Emergenza cinghiali. La parola agli chef

12 Ago 2015, 09:17 | a cura di Annalisa Zordan

Ultimamente è un gran parlare di cinghiali. Danneggiano boschi, sistemi ecologici, campi coltivati, entrano nelle grandi città. E uccidono esseri umano. Ma quali sono le cause di questa emergenza? E quali le ipotetiche soluzioni? Lo abbiamo chiesto a due chef che hanno fatto della carne di cinghiale, e della selvaggina in generale, il punto di forza della loro cucina: Laura LorenziniLucio Pompili.

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Emergenza cinghiali: le cause

Vediamo come sono andate le cose. Per completezza di informazioni è bene sapere che questi animali sono stati immessi nel nostro Paese a partire dagli anni ’50, a scopo principalmente venatorio. Dapprima i cinghiali immessi erano importati dall’Est Europa ed erano decisamente più grandi rispetto a quelli autoctoni. Successivamente sono stati rilasciati in natura quelli allevati, ovvero ungulati nati in cattività e ibridati con i maiali. Da qui la crescita spropositata. Il loro ripopolamento è infatti sfuggito di mano innanzitutto perché sono animali prolificissimi (incrociandosi con i maiali aumentano la capacità riproduttiva, siamo nell'ordine di oltre una decina di cuccioli per parto), poi perché icriteri di pianificazione faunistica sono venuti meno a causa di immissioni non programmate e abusivismo. Aggiungete il fatto che di predatori naturali, lupi soprattutto, in Italia ce ne sono ben pochi ed ecco che è facile capire come mai i cinghiali sono ovunque, sono tantissimi e di grande stazza. Secondo dati Ispra (Istituto per la protezione e la ricerca ambientale) hanno superato il milione di esemplari, diffondendosi in tutte le regioni. È il paradosso di un animale tutelato, da una parte, e lasciato che si diffondesse a beneficio dei cacciatori, dall'altra. È il risultato, in un certo senso, del nostro fallimento nei confronti della natura.

Il quadro legislativo

La legislazione, poi, non semplifica affatto le cose. Il cinghiale appartiene alla fauna selvatica tutelata dalle leggi nazionali: secondo la legge 157 del 1992 la fauna selvatica è considerata patrimonio indisponibile, per cui nessuno può disporne liberamente. In tal senso la caccia è consentita per tre mesi all’anno, nello specifico per il cinghiale dal primo ottobre al 31 dicembre. Poi le Regioni e le Province possono, se necessario, autorizzare l'abbattimento controllato, ma in questo caso può intervenire solo personale autorizzato. Sembra un ragionamento logico, fino a che non si fa un confronto con gli altri paesi europei. Questa la chiave di lettura suggerita da Lucio Pompili di Symposium 4 Stagioni (che interpellammo anche in occasione del divieto di proporre selvaggina da penna nei ristoranti): ““L'Italia è l'unico paese in cui la fauna è patrimonio dello stato, negli altri paesi è patrimonio di chi detiene la proprietà del terreno. Le cose sono dunque più semplici, perché chi ha un appezzamento cerca di gestire gli animali il meglio possibile, dato che a lui arrivano anche le quote di caccia, sia degli animali stanziali che di quelli che si fermano anche solo a bere. All'estero c'è dunque tutto l'interesse per far sì che le cose non sfuggano di mano”. In Italia invece chi ci guadagna? “Fondamentalmente le regioni che vendono le licenze di caccia ad un costo di oltre 600 euro”. Forse è per questo che ancora non esiste un decreto che autorizzi anche gli agricoltori a catturare i cinghiali (e a utilizzare le loro carni) oppure che preveda mattatoi mobili per garantire una macellazione controllata?

Le soluzioni proposte

Per ora ci si accontenterebbe dell'autorizzazione all'abbattimento controllato che, come detto sopra, è rilasciato dalle varie regioni. Infatti, lì dove è consentito, sembra si sia limitato il danno: “Nella nostra zona si pratica la caccia selettiva durante tutto l'anno e la situazione è abbastanza sotto controllo”. Ci spiega Laura Lorenzini del ristorante Mocajo, a Guardistallo in provincia di Pisa. Anche se ogni tanto qualche imprevisto si verifica: “L'altro giorno un cliente ci ha raccontato che si sono mangiati tutta la sua vigna di uva bianca. L’uva è piatto prediletto per questi animali”. Laura prende i cinghiali dalla riserva S. Ippolito, in Alta Val di Cecina nel Comune di Pomarance, vicino a Volterra. “Si tratta di cinquecento ettari di bosco in cui i cinghiali vengono allevati e vivono allo stato naturale. Certo, la carne ha perso il caratteristico odore acre che aveva più di vent'anni fa, però noi non ci possiamo lamentare dato che attorno abbiamo tanta macchia, la quale garantisce la selvaticità di questi animali”. In alternativa, per controllare e mantenere nei giusti limiti la popolazione dei cinghiali, esistono vari metodi come la sterilizzazione, per esempio. Per quanto riguarda i danni prodotti, basterebbe predisporre recinzioni elettrificate, foraggiamento dissuasivo o campi coltivati a perdere. Lo sa bene lo chef Pompilio che questi animali li alleva e di conseguenza li conosce molto bene: “Un cinghiale che attacca o ha dei cuccioli da difendere oppure è un animale che ha fame. Il periodo più critico è proprio questo, da agosto a ottobre, quando i torrenti sono a secco e nei boschi c’è poco cibo. Non solo, il fatto che le zone montane, almeno qui da noi, si stiano spopolando perché mancano i servizi primari comporta varie conseguenze, tra cui il fatto che non vengano più coltivati i campi di grano, orzo, sorgo, granoturco e che i cinghiali, affamati, siano costretti ad avvicinarsi ai centri abitati e ad accontentarsi di mangiare anche immondizia o carogne”. Ecco dunque che si dovrebbe quanto meno predisporre dei campi a perdere per far mangiare questi animali.

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Allevamento sì, allevamento no

Secondo molti però il sistema più semplice ed efficace per affrontare il sovrappopolamento è quello di vietare l’allevamento, il trasporto, la vendita di animali vivi. Una soluzione forse un po' troppo estrema, almeno dal punto di vista di chi alleva in maniera non intensiva, come fa per l'appunto Pompili: “Allevandoli almeno so cosa porto in tavola. So per certo cos'hanno mangiato (non di certo immondizia) e so che non sono morti dissanguati (se un cinghiale è stato cacciato come facciamo a sapere se è morto sul colpo oppure è stato trovato il giorno dopo?). Tutti parlano di selvaggina ma sottovalutano il fabbisogno degli animali selvatici. Prendiamo l'esempio spagnolo, dove per un maiale viene garantito un ettaro di terra, ovvero la quantità di terreno necessaria per trovare tutta la mineralità che gli serve. In Italia, chi tiene gli animali bradi, non dispone di queste superfici e deve integrare con altro cibo, allora tanto vale allevarli cercando, con l'ausilio della giusta alimentazione, di riportare a tavola un animale brado, selvatico”. I cinghiali, nell'allevamento di Symposium 4 Stagioni, vengono nutriti con il “beverone” ovvero una miscela di acqua, favino, crusca e farina d'orzo creata cercando di riprodurre quel che il cinghiale può trovare in natura. Il risultato è una carne leggermente più grassa ma perlomeno certificata. “Gli animali che allevo, poi, non hanno nessun tipo di stress, nemmeno quello dovuto alla morte: prima dell'abbattimento attraversano un tunnel di paglia...come fosse una passeggiata. Così non si accorgono di nulla”.

Il cinghiale nella ristorazione

Ricapitolando, i cinghiali sono stati reintrodotti per far piacere ai cacciatori, peccato però che ora si siano riprodotti in maniera spropositata e che siano diventati un'emergenza. C'è chi è pro abbattimento, chi è contro l'allevamento, chi vorrebbe allargare il permesso di caccia anche agli agricoltori danneggiati, chi invece specula e ne trae profitto grazie al mercato nero. Le campane sono tante e andrebbero ascoltate tutte. Dal canto nostro però siamo convinti di una cosa: in Italia le risorse e le competenze, dai macelli comunali e privati all'alta ristorazione, alle aziende alimentari di insaccati, ci sono. Allora perché non sfruttarle maggiormente? Concludiamo con toni più rilassati perché d'altra parte è agosto, periodo di vacanze per eccellenza.

Un piatto da consigliare ai lettori?

Lucio Pompili: “Qui al Symposium 4 Stagioni macelliamo animali di sei mesi, di circa 40 chili, e con questi prepariamo un rotolo con pancetta, finocchietto e aglio. Questo viene prima cotto a bassa temperatura, per insaporire e intenerire ulteriormente la carne, poi infilato in uno spiedo, posizionato in piedi, e rimesso nel forno. Del cinghiale, così come del maiale, non si butta via nulla: i fegatini generalmente li metto, insieme all'alloro, ad invecchiare nello strutto. Sono straordinari”.

Laura Lorenzini: “Le nostre pappardelle al ragù di cinghiale. È uno dei piatti forti del locale, presente in carta da ormai 53 anni. Lo facciamo utilizzando anche fegato e interiora degli animali più grossi e preferibilmente femmine, in quanto hanno una carne più saporita e più morbida. Al Mocajo lo proponiamo anche fritto, in questo caso si tratta di cinghialetti più piccoli, con una panatura di farina di mais, pan grattato, bacche di ginepro e limone, oppure servito a mo di carpaccio con vinagrette di frutti di bosco. Ovviamente viene precedentemente cotto in forno a 200° e tagliato in fette molto sottili. E ancora, prepariamo il cinghiale in dolceforte, ricetta rinascimentale toscana, preparata con cioccolato, canditi, uvetta e pinoli. Insomma questo animale è molto versatile”.

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a cura di Annalisa Zordan

 

Symposium 4 Stagioni | Cartoceto (PU) | via Mombaroccese | tel. 0721 898320 | www.symposium4stagioni.it

Mocajo | Guardistallo (PI) | s.s 68, Località Casino di Terra | tel.0586 655018 | www.ristorantemocajo.it

 

 

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