FOOD: a Milano il cibo in mostra visto da Dario Bressanini

12 Dic 2014, 13:40 | a cura di
La scienza in cucina e i falsi miti del naturale a ogni costo. Ecco uno sguardo nuovo, meno romantico, della cucina. Quello di Dario Bressanini, curatore della mostra FOOD.

Siamo bombardati dal cibo: immagini, ricette, ingredienti. Ma ci sono aspetti ancora poco diffusi, e sono quelli che voglio mostrare” parla così Dario Bressanini, curatore della mostra FOOD e notissimo animatore del blog La scienza in cucina. Chimico prestato a pentole e fornelli, divulgatore di un approccio esperienziale al cibo, che affronta le questioni dati alla mano. È lui il deus ex machina della mostra al Museo di Storia Naturale di Milano che segue il percorso del cibo dai semi al piatto,come recita il sottotitolo. Serve un ennesimo appuntamento in tema food in una Milano che si prepara ad accogliere l'Expo? “Le iniziative sul cibo si moltiplicheranno, ancora di più” risponde “abbiamo cercato di avere un approccio diverso, adatto al museo scientifico che ospita la mostra e affrontare il rapporto tra cucina e scienza, che è ancora poco esplorato”.

La mostra ha un impianto didattico, divulgativo e interattivo molto forte. Segue le tracce del cibo dalla sua origine, i semi (cui è dedicata la prima sala che ospita una sorta di banca dei semi con un corredo di approfondimenti scientifici), ma anche dai luoghi d'origine, per suggerire ai visitatori di percorrere in modo nuovo, e forse più consapevole, la strada che porta il cibo sulle nostre tavole, raccontato attraverso video, animazioni, piccoli film con attori che impersonano grandi nomi della storia della cucina, da Apicio al maestro Martino da Como. È un mix di storia, folklore, chimica, botanica. Ma soprattutto è un appuntamento che vuole sgombrare il campo da tanti falsi miti, errori più o meno ingenui che contaminano il nostro rapporto col cibo, e sfrondarlo di alcune derive romantiche e spesso mistificatorie. “In Italia viviamo una specie di ossessione per tutto quanto riguardi la tradizione. Ma ancora prima c'è questa idea che esistano cibi naturali, dunque buoni, e altri contaminati dall'uomo, quindi dannosi. In questa ricerca del naturale a ogni costo non ci si ricorda che ci si può anche avvelenare con le cose naturali. È una visione neopagana e pararelogiosa di una natura generosa che regala i suoi frutti a noi che, cattivi, li corrompiamo. Da qui nascono infatuazioni immotivate, come quelle dei grani antichi: il Senatore Cappelli o il Kamut”. Grani antichi che non sono per niente antichi, ma hanno una data di nascita precisa e un demiurgo con tanto di nome e cognome, come il Senatore Cappelli creato da Nazareno Strampelli nel 1915, il Carnaroli che è un ibrido risalente al 1945 o il Kamut che è un marchio registrato. Fruttodell'intervento dell'uomo recepiti come roccaforti di una non ben identificata tradizione.

Dunque la tradizione è una zavorra? “C'è sin troppa attenzione su questo aspetto in Italia, e ben poca obiettività. L'Italia non è mai stata amica dell'approccio scientifico al cibo, ma anche in generale. Siamo un popolo di poeti, santi, navigatori e” aggiunge “scienziati che vanno all'estero”. Perché in Italia sembra quasi che la scienza in cucina sia di per sé una cosa negativa, se non pericolosa: “Le cucine sono praticamente dei laboratori pieni di strumenti, il paradosso è che alcuni cuochi quasi si vergognano di mostrarli, come se usare il Bimby fosse sconveniente”. Un altro esempio? “La cucina molecolare, che è vista come un affronto alla nostra storia gastronomica”. Un vituperio alla tradizione con la T maiuscola. Ma di quale tradizione si parla? Pensiamo a una qualsiasi ricetta: oggi ci sonocondizioni completamente diverse, dalla temperatura, agli strumenti, alle materie prime (per esempio carne di maiale è molto più magra). Ha senso replicare, passo passo, una ricetta di 70-80 anni fa? “In Italia c'è un po' questa fissazione per cui tutto deve essere fatto come una volta, idealizzando se non inventando un'età dell'oro gastronomica”. Ma molti cibi di oggi non hanno nulla a che vedere con i loro progenitori:“i pomodori, simbolo della dieta mediterranea, non solo non sono originari di qui, ma non sono neanche come erano in origine, visto che erano gialli, non rossi”. Questo aspetto viene affrontato nella seconda sala, che insegue il tema del viaggio, nello spazio e nel tempo, che i cibi hanno affrontato prima di finire nei nostri piatti. Con un focus su materie prime comuni, come riso, miele, caffè, cacao, frumento, arance, di cui si traccia la storia genetica. Un approccio evoluzionistico, in buona sostanza. E per chiarire come la cucina sia, in prima battuta, un'opera di chimica applicata si sviluppa la terza sala, quella più strettamente scientifica e giocosa, che racconta i processi sottesi a cotture e preparazioni, sollecitando i visitatori a guardare, con occhi diversi, oggetti e pratiche domestiche. Per chiarire l'apporto fondamentale di un approccio scientifico basta riflettere a quanto una gestione più rigorosa delle temperature abbia cambiato i risultati in cucina. “Certe cose non sono ancora insegnate in modo sistematico, motivo per cui alcuni docenti dell'alberghiero mi chiedono di scrivere un libro di testo”.

Qual è il rapporto con la ristorazione?“Soprattutto tra i cuochi più giovani c'è chi vuole capire meglio cosa sta facendo e perché”. Poi ci sono i grandi cuochi: “Mi confronto spesso con Bottura, per sviluppare unprogetto insieme, e collaboro con Cristina Bowerman: il cuore di vitella con purè di patate è frutto della nostra collaborazione. Voleva un purè morbido, soffice, suadente, senza aggiunta di grassi, abbiamo lavorato sulla cottura delle patate, realizzata in due tempi a due differenti temperature. Poi sono stato contattato con tanti pasticceria, dopo il libro La scienza della pasticceria”. Ma è per tutti così? “No, molti mi guardano con diffidenza. Quando non con sospetto: “ma più che dai cuochi a cui interessa il risultato, non sono benvisto da certe comunità interessate al modo di produrre i cibi, dai fautori del biologico e del biodinamico (più volte oggetto dei suoi esperimenti tesi a dimostrare la non rilevanza di certe pratiche), o da chi si occupa dell'immaginario che si costruisce intorno a un prodotto. Per esempio nel vino si raccontano territori, fattorie e colline, non solo la bevanda”.
Più che lesa maestà sembra che la questione sia problema sia di rompere le uova nel paniere, detto così. Ma atteniamoci ai dati concreti e torniamo alla mostra, alla quarta e ultima sala, quella più esperienziale, in cui si invita all'esplorazione dei sensi. L'olfatto prima di tutti: il senso più misterioso e difficile da definire. In bocca scientificamente si percepiscono cinque gusti, nel naso ci sono almeno 400 tipi di recettori, molto più complicati, una molecola odorosa può stimolare recettori diversi, con moltissime combinazioni possibili. Inoltre il funzionamento stesso dell'olfatto non è ancora ben chiaro. “Da chimico voglio dare più attenzione a quel che si sta annusando”. Fornire spiegazioni, spiegare la differenza tra un aroma di vanillina e un estratto di vaniglia, o del perché in cottura si sprigiona l'aroma tipico del panettone o del pane, o ancora in che modo l'acido grasso, che ha un odore fastidioso, interviene nella percezione di altri profumi più gradevoli.“L’odore è fondamentale in questa mostra: non potendo far assaggiare i sapori ai visitatori, li accogliamo tra profumi di pane, di cacao, di caffè”. Nella quarta sala ci sono olfattori per avere un'esperienza diretta degli odori del cibo, ma ci sono profumi un po' in ogni ambiente della mostra, dove si parla di caffè e dove si tempera il cioccolato, per esempio.

L'obiettivo è creare un rapporto più immediato e tangibile con il cibo, alla ricerca di un bello e di un buono che siano connessi in modo più evidente con l'aspetto scientifico. Cercando dunque di scavalcare tante sindromi, risultato di un approccio non corretto col cibo. Cosa pensa Dario Bressanini dell'insorgenza di patologie collegate all'alimentazione? “C'è una esplosione finte intolleranze, che a fronte di prove alla cieca non danno alcun risultato attendibile. Parliamoci chiaro: i celiaci sono l'1% della popolazione”.Gli altri? “Alcuni sono veri e propri disturbi emozionali, o il risultato altri tipi di malesseri o problemi, per esempio legati allo stile di vita”.
Le questioni etiche sono insindacabili, e così le scelte alimentari, “ma” dice “quel che non sopporto è la falsificazione dei dati scientifiche, come la storia che il latte è cancerogeno. Per il resto basta andare a qualsiasi supermercato, anche discount per vedere reparti gastrofighetti, prodotti da discount, cibi bio, prodotti vegani o gluten free”. Vorrà dire qualcosa, no?

FOOD la scienza dai semi al piatto | Milano | Museo di Storia Naturale - Sala Conferenze | corso Venezia, 55 | fino al 28 giugno 2015 | tel. 02.54915 | www.mostrafood.it/

a cura di Antonella De Santis
Foto in apertura: Fabrizio Stipari

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