Gastronomika report. A San Sebastián le culture di Londra

9 Ott 2013, 12:24 | a cura di
Martedì 8 ottobre. Sul palco del Kursaal di San Sebastián atterra la capitale inglese in tutto il suo gastrocosmopolitismo. Il mix esplosivo di tradizioni orientali, influenze europee e cucina tradizionale britannica (senza dimenticare un twist avantgarde) si fa strada tra tecnicismi di stampo iberico. Ecco il report.

Al secondo giorno di congresso, l'immagine della Londra culinaria si delinea sempre più con un profilo fusion. È un termine abusato, ma la ponencia di Anna Hansen, intitolata Fusion pura, lo richiede espressamente. Nativa del Canada, cresciuta in Nuova Zelanda, poi approdata a Londra, lo stile della cuoca del Modern Pantry, straordinaria (anche per bellezza del locale) tavola del quartiere di Clerckenwell, profuma d'oriente, soprattutto di Thailandia, con la tipica tendenza equilibrista di questa cucina a stare tra l'acido, il piccante e il dolce. Il piatto presentato non lascia spazio a dubbi: noodles di riso in zuppa di anatra affumicata (con lemongrass, tamarindo, lime, latte di cocco, zenzero) accompagnati da riso nero croccante. Senza effetti speciali, il piatto ha la dimensione del comfort food.

Cucina trendy quella del londinese James Knappet nelle due anime nel suo locale: una, su strada, è Bubbledogs, basata sulla formula hot dog + champagne; l'altra, nel retro, è Kitchen Table, una bella sala con 19 coperti, dove si serve un menu degustazione gourmet. Knappet presenta sul palco uno dei suoi piatti: pelle di pollo croccante con mascarpone al rosmarino e bacon, un appetizer incisivo, anche se squilibrato sul grasso. Gli ottimi hot dog della casa stanno facendo furore in questi giorni di Gastronomika: una postazione di street food li serve all'ingresso del Kursaal. Come negli interventi degli altri britannici, l'accento del discorso è sull'uso rigoroso di materie prime locali.
Stesso filo conduttore per Isaac McHale e James Lowe, chef noti per alcuni pop up restaurant aperti a Londra e ora, invece, in pianta stabile al Clove Club. I due, sul palco, si limitano a preparare salsicce di gallo cedrone, selvaggina molto utilizzata nei ristoranti cittadini, ma anche piuttosto cara: in versione insaccato, con aggiunta di grasso di maiale e spezie, diventa un cibo cheap&chic.

Alla "veracità" anglosassone si alterna il tecnicismo iberico: prima l'intervento di Ricard Camarena (ristorante gastronomico, bistrò e bar per lui a Valencia), caratterizzato da preparazioni lunghe e articolate, in cui il pesce viene accompagnato da ricchi brodi trasparenti ed emulsioni stabili, nella ricerca di alchimie fra ingredienti e tecniche nel piatto. A lui si avvicenda Ever Cubilla, portatore sano di un nuovo concept bar di Barcellona. Per affrontare la crisi, diversificando l'offerta del Rias de Galicia, ristorante basato sul pescato e sui frutti di mare galiziani, è stato creato l'Espai Kru, dedicato ai crudi, con un menu diviso in piatti "prima del fuoco" e "dopo il fuoco", peculiari per marinature lampo, oli alle erbe, disidratazioni con sale, contrasti fra le temperature, in cui c'è lo zampino di Ferran Adrià.

Tra gli iberici maggiormente legati alla tecnica spagnoleggiante, c'è l'andaluso Dani Garcia (Calima Restaurant di Marbella), che, in una ponencia dedicata all'olio extravergine, si diverte a giocare con l'obulato. La lamina commestibile di amido di mais, lecitina di soia e olio di girasole, usata come involucro dei farmaci in Giappone, è stata in questi anni molto cara alla cucina molecolare, per la sua versatilità nelle forme e l'assenza di sapore. Sul palco, Garcia ne fa una "carta di madeleine" (che in Spagna ha linee più vicine a un muffin) con madeleine salata di carota e caviale di extravergine passato in idrogeno.

Sembra in forma Quique Dacosta, sempre uguale a se stesso e per questo sempre efficace. La collezione di nuovi piatti del ristorante di Dénia si snoda in un gioco creativo di forme della memoria valenziana, dal sigaro di alghe affumicate, in omaggio alla tradizione manifatturiera del tabacco, alla ventresca "txipirón", piatto di forte impatto estetico, in cui una ventresca di sgombro, ripiena della sua sacca ovarica, prima disidratata con sale e poi cotta a 62° sottovuoto, assume la linea di un bellissimo calamaro.

È la volta di uno degli interventi più attesi, quello di Heston Blumenthal, che divide la presentazione con i due chef dei suoi ristoranti, Jonny Lake, per il Fat Duck, e Ashley Palmer Watts, per il Dinner di Londra. Aspettative deluse per quanti attendevano novità nella ricerca culinaria dell'insegna di Bray: la ponencia di Lake è centrata sul "food pairing", tecnica scientifica di abbinamento degli ingredienti, tramite uno studio delle componenti molecolari che ne caratterizzano il sapore. Lanciato anni fa da Blumenthal e poi fatto proprio soprattutto dalla nuova cucina fiamminga, il food pairing ha limiti di semplificazione chimica dei sapori che non tengono conto di tutta una serie di variabili, tra cui le consistenze, le temperature e la percezione fisica di chi mangia. Più classica, con tanto preparazione eseguita dal vivo, è la presentazione del Dinner: il ristorante, all'interno del Mandarin Hotel, concentra il suo menu sulla rivisitazione di antiche ricette britanniche (del periodo che va tra i secoli XII e XIX), con il filtro della tecnica contemporanea.

Nel pomeriggio le cucine asiatiche della capitale inglese guadagnano il palco: c'è la tradizione giapponese, combinata all'utilizzo di prodotti britannici, del giovane Junya Yamasaki, del Koya, un "udon restaurant" in cui si approfondisce la tecnica della fermentazione anche sulla selvaggina inglese; c'è il Giappone contemporaneo dei ristoranti Zuma e Roka, due insegne caratterizzate da cura per il design e piatti che propongono i sapori giapponesi in maniera decisa, per incontrare il palato british; c'è la Cina di Chef Peng, del ristorante Hunan: il cuoco, nativo di Taiwan, propone lo stile tradizionale della raffinata cucina cinese, fatta di equilibri tra dolce e amaro, tra ananas e bitter melon, tra yin e yang.

L'ultimo dei "londinesi" è il portoghese Nuno Mendes, del Viajante, East End di Londra dentro uno strepitoso hotel. Sua la ponencia più interessante della giornata. Sembra essere una caratteristica tutta lusitana la spinta al viaggio: la cucina di Mendes è un cammino continuo tra sapori esotici con lo sguardo alle origini, una sorta di andata e ritorno tra Asia e Portogallo, che molto ricorda la storia coloniale dell'impero di Lisbona. Emblematico è "come un portoghese vede il dashi", Mendes ripensa il classico brodo giapponese, caratterizzato da katsuobushi (tonno secco) e alga kombu, con due simboli del Portogallo, baccalà e aglio, preparazione in cui il baccalà viene seccato per due mesi, poi cotto in un'infusione di acqua e aglio arrostito. Il dashi del Viajante, nel piatto presentato a San Sebastian, fa da base a una lingua di baccalà, bruciata col cannello, e a una guancia confit, sempre di baccalà. Un filo di olio extravergine ed ecco che il portoghese ritorna a casa.

a cura di Pina Sozio

foto piatti: Coconut

Gastronomika report. Primo giorno

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