Dino Francone e una certa Milano Anni '80 e '90

9 Feb 2015, 13:30 | a cura di
30 anni di carriera a Milano: dal primo bar da ventenne ai ristoranti. E ora? Ora aprire un locale in Italia รจ un'impresa coraggiosa. Sarร  per questo che se pensa a nuovi progetti guarda oltreoceano.

Come era aprire un ristorante negli anni '80? E nei '90? Ma soprattutto: era molto diverso da ora? Noi lo abbiamo chiesto a chi, in quegli anni, c'era e apriva locali e ristoranti di successo, Dino Francone.

Comโ€™รจ cominciata la tua lunga carriera?
Nel 1978, avevo ventโ€™anni, ero ancora un ragazzino, lavoravo alla RAS di Corso Italia a Milano. Mi occupavo di polizze sulla vita, guadagnavo circa 200 mila lire al mese, un buon stipendio per quei tempi. Mia madre invece gestiva la foresteria della RAS allโ€™ottavo piano. Era un distaccamento della mensa, dedicato esclusivamente ai dirigenti; guadagnava molto piรน di me, un milione e seicentomila lire. Quando lo scoprii cominciai a fare un poโ€™ di domande sul suo lavoro, ero curioso: quanto costava un chilo di caffรจ, quanti caffรจ si ricavavano da un chilo di caffรจ... mi accorsi che c'era un margine di guadagno pazzesco. In quell'anno mia madre uscรฌ dalla foresteria per comprare un bar in via Ludovico il Moro. Io, che da tre anni non riuscivo ad avere le ferie ad agosto, proprio quell'anno finalmente le ottenni; venni perรฒ richiamato in ufficio una settimana dopo, a causa della malattia di due colleghi. Fu la goccia che fece traboccare il vaso, rientrai a Milano e diedi le dimissioni, senza avere unโ€™alternativa in mano. Mia madre si mise a piangere, non mi parlรฒ per un mese. Era da folli abbandonare un posto di lavoro di quel tipo allโ€™epoca. Volevo comprare un bar ma ero ambizioso, volevo andare in centro. Mentre ero alla ricerca di un posto adatto alle mie disponibilitร , andai a dare una mano a mia mamma nel suo nuovo bar, in modo da cominciare a imparare il mestiere.

Poi come andรฒ che aprรฌ il suo bar?
Un intermediario mi propose il bar Picchio, in via Settembrini. Il proprietario, un veneto, mi chiese le referenze e volle la lista fornitori del bar di mia madre. Quando tutto sembrava avviato alla felice conclusione, un giorno mi disse: โ€œรจ tutto in ordine, le referenze sono buone ma cโ€™รจ una cosa... ho parlato con mia moglie e tu sei meridionale...โ€ Mi sentii crollare il mondo addosso, non riuscivo a capire perchรฉ, pur avendo le possibilitร  che mi ero costruito con tanta fatica, non potevo comprare quel bar. Lo stesso intermediario mi parlรฒ di un altro locale, al di sopra perรฒ delle mie disponibilitร , costava 150 milioni di cui 60 subito in contanti. Una persona che si trovava in quell'ufficio sentรฌ la nostra chiacchierata e disse: โ€œGhe du me i danee a quel fioeu lรฌ (Gli do io i soldi a quel ragazzino)โ€. Facemmo lโ€™affare. Si chiamava Golden Bar, era in corso Italia, angolo via Mercalli, vicino alle scuole e alla RAS dove avevo lavorato. Partรฌ benissimo e passรฒ da un incasso di 500mila lire a un milione al giorno nel giro di un anno. Nel frattempo, per imparare andavo da Gattullo e al Bar Basso e ordinavo cocktail sempre diversi, guardavo come venivano preparati e il giorno dopo provavo a rifarli nel mio bar. Dopo qualche mese scrissi allโ€™ingresso del mio bar โ€œSpecialitร  Cocktails e Long Drinksโ€.

Non si รจ fermato a uno solo
Nel 1980, due anni dopo, mi parlarono di un altro locale, il Bar Mercurio, via Mazzini, a 100 metri da piazza Duomo. Non era grandissimo ma aveva una bellissima posizione, tabaccheria e moltissimo passaggio. La richiesta era impegnativa, 620 milioni di cui 200 in contanti subito. Il fratello di mia moglie, Francesco, mi propose di fare questa operazione insieme: lui si licenziรฒ dall'Amplifon di Torino e io vendetti il bar di corso Italia a oltre 300 milioni (piรน del doppio di quello che lo avevo pagato). Nel giugno 1981, ricomprammo anche il bar di corso Italia. Lรฌ cominciรฒ la grossa avventura, la gestione di piรน locali contemporaneamente. Cominciammo a intraprendere un business diverso, rilevando locali centrali, anche prestigiosi ma che non riuscivano a rendere al meglio. Li rinnovavamo completamente, cambiavamo lโ€™arredamento e nel giro di poco tempo riuscivamo a raddoppiare, triplicare o quadruplicare lโ€™incasso medio del giorno. Come al Samarani, un locale di 300 mq in piazza Diaz, che portammo da 1 milione e duecento mila lire di incasso al giorno a quattro milioni.

Anni splendidi gli anni Ottanta. E negli anni Novanta?
Nel 1990 eravamo arrivati ad avere cinque locali. Un giorno, facendo una passeggiata con un intermediario in Galleria Vittorio Emanuele, ci fermammo davanti a un negozio, il Bellini Londonhouse. Era uno dei piรน vecchi della Galleria, trattava abbigliamento classico ma di prestigio (Aquascutum, Burberryโ€™s etc.). Gli feci una battuta โ€œPensa se dovessi aprire un bar al posto di quel negozio, allโ€™Ottagono, in Galleriaโ€ฆโ€, lui scherzando mi rispose โ€œse vuoi mi informoโ€ฆโ€. Capitammo al momento giusto, il negoziante era stufo, anche se ci mettemmo dโ€™accordo per una cifra esorbitante: due miliardi e mezzo per la sola buonuscita.

Cosรฌ nacque l'Ottagono
500 mq, bellissimo, lโ€™Ottagono. Il locale andava benissimo ma non avevamo il permesso di mettere i tavolini allโ€™esterno come gli altri bar. Ogni tanto li mettevo di nascosto, la differenza era evidente, riuscire ad avere quel permesso equivaleva incassare 8-9 milioni in piรน al giorno. Scoppiรฒ poi Tangentopoli e sia per il cambio di Giunta Comunale, sia per la guerra che mi fecero gli altri commercianti, io non riuscii mai ad avere quel permesso. Ero deluso perchรฉ non avevo modo di sfruttare le grandi potenzialitร  di quel locale, decidemmo quindi di vendere a Prada, recuperando i soldi che avevamo investito. Cambiai zona, aprii in piazza Vetra il Coquetel, un locale di pregio ma non in centro, io lo presi come un fallimento, era il 1994 e lรฌ cominciรฒ unโ€™altra storia.

Fu lโ€™inizio della tua carriera nel mondo della ristorazione?
La prima volta che mi proposero di acquistare lโ€™Osteria de lโ€™Operetta era il 1995. Io non avevo mai fatto ristorazione e credevo di non essere allโ€™altezza. Io e mia moglie la frequentavamo da clienti, vedendo che andava bene, pur essendo gestito da persone non del mestiere, decidemmo un anno dopo di acquistarlo. 90 posti a sedere, 200 coperti al giorno, formula semplice e divertente: menu con antipasti, primi e dolci, ovviamente, per chi voleva, anche un menu alla carta. Dopo poco presi il locale di fianco, unโ€™oreficeria, per ingrandire lโ€™Osteria. Passรฒ qualche anno, acquistai anche il Flash, un ristorante e pizzeria enorme. Zona universitaria e turistica, andรฒ molto bene anche quello. Nel 2006 fu la volta de Il Coriandolo, in Brera, in via dellโ€™Orso. Ristorante prestigioso, pubblico di medio-alto livello, decisamente diverso rispetto agli altri due che avevo avutoโ€ฆ finalmente si tornava in centro!

In tutti questi anni di carriera, quali sono gli aneddoti che ricordi con piรน piacere ?
Era lโ€™inizio degli anni Novanta, avevo da poco aperto lโ€™Ottagono. Berlusconi era a cena al Savini, il proprietario gli disse che il caffรจ lo avrebbero preso da me. Appena entrarono nel grande salone al piano superiore, Berlusconi vide il pianoforte a coda, invitรฒ uno del suo gruppo a suonare il pianoforte e cominciรฒ a cantare in francese. Altro ricordo, decisamente piรน toccante, fu il giorno dellโ€™inaugurazione dellโ€™Ottagono. Mia mamma mi raccontรฒ che negli anni Sessanta lei e mio padre andarono a fare un giretto in Galleria. Mia mamma voleva un caffรจ ma mio padre le rispose che non potevano permettersi di prenderlo al Biffi, costava troppo, e che era meglio uscire da lรฌ. Io invece, suo figlio, a distanza di oltre ventโ€™anni, ero arrivato ad aprire uno dei locali piรน importanti di Milano in Galleria. Lei era orgogliosa di me, io mi commossi.

Quali prospettive ci sono oggi in Italia nel mondo dei locali?
Quando ho iniziato la mia carriera, era molto piรน semplice avere successo. Se avevi volontร  e capacitร  potevi arrivare. Oggi non sono piรน sufficienti e purtroppo credo che nei prossimi 10-15 anni questa situazione non cambierร . Oggi รจ difficilissimo costruirsi una carriera, รจ necessaria una buona base di liquiditร  (che pochi hanno), si รจ sottoposti a una tassazione smisurata e, soprattutto, non ci sono le prospettive di risultati con grandi numeri come negli anni Ottanta e Novanta. Si puรฒ puntare a sopravvivere o poco piรน.

La prossima sfida quindi dove sarร ?
Mi sono innamorato di New York fin dalla prima volta che ci sono stato. Mi piace molto il modo di vivere dei newyorkesi: amano viaggiare e il buon cibo; tutto il resto, auto o capi firmati, passa in secondo piano. รˆ una cittร  estremamente stressante e quindi, il newyorkese medio, una volta che ha terminato la sua giornata lavorativa, sente soprattutto lโ€™esigenza di svagarsi, di uscire. In pochissimi cucinano a casa, quasi tutti i ristoranti hanno un bancone bar perchรฉ sono molti quelli che cenano fuori anche da soli. Si siedono al bancone, ordinano un filetto o una costata, chiacchierano con il cameriere o con la persona seduta a fianco, socializzano, fanno conoscenza; cosa che qui, soprattutto a Milano, รจ impensabile. Se si hanno le qualitร  giuste e si ha disponibilitร  per investire a Nyc sono convinto che si รจ matti a rinunciare.

a cura di Paolo Pojano

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