Home restaurant. Intervista a Marta Leonori del Comune di Roma

20 Mag 2015, 16:33 | a cura di
Della faccenda parlerà domenica prossima anche Report. Intanto sugli home restaurant si è espresso anche l'Assessorato Roma Produttiva della capitale. Ed equipara ai ristoranti tradizionali. Ma forse non è finita qui. Ecco l'intervista all'Assessora Marta Leonori.

Ancora bufera sugli home restaurant. Anzi no. Perché la bagarre nata dalla mancanza di regole precise sembra volgere al termine. Noi ce ne eravamo occupati già a marzo, evidenzianone alcune criticità (trovi l'articolo qui). Uno dopo l'altro si esprimono sulle attività di ristorazione domestica diversi organi istituzionali. Il Mise, Ministero dello Sviluppo Economico per primo, come vi abbiamo riportato qui, poi la Regione Lazio su sollecitazione del Comune di Roma, infine l'Assessorato Roma Produttiva e Città Metropolitana, con l'Assessora Marta Leonori che in una nota fa sapere che anche per le attività ristorative domestiche valgono le stesse regole delle attività tradizionali. “Chi esercita l’attività di cuoco a domicilio, nei cosiddetti Home Restaurant, deve sottoporsi alle stesse regole che valgono per tutte le attività di somministrazione di cibi e bevande e questo perché è necessario prima di tutto tutelare il consumatore finale, a partire dalle norme igienico-sanitarie e di conservazione dei cibi. Il fenomeno si sta diffondendo a macchia d’olio soprattutto nelle grandi città e spesso con l’aiuto di siti web e social network, ma il fatto di commercializzare pietanze o bevande all’interno della propria abitazione non può esimere dal rispetto delle norme che disciplinano il settore”. Ma è tutto qui o la questione deve ancora arrivare a conclusione? Incontriamo Marta Leonori, dell'Assessorato alla Politiche Produttive del Comune di Roma.

Assessore, nella nota di ieri annuncia una circolare. Che tempi ci sono?
Il Dipartimento alle Attività Produttive sta lavorando a una bozza che già la settimana prossima dovrebbe essere pronta. Abbiamo iniziato a occuparci degli home restaurant su sollecitazione delle associazioni di categoria, ma l'esigenza di dare un inquadramento a questo fenomeno, che è già presente nella nostra città, è molto evidente. C'è bisogno di dare una risposta veloce a queste nuove situazioni anche in vista del Giubileo, perché dall'iniziativa spontanea di alcune persone non scaturisca qualcos'altro, e nella nostra città non siamo nuovi a fenomeni di attività abusive.

Questo per quanto riguarda Roma. Ma nel resto d'Italia sono previste ordinanze simili?
Abbiamo chiesto a Milano, loro se ne sono occupati all'interno di un tavolo sulla sharing economy, ma non c'è un atto formale da parte del Dipartimento Attività Produttive. Vale però la pena essere coordinati con le altre città. Mentre la Regione Lazio si è espressa negli scorsi giorni su sollecitazione del Comune di Roma. Con la nostra stessa linea di pensiero.

A proposito di sharing economy: sarà il tema della prossima puntata di Report, e si occuperà anche di ristorazione domestica. Tra le altre cose si dirà che: "limitare gli home restaurant nel 2015 è un po' come se negli anni Novanta si fosse limitata la posta elettronica per non danneggiare le Poste Italiane". Cosa risponde? 
In realtà è molto diverso. Qui non c'è una società che vieta uno strumento. Non si vuole in nessun modo vietare, ma regolamentare. A garanzia del cliente e dell'imprenditore oltre che dal punto di vista economico e fiscale. Se passa la regola che in casa si possa fare qualsiasi cosa, si rischia la completa anarchia anche per quanto riguarda la ricezione domestica.

E non è così? Secondo Franco Gabrielli 4 B&B su 5 sono abusivi.
Si, ma esiste una regolamentazione di riferimento che definisce cosa è legale e cosa, invece, non lo è. Le strutture che fanno attività ricettive, regolari o abusive, stanno cambiando il volto di alcune nostre città. Pensiamo al centro di Roma, a Firenze o a Venezia. Si parla di gentrificazione, resilienza e altri fenomeni del genere. E non solo da noi. In particolar modo il dibattito su AirBnb è ormai mondiale, se non sbaglio a New York hanno fatto piazza pulita fino a che non è stato messo in regola. Come ci sono riusciti? Hanno impedito di caricare i dati sul sito. Stiamo cercando di dare delle norme a queste forme imprenditoriali. Occorre che ci sia una regola alla quale attenersi. Poi ognuno deciderà se stare dentro o fuori la legge.

La nota di ieri ha equiparato gli home restaurant ai ristoranti. Ma non crede che l'attività degli home restaurant possa necessitare di regole un po' diverse?
Sicuramente si. È quello che studieremo nei prossimi giorni. Per questo sono previsti degli incontri con la le associazioni, ma anche con chi sta facendo attività di home restaurant. Bisognerà mettersi d'accordo.

Insomma si dialoga.
Si, l'obiettivo è regolamentare queste attività per dare delle tutele a tutti, clienti e operatori. Faccio un esempio: come garantirsi nel caso qualcuno accusi di essere stato male dopo una cena in casa? La sharing economy è una realtà da sfruttare, ma bisogna dagli una cornice e delimitarla.

Nella sua nota diceva che il Comune "avvierà tutte le iniziative necessarie a verificare e vigilare affinché siano rispettate le regole del settore", cosa risponde a chi lamenta l'inadeguatezza dei controlli o la poca equità? Ci sono sufficienti forze per farlo?
Ieri il prefetto Franco Gabbrielli ha detto che nella nostra città sono venute meno 3000 forze dell'ordine negli ultimi 10 anni. Per questo non dobbiamo puntare al controllo, ma alla regolamentazione.

In tanti ribattono che non c'è nulla di diverso dall'invitare alcuni amici a cena e dividere la spesa. Come individuare chi fa attività?
Naturalmente andranno studiati dei modi per circoscrivere il fenomeno. Sicuramente la comunicazione su internet e la promozione sono fattori inequivocabili. Laddove c'è un'attività economica sottostante che produce un ricavo deve esserci una norma.

Nell'incontro con il ministro Martina con gli chef a marzo (ne abbiamo parlato qui) si è ipotizzata una sburocratizzazione sulla falsariga di quella che stanno mettendo in atto nel mondo del vino con il Registro Unico dei Controlli. Secondo lei come sarebbe possibile?
Se ci fosse una cornice nazionale saremmo felici. Quando si parla di semplificazione per le attività economiche, di allentare il peso burocratico ed economico noi siamo ben felici: anche noi stiamo cercando di lavorare in questa direzione, con pratiche più snelle per l'occupazione del suolo pubblico, nuove norme per le canne fumarie, una nuova regolamentazione di bar e ristoranti, la Scia online, inoltre la maggior parte dei permessi oggi si possono richiedere in maniera più semplice di prima. Vogliamo andare un po' avanti anche in questa città, agevolare la vita a chi vuole fare impresa.

A proposito di concorrenza. Siamo in Europa, aprire all'estero, anche in posti come Parigi o Londra, è infinitamente più semplice che non aprire in Italia. Ritiene che si possano adottare delle misure per agevolare l'imprenditoria ed essere così più competitivi in Europa?
È un problema italiano che abbiamo in diversi settori, le lungaggini de nostri sistemi sono note. Non a caso è nata l'esperienza di Impresa in un giorno. Burocrazia, tasse, difficoltà di vario genere sono innegabili, ma evidentemente se qualcuno continua a fare impresa nel nostro Paese, ha ancora senso. Il lavoro che dobbiamo fare è non rendere ancora più complicata la vita a chi deve fare impresa nella nostra città.

Il mondo dei food truck è impenetrabile per i motivi che si sanno. Il mondo dei mercati è difficile da rinnovare perché ci sono resistenze alle novità e le strutture chiudono ancora alle 14. Sugli home restaurant si mettono leggi che li equiparano alla ristorazione ufficiale. Non crede che così si limiti l'innovazione in città facendoci sempre più distanziare dalle altre capitali occidentali dove tutti questi esperimenti sono liberi?
L'imprenditoria più snella vivace non significa che si possa fare esattamente qualsiasi cosa senza alcun controllo. Molte persone che io incontro vorrebbero aprire delle attività fuori da ogni concessione, perché sostengono di avere una buona idea. E magari è realmente così. Ma non basta una buona idea, ci deve essere una cornice in cui si possa inquadrare perché ne giovino tutti. Soprattutto nel caso in cui questa buona idea sia condivisibile. Nel pomeriggio ero a un incontro sui mercati con alcune persone straniere. Proprio perché è importante per noi studiare modelli innovativi confrontandoci e facendoci aiutare dalle esperienze estere, applicandoli alla nostra realtà che ha spesso un'identità molto forte. Sui food truck, che dire. Magari si riuscissero a superare gli ostacoli. Non ditelo a me...

a cura di Antonella De Santis

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