Enogastronomia: la formazione prima di tutto

26 Set 2013, 08:27 | a cura di
Alla Città del gusto un convegno sul tema della formazione enogastronomica ha messo in relazione le diverse anime di questo settore che hanno discusso di criticità, potenzialità e soluzioni. A cominciare dal Ministro Nunzia De Girolamo.

Essere il Paese con la più grande ricchezza enogastronomica e non esserne consapevoli. O meglio, saperlo, ma non essere in grado di usarla al meglio per trasformarla in volano culturale, economico, occupazionale.
Il convegno La formazione enogastronomica nel panorama nazionale e internazionale, svoltosi alla Città del gusto lo scorso giovedì 18 settembre, ha avuto come leitmotiv proprio questo: la sensazione netta di una grande occasione che non può più aspettare. Il Gambero Rosso ha preso a pretesto il primo decennale delle sue scuole per fare il punto sulla formazione.
E in moltissimi – e da più settori – hanno risposto all’invito del presidente Paolo Cuccia. A cominciare dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo: “La promozione non può che passare attraverso la conoscenza approfondita dei prodotti. L’agroalimentare italiano può diventare una leva turistica importantissima, nonché uno sbocco professionale. Parlo di giovani, della generazione successiva alla mia. A quest’ultima sono stati rubati i sogni e in cambio ha avuto precariato e stage gratuiti”. Sull’occupazione giovanile Via XX Settembre sta lavorando su un pacchetto di misure, di concerto con Ismea, che vanno ad aggiungersi a quelle ottenute nella nuova Pac, ovvero la maggiorazione del 25% degli aiuti diretti per le aziende under 40. Ma al ministro stanno a cuore altri tre fronti: “Semplificazione, accesso al credito e sostegno alle esportazioni. Nel primo caso presenteremo nelle prossime settimane al Consiglio dei Ministri un elenco di tagli da fare nella burocrazia inutile; sulla stretta del credito dico che le banche devono tornare a fare il loro mestiere, non possono esimersi dall’investire nelle nostre eccellenze; sul fronte export” ha concluso il ministro “ci sono ancora margini enormi su cui lavorare. Intanto occupiamoci dell’Expo 2015 nel quale il ministero che rappresento investirà dei fondi per il padiglione dedicato al vino e a quello sulla pizza. Sono stata criticata per aver detto che l’agricoltura può essere ‘figa’. Lo ribadisco e con ciò voglio dire che il ritorno alla terra deve essere accompagnato dall’innovazione e da una riduzione della pressione fiscale”.
Parlare di buono significa anche parlare di ciò che fa bene, e nulla come la dieta mediterranea abbina al meglio le parole alimentazione e salute. Lo ha ribadito Khalid Chaouki, deputato della Commissione Esteri: “La dieta mediterranea, ancor prima che cibo, è identità. Se parliamo di formazione e lavoro pensiamo anche alla grande potenzialità offerta dall’immigrazione, ai tanti ragazzi che vengono in Italia e che potrebbero spiegarci le loro culture gastronomiche”. Gli ha fatto eco Giovanni Puglisi, Rettore della Iulm di Milano: “L’Italia ha due lingue veicolari fortissime, la cultura e le sue tradizioni enogastronomiche; è l’unico paese al mondo, sfruttiamole! Noi come Iulm puntiamo a un grande polo della cultura, con la nostra facoltà, il Politecnico di design che sta per nascere e la partneship con il Gambero Rosso”. Manca tuttavia una scuola di formazione internazionale e a sottolinearlo è stato Riccardo Monti, presidente dell’Ice: “Nell’attesa che questo vuoto venga colmato, come Istituto per il commercio estero stiamo attivando una serie di iniziative, come i corsi di grandi chef italiani all’estero e un programma tv da portare in Cina dove i nostri cuochi più affermati spiegheranno l’uso dei prodotti italiani”.
Molti hanno lamentato la mancanza di canali distributivi forti, eppure c’è un canale privilegiato, quello dei tanti ristoranti italiani all’estero che possono farsi portavoce del Made in Italy agroalimentare, “la formula magica”conclude Monti “sembra essere insegnare, fidelizzare il cliente, per poi radicalizzare il flusso”. Ma per far ciò non bisogna aver paura della globalizzazione. Ne è convinto Mario Guidi, presidente Confagricoltura: “Il nostro problema è sempre stato quello di pensare in piccolo, manca una strategia come sistema Paese. Bene parlare di territorialità, ma non chiudiamoci nei localismi. Il cambio di paradigma deve essere che la formazione deve diventare globale”. E di globalizzazione ha parlato anche Domenico Zonin, imprenditore vitivinicolo e presidente della Uiv: “La nostra formazione tende alla ‘tuttologia’, mentre all’estero ragazzi giovani vengono preparati su segmenti precisi e già durante gli studi fanno pratica. Come Uiv stiamo organizzando un gruppo di lavoro che metta in contatto le più importanti facoltà di enologia d’Italia con alcune aziende vitivinicole, di modo che assieme si possa discutere di necessità e di soluzioni”. La Federdoc invece è la federazione che rappresenta i consorzi, ma anche per loro il tema della formazione è centrale, come ha ribadito il presidente Riccardo Ricci Curbastro: “Iniziamo dalle scuole alberghiere, dove non si insegna il vino, dove mancano ore dedicate all’enologia. Come Federdoc allora ci siamo dedicati alle scuole che formano i periti agrari: chi fa il vino più buono, vince uno stand al Vinitaly: ecco dunque la formazione che entra in contatto con i mercati”.

a cura di Francesca Ciancio

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 19 settembre. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.
 

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