime necessarie.

Maria Fernanda Di Giacobbe

Le cause secondo Maria Fernanda di Giacobbe

Le accuse vengono da chi sta vivendo questa situazione in prima persona. Come Maria Fernanda di Giacobbe (l'abbiamo presentata in occasione del premio indetto dal Basque Culinary Center con il suo progetto Kakao). “La situazione alimentare in Venezuela è molto grave. Il governo ha imposto un modello inefficiente per 16 anni, basato sul “socialismo del XXI secolo”. Ovvero sul totale controllo di tutta la catena di produzione alimentare per – in teoria – garantire una distribuzione di cibo equa a tutta la popolazione, con un occhio di riguardo nei confronti delle categorie sociali più disagiate. Per questo si sono appropriati delle imprese attraverso espropriazioni e nazionalizzazioni”. Parla delle fabbriche di generi alimentari di prima necessità: farina, latte, olio, conserve di pesce, pomodori, concentrato di pomodoro, semi di cacao trasformato... “Oltre alla nazionalizzazione delle imprese, hanno eliminato le coltivazioni non originarie del nostro territorio e hanno incentivato gli incendi e la distruzione delle aziende appartenenti alle classi privilegiate. Tutto in nome del popolo, con l'obiettivo di restituire queste risorse ai venezuelani”. Peccato però che queste azioni siano diventate una persecuzione irrazionale nei confronti di ogni prosperità autosufficiente e indipendente dal governo. “Una volta trascorsi pochi anni, le imprese e le fabbriche convertite al socialismo fallirono, per mancanza di lavoro, investimenti sbagliati, macchinari vecchi. I grandi appezzamenti di terreno espropriati, bruciati o ripartiti alle cooperative non sono stati riconvertiti come promesso e oggi sono abbandonati. E in molti casi, i caseifici, gli allevamenti o i campi coltivati non appartengono effettivamente al popolo ma ai parenti dei governanti”.

Il controllo del cambio e la corruzione

Altra mazzata all'economia del paese è il controllo del cambio che è di mille bolivares per un dollaro. “Questo controllo ha portato a un sistema corrotto e illegale, dove gli alleati o gli amici del governo pagano 6, 10 o 200 bolivares per 1 dollaro; mentre il cittadino medio paga 1.000 bolivares. Per molti questa situazione è diventata un vero e proprio business: tanti comprano il cibo all'estero con valuta preferenziale e lo rivendono in Venezuela a prezzi altissimi o speculando sui tassi di cambio”. Tra l'altro sono anni che non si importano automobili, macchinari né pezzi di ricambio, quindi diventa molto difficile trasportare i rifornimenti in tutto il paese e questo è aggravato dal coinvolgimento di interessi privati e personali dei membri delle forze militari, “che hanno il controllo delle dogane e chiedono delle mazzette ai produttori e ai distributori di prodotti alimentari. Da qui le lunghe code al supermercato, il mercato nero dei bachaqueros e la disperazione per ottenere il cibo”. I bachaqueros, che prendono il nome da bachaco, una formica rossa che attacca le piantagioni impossessandosi delle foglie, sono coloro che comprano a prezzi regolamentati e li rivendono a prezzi maggiorati, anche del 1000%. “La cosa più triste di questa situazione è l'arricchimento illecito di quasi tutti gli appartenenti al governo e i loro parenti. E di contro la dignità di tutti coloro che vivono e lavorano in Venezuela”.

Il ruolo degli chef

Viene da chiedersi – questo il nostro ruolo – che ne è dei ristoranti e degli chef. “Gli chef fanno quello che possono per mantenere aperti i loro locali. Così, oltre alla difficoltà di reperire le materie prime, dobbiamo far fronte al razionamento dell'elettricità, del gas e degli orari di lavoro”. Non manca di certo la coesione tra loro: “Stiamo creando dei movimenti di denuncia o di imprenditori, come nel caso delle Emprendedoras del Chocolate, che riunisce più di 10.000 donne pasticcere e cioccolatiere in un progetto di formazione per migliorare la situazione economica delle donne a basso reddito o vulnerabili. L'obiettivo è quello di migliorare le loro condizioni di vita ed economiche, insegnando loro una professione". Altri invece, sedotti dal potere, lavorano nelle case e nelle aziende private o dello Stato, con stipendi pagati in dollari “provenienti da affari illeciti resi possibili grazie ai beni e alle riserve della nazione. Spiace ammettere che il Venezuela sta vivendo una dittatura militare che ha sequestrato tutto il paese, sottraendone l'intera ricchezza a beneficio esclusivo di persone del governo. Mai il popolo del Venezuela ha vissuto così tanta umiliazione. Umiliazione che oggi è accompagnata dalla la mancanza di cibo, medicine, sicurezza e istruzione”. Un quadro agghiacciante che sembra non corrispondere esattamente con quanto dichiara Pedro Mezquita curatore della guida di Caracas Climax: “Premettendo che non rappresento il venezuelano medio (la sua disponibilità economica è nettamente superiore alla media), è innegabile che fuori dai supermercati che vendono prodotti di base a prezzi regolamentati ci siano dalle 300 alle 400 persone in attesa di entrare. Però è altrettanto innegabile che chi si poteva permettere una cena al ristorante prima, lo può fare anche adesso. Anche perché tutti i prodotti non regolamentati (quindi non di prima necessità) sono reperibilissimi”. Ovviamente una cena al ristorante è miraggio di pochi, circa il 10% della popolazione. “Tra l'altro la gastronomia venezuelana sta vivendo un momento d'oro perché, mentre anni fa gli chef erano perlopiù italiani, spagnoli o francesi, oggi sono quasi tutti venezuelani e usano prodotti altrettanto venezuelani. A testimonianza di questo, solo negli ultimi due mesi hanno aperto due ristoranti nel centro di Caracas: il Ristorante di Victor Moreno e La Esquina”. Unico cambiamento nel versante ristorazione: si chiude presto per via del coprifuoco. E il governo Maduro come sta affrontando la situazione? Di seguito l'intervista all'Ambasciatore Julian Isaias Rodriguez.

 

Julian Isaias Rodriguez

Qual è la situazione alimentare in Venezuela e quali sono le cause?

Un’oligarchia, che ha nelle sue mani la maggior parte della distribuzione di cibo in Venezuela e che fronteggia il governo venezuelano, è riuscita in parte a contribuire a questa scarsità di alimenti. Ecco perché oggi i cibi di prima necessità scarseggiano ed ecco perché molti alimenti hanno prezzi inaccessibili: il tutto è stato disegnato per destabilizzare politicamente il paese. Detto questo la FAO ha riconosciuto, pubblicamente e a livello internazionale, che il Venezuela è il paese che, nel mondo, ha fatto più sforzi per sconfiggere la fame. Così come ha riconosciuto che il paese è uno dei pochi dell'America Latina e dei Caraibi che ha lottato contro la disuguaglianza sociale, distribuendo equamente le risorse. Grazie alle politiche del governo precedente e l'attuale, si è aumentato l'apporto calorico giornaliero a 3.087 calorie (36%) rispetto alla raccomandazione della FAO (che è di 2.722 calorie). Fino a pochi mesi fa il 96,4% dei venezuelani mangiava tre o più volte al giorno, cosa che non avveniva con i governi precedenti. E fino a quando anche le multinazionali alimentari insediate nel nostro paese hanno deciso di aderire al progetto di destabilizzare il governo, il 96% della popolazione consumava latte, carne e uova ogni giorno. Questa guerra volta alla penuria, nella quale si nasconde il cibo o lo si rende inaccessibile al popolo, vuole la disperazione dei venezuelani.

La penuria coinvolge anche i Mercal, ovvero i supermercati dove i cibi di prima necessità sono a prezzi controllati. Perché?

Nonostante i Mercal facciano parte della rete pubblica di distribuzione di cibo e siano una delle misure adottate dal governo bolivariano per garantire l'accesso agli alimenti a prezzi ragionevoli, questi sono andati nelle mani di mafie e di reti di corruzione che hanno cominciato a commercializzare i prodotti che dovevano essere destinati alla popolazione, generando così la scarsità.

La colpa è dunque delle varie mafie e organizzazioni criminali.

Queste accaparrano e speculano sugli alimenti e i generi di prima necessità. Orchestrate da gruppi di opposizione, lavorano in reti e purtroppo agiscono con il consenso di alcuni funzionari pubblici che si prestano a questi atti criminali a scapito della qualità della vita del popolo venezuelano. Pertanto il governo del presidente Nicolas Maduro ha prefissato operazioni speciali per smantellare queste reti di corruzione.

Come si sta affrontando il problema dei bachaqueros?

Il governo venezuelano ha preso diverse misure, tra le quali: lo smantellamento delle reti di corruzione legate ad accaparramento e speculazione sul cibo, attraverso il Plan Gorgojo. La richiesta delle impronte digitali a chi va a fare la spesa ai Mercal, per evitare la speculazione dei cosiddetti bachaqueros, allo stesso tempo rafforzando la rete dei Defensoras de la Seguridad y Soberanía Alimentaria. I CLAP (Comitati Locali di approvvigionamento e produzione), ovvero delle strutture di potere popolare organizzate che si prendono carico di distribuire gli alimenti di base alla comunità. Una sorta di mercato a Km zero. Nel mese di maggio erano già 8.001.

E quello del contrabbando di cibo destinato alla Colombia?

Rispetto al contrabbando al confine con la Colombia, è importante considerare due aspetti: il primo che quello della Colombia è uno dei confini più grandi e attivi dell'emisfero. Il secondo è che il Venezuela è il paese con la benzina più economica del mondo mentre la Colombia è il terzo paese con la benzina più costosa. Ciò ha portato a un contrabbando di benzina ben consolidato, con la partecipazione di alcuni funzionari pubblici e di polizia corrotti. Queste reti ben organizzate operano anche nel contrabbando di cibo: i prodotti venezuelani a prezzi regolati sono diventati un'occasione per fare affari sporchi, così vengono acquistati in Venezuela e rivenduti in Colombia a prezzi molto più alti. Potete immaginare quante perdite hanno creato questi due tipi di traffici illeciti (parliamo di circa 3.000 milioni di dollari l'anno). Ecco perché il governo ha deciso di chiudere le frontiere.

Il Venezuela ha produzioni alimentari? Quali?

Il Paese è stato dipendente dalle entrate petrolifere. Non ha una tradizione agricola e non può essere considerato un paese agricolo. Tuttavia fu predisposto nella Costituzione del 1999 che agricoltura, sicurezza alimentare e sviluppo rurale dovessero acquisire carattere costituzionale. Questo come base per stimolare la produzione agricola nazionale con diverse piani e programmi governativi. Il Venezuela produce canna da zucchero, caffè, cacao, mais, riso, ortaggi, frutta, cereali, radici e tuberi.

Può darci un po' di numeri?

La produzione agricola nel 2015, secondo i dati preliminari del Ministerio de Agricultura y Tierras, è pari a 4.418.342 tonnellate. Secondo il rapporto le maggiori coltivazioni sono canna da zucchero, caffè, cacao, mais e riso. Per quanto riguarda il cacao va considerato che quello venezuelano è uno dei più pregiati al mondo, parliamo del cacao criollo.

Questi prodotti sono disponibili per il mercato interno?

Questi prodotti vengono distribuiti anche dai CLAP di cui vi ho parlato. Che, al mese di maggio, hanno distribuito a livello nazionale 4.000 tonnellate di cibo.

Questa situazione di irreperibilità del cibo si verifica solo nelle città o anche nelle campagne?

È importante considerare che la maggior parte della popolazione venezuelana vive nei grandi centri urbani (80% vive in città). Tuttavia le misure per affrontare la carenza, guidata dal governo venezuelano, sono applicate a livello nazionale sia nelle città che nelle campagne, perché l'obiettivo è il benessere dell'intera popolazione venezuelana, senza alcuna distinzione.

Tutto questo ha delle gravissime conseguenze (pensiamo a quelle sanitarie ma anche quelle culturali). Che soluzioni sta cercando di applicare il governo?

Un intervento immediato è stato alzare il prezzo del petrolio: in quaranta giorni si è passati da 24,53 $ a 40, 68 $ al barile. Poi si sono disposte misure per combattere la guerra economica, fondata sulla speculazione e l'accaparramento di prodotti prioritari e con un unico obiettivo: porre fine alla Revolución Bolivariana. In tal senso si vuole diversificare la produzione, soprattutto quella agricola, aumentare l'esportazione di alcuni prodotti (diversi dal petrolio), anche attraverso la creazione del Motore Agricolo. Si tratta dunque di fare buon uso delle risorse naturali di cui dispone il Venezuela, con l'obiettivo di superare la dipendenza dal petrolio e aumentare le esportazioni non tradizionali. Inoltre si vuole garantire la equa distribuzione di cibo tramite i CLAP.

a cura di Annalisa Zordan

 

 

 

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