Giancarlo Mancino. Chi sono e cosa fanno i migliori barman italiani? Vol. 3

15 Gen 2014, 17:00 | a cura di Antonella De Santis
Terza tappa del nostro viaggio nel mondo dei cocktail, ma soprattutto attraverso i migliori barman italiani per capire chi sono, cosa fanno e come si muovono dietro il bancone. Questa volta andiamo a Hong Kong per incontrare Giancarlo Mancino, barman, produttore dell'omonimo (e buonissimo) vermouth e consulente in tutto il mondo per tutto quel che riguarda i grandi cocktail bar.
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È uno dei grandi bartender mondiali, Giancarlo Mancino: barman, consulente e produttore del Vermouth che porta il suo cognome e ritrae Pignola, paese della Basilicata che ha lasciato per girare il mondo dietro al bancone. Ha uno sguardo privilegiato dal suo locale Il Milione, nato da un annetto fa a Hong Kong che ha raccolto già un notevole successo, e dai viaggi che lo portano da una parte all'altra dell'Oceano. Ci racconta la sua visione di questo mondo e dell'Italia, dove, dice, non ci hanno mai creduto abbastanza...

Nome
Giancarlo Mancino

Età
36 anni

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Quando ha iniziato?
Vengo da Pignola, un paesino della Basilicata. Ho iniziato presto e nella seconda metà degli anni '90 ero al Mirabelle del St. Regis di Roma con Bruno Borghesi. È stato un trampolino, mi sono reso conto che avevo un potenziale, ero molto classico già 15 anni fa e ho capito che ero portato per quegli standard. Così sono partito per New York, dove ho lavorato al King Cole, sempre con la catena St. Regis. Ero l'unico italiano lì e quando chiedevano il Martini mi tremavano le mani. Poi sono diventato un leader proprio per i Martini.

Locali in cui hai lavorato?
Nel 2000 torno in Europa per lavorare al fianco di Salvatore Calabrese alla Library Bar al Lanesborough Hotel di Londra, ancora della catena St. Regis. Ci sono rimasto 4 anni, poi ho ripreso il volo ma ho abbandonato l'idea di lavorare per qualcuno: ho iniziato in quel periodo a fare consulenze, per la catena One & Only Resorts, che ha resort extra lusso in tutto il mondo. Dopo la prima esperienza a Mauritius ci sono state Londra, l'Asia, il Messico, e tantissimi altri posti. Quello che mi è rimasto nel cuore? Le Maldive: lì si lavora a piedi nudi e in camicia di lino, ma per clienti top level, è un posto incredibile. Ho lavorato moltissimo in Asia: Mumbai, Goa e Malesia, sempre con grandi catene alberghiere - Four Seasons, Shangri -La, Ritz Carlton, Banyan Tree Hotels, Taj Hotels, Rocco Forte Group, Intercontinental.

Sempre e solo alberghi?
No, in India ho anche avuto un ristorante, naturalmente italiano e con un grande cocktail bar, il Giancarlo's Place. Era più o meno il 2008. A quell'epoca era nata anche la mia società di consulenza che si occupa di tutto quel che riguarda il bar: i cocktail, la formazione del personale, la selezione delle materie prime, dei bicchieri e di tutto quel che ci gira intorno. Tra le collaborazioni anche quella con Umberto Bombana, unico tre stelle italiano all'estero con il suo 8 e ½ di Hong Kong, lì abbiamo fatto un grandissimo lavoro portando il bar al livello della cucina. Insieme a Bombana ho anche aperto l' 8 e ½ di Shangai.

Locale in cui lavori ora?
Il Milione di Hong Kong. È un ristorante con cocktail bar che ho aperto circa un anno fa con Marco Gubbiotti, e che ha conquistato la sua prima stella Michelin dopo appena 8 mesi dall'apertura.

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Cosa si trova al Milione?
A ristorante come al bar più del 90% dei prodotti sono italiani: aglio, pesche bianche, olio dell’Umbria, salumi di cinta senese, e poi Biancosarti, gin italiano, amari. Un twist di Gin Martini è completamente differente se fatto con limone di Amalfi. È un drink che faccio da 15 anni... Certo tra cucina e bar la differenza c'è, se non altro in termini di costi: da noi il ristorante ha un food cost di circa il 40%, il beverage tra il 25% 31%. Cerco il massimo della qualità in ogni aspetto: grandi bottiglie, succhi, sour, frutta fresca spremuta a vista.La linea è improntata ai grandi classici, l'80% a base di vermouth, per cui ovviamente uso sempre quello che produco io.

Come mai sei diventato produttore?
Volevo rivalutare dei prodotti un po' dimenticati, dal Biancosarti al Campari, agli Amari, con cui ho sempre lavorato. Quando mi sono reso conto che usavo vermouth francesi, perché c'era una totale mancanza di prodotti italiani di nicchia, ho deciso di fare io quello che cercavo. Con ottimi prodotti artigianali si può fare un lavoro completamente diverso al bar. Quella l'ispirazione iniziale, il resto la hanno fatto la scelta di puntare alla qualità inoltre, avendo trascorso quattro anni in India, conosco bene il mondo degli infusi, delle erbe e delle spezie, è lì che ho deciso che era il momento di iniziare a fare il mio vermouth, qualcosa di artigianale e di lusso, con 40 erbe, che in Italia è distribuito da Gaja. Oggi giorno sono sempre dei grandi bar a inventare cocktail, spesso con prodotti italiani e stile italiani.

Puoi raccontarci la tua visione di questo lavoro?
Partiamo dall'inizio: siamo bartender. Mixologist è un termine che non so neanche che significa, anzi credo sia un danno per la nostra professione. Il bartender è un po' come il sushi chef. Intrattiene le persone al bancone con i suoi drink ma anche e soprattutto con il suo lavoro. Quello che conta è anche il nostro modo di lavorare, i gesti, la tecnica, lo stile; ho sempre lavorato con giacca bianca e papillon. Poi ci sono le attrezzature e la cura attentissima di ogni dettaglio: i cristalli, i bicchieri cecoslovacchi, i barspoon lunghissimi. Materiali da collezione che cerco in tutto il mondo.

Ecco, lo stile. Puoi raccontarci il tuo?
Io sono per i grandi old fashion: Martini, Negroni, Milano-Torino, la mia linea è classica, ho sempre fatto questo. Ci sono altri stili, naturalmente, per esempio il molecolare che è un’esperienza interessante, ma per me è una cosa molto diversa rispetto a un grande classico che, volendo, bevi anche ogni giorno senza che ti stanchi mai.

Come sono visti gli italiani all'estero?
L’italiano nel settore dell’ospitalità è riconosciuto. La personalità importante, lo stile, l'eleganza, gli abiti, persino l'accento: sono tutte cose che funzionano molto all'estero. In sintesi le cose che contano dietro un bancone sono: stile e fascino italiano, ottimo inglese e personalità.

E tu, che ormai sei fuori dall'Italia da molti anni, che visione hai del nostro Paese?
Adesso a Milano ci sono tre o quattro bar buoni. Ma in linea generale è una situazione che non riesco a capire: i cocktail sono sottovalutati, i drink si vendono a bassissimo prezzo, appena pochi euro... forse influisce anche un po’ la crisi, ma è davvero raro trovare un gin & tonic come va fatto, con cura, attenzione, selezione delle materie prime: per esempio solo di acqua tonica esistono almeno venti prodotti artigianali importanti, da scegliere secondo lo spirito. E invece questo lavoro di ricerca non si fa quasi mai, e la proposta è livellata verso il basso.

Perché l'Italia è così indietro?
Perché nessuno ci ha creduto finora: prima il barman era un semplice barista. Non c’è stata mai, come tradizione, la figura del grande barman. Inoltre gli italiani per molto tempo sono stati bloccati nelle proprie città, non hanno fatto viaggi ed esperienze all’estero e non hanno visto cosa stava succedendo nel mondo. Ho fatto un tour in Europa, Germania, Cecolovacchia, Polonia, Bulgaria, anche al nord, Copenaghen e Stoccolma. Ho trovato barman eccezionali. In italia mi sembra che il panorama sia ancora molto indietro, per esempio sulle attrezzature, oltre che sui prodotti. C’è uno spazio enorme tutto da colmare. Un altro esempio? All’estero esistono moltissimi secret bar. Il numero uno in Asia è a Singapore, il 28 Hong Kong Street. La cosa fondamentale per fare un buon secret bar è metterci personalità, bisogna creare un posto dove fare un'esperienza, tutta la storia del segreto, dello Speakeasy, è un contorno di poca importanza se non c'è il resto.

Quale è la situazione in Asia?
L’Asia èpartita pochi anni fa, non più di 7 o 8, ma lì c'è una mentalità completamene diversa dalla nostra: in poco tempo sono cresciti tantissimo, si sono adeguati alle diverse esigenze sotto ogni punto di vista, anche per quanto riguarda le attrezzature: ci sono oggi grandi produttori, soprattuto in Giappone, che realizzano bicchieri, shaker e tutto il resto. Nelle grandi città asiatiche c'è un livello medio molto alto, si punta allaqualità, c'è tanta ricerca. È un panorama molto interessante ma è anche una realtà difficile dove lavorare perché non è facile che si fidino completamente, ci vuole molto tempo.

Un segreto del mestiere?
La cosa più importante è avere una grande passione e tanta voglia di lavorare. Ho appena passato due giorni a Milano per seguire dei progetti, e sono stati molto complicati tra il traffico, gli imprevisti, le persone spesso in ritardo. Bisogna lavorare con concentrazione. Il nostro è un lavoro composito: c'è la parte commerciale, la comunicazione, la selezione delle materie prime, la definizione della linea del bar, lo staff da formare e seguire. Oggi ho tre aziende: una di consulenza, il Vermouth Mancino, e la partnership con il Milionario; seguo aperture tra l'Asia e l'Europa; è importantissimo avere persone su cui contare, io ho un collaboratore fidato che è con me da 10 anni, che mi segue ovunque e in ogni progetto.

Cocktail preferito?
Un grande Negroni, fatto come si faceva un tempo, o un grande Gin Martini, oppure un Ramos Gin Fizz. È un cocktail a base gin, inventato a New Orleans da Henry C. Ramos nel 1888, una sorta di Gin fizz con la panna.

Un collega che guardi con ammirazione
A livello di ispirazione faccio self learnig, ma a livello insegnamenti di vita, educazione, intrattenimento, gestione del locale, il mio grande maestro è Salvatore Calabrese.

Il Milione | Hong Kong | G/F Hutchison House, 10 Harcourt Road, Central | tel. +852.24811120 | www.il-milione.com

   

a cura di Antonella De Santis

Per leggere l'intervista a Matteo Zed Zamberlan clicca qui
Per leggere l'intervista a Daniele Dalla Pola clicca qui
Per la degustazione del Vermouth Mancino fai clicca qui

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