Identità Golose 2014 report giorno 2. Niko Romito, Rodrigo Olivera, Gaston Acurio, Massimo Bottura e gli Alajmo

11 Feb 2014, 09:45 | a cura di
I grandi big della seconda giornata: italiani, come Romito, Alajmo e Bottura, e stranieri come Gaston Acurio, autentico patriarca della cucina peruviana. Eccoci alla seconda giornata di Identità Golose.

La seconda giornata di Identità Golose si apre con una riflessione. È la riflessione di Niko Romito che nella sala Auditorium del Mi.Co. si interroga sul senso della sua cucina, ma prima ancora sulla cucina stessa. Come a fermare i punti nodali di un ragionamento che procede per strattoni e connessioni i monitor si riempiono di parole chiave: cultura studio tecnica ricordo storia sensibilità eccellenza esperienza prodotto uomini ricordo innovazione. E poi c'è la sensibilità. Quella cosa diversa da persona a persona, che porta ognuno a sintetizzare in modo diverso gli stimoli.
È l'intelligenza del ragionamento e della capacità di mettere in relazione le cose. “Siamo qui perché esiste l'alta ristorazione, gli stessi gastrobistrot ci sono perché esiste l'alta ristorazione” e ancora “è lusso, si, ma c'è un lusso bello, quello dell'eccellenza fa conoscere un territorio e i suoi produttori”. E poi arriva anche fuori dall'alta ristorazione, nelle case. Ma quei prodotti, quel lavoro, quella selezione, quello sforzo hanno un costo. Parla di coraggio e dell'esigenza di credere in un progetto. Difficile non credergli. Torna alla cucina in senso stretto. “La cucina deve essere silenzio, e noi cuochi dobbiamo fare un passo indietro e far parlare la cucina”. La sintesi di tutto deve essere nel piatto: il pensiero, la filosofia, lo studio, l'essenza della materia prima: grandi contenuti ma con linguaggio semplice o addirittura elementare. “Voglio un approccio facile, che parli a tutti”. E allora lascia spazio alla sua cucina, raccontata dai video di Elisia Menduni. Il lavoro sul prodotto, la comprensione delle tecniche, le potenzialità di una lavorazione. Quattro basi per undici piatti, illustrati in soli venti minuti. Nei video c'è tutto: estrazione, concentrazione, intensità. Ma anche conoscenza. È un percorso intelligente, questo, ma di un'intelligenza più profonda che è quella che si avvicina all'essenza delle cose.

Dal ragionamento al territorio, Rodrigo Oliveira racconta i prodotti della sua terra, le tradizioni e i loro sviluppi, dei limiti da superare, della collaborazione con un centro studi perché la golosa intelligenza è anche quella che porta a cercare un pensiero organizzato e a definire delle procedure. Puntando a “una cucina che sia inclusiva non esclusiva”. Rimaniamo in Sud America con Gaston Arcurio (nella foto di apertura), ancora un affondo nel territorio e sui produttori, prima che sui prodotti. A creare una catena virtuosa di collaborazione, di sostentamento, di qualità. Connessioni di eccellenza tra chef e produttori. Parla delle tradizioni di strada e del ceviche che, dice “è un concetto, una finestra affacciata su un crocevia della natura, che unisce Pacifico e Ande, e il deserto che li separa. È una connessione tra territori e persone, rappresenta una terra ricca prodotti incredibili e di talenti umani ineguagliabili”. Così ha cercato il migliore tra i 400 cevicheros di Lima per nobilitare questa tradizione che ha perso smalto: “serve un punto di partenza altrimenti non c'è un orizzonte”. Parla con amore degli ingredienti, del peperoncino ancestrale e dei piccoli limoni peruviani che proprio grazie al ceviche godono di una nuova fortuna.

Arriva Massimo Bottura seguito da un tifo da stadio. Parla di quadri, di libri, dice “gastronomia, come l'arte, è fatta per andare avanti e per evolvere”. Riflette e cerca risposte. Ma la domanda questa volta è: Chi sono io? Scomoda il Pirandello di Uno, nessuno, centomila, come poi Davide Oldani farà con le Lezioni Americane di Calvino per raccontare la sua cucina in forma e sostanza. Bottura parla di passioni e autenticità, dei cinque sensi e del sesto, il più importante, che regala la creatività. Parla anche lui di casa, memoria e materie prime, di tradizioni e della nostra storia. “Opero per salvaguardare questa realtà dando lavoro ad artigiani contadini, così garantisco una memoria storica per i nostri figli, per dare loro il visibile e l'invisibile, la memoria, il passato che può essere anche criticato e contestato”. Non pago chiede ai suoi ragazzi chi sono loro veramente. Centomila, ognuno con un proprio percorso e un proprio piatto che lo racconta. “Siamo cuochi e camerieri, esseri umani, persone create per creare”. Torna anche oggi il connubio tra immaginazione e follia. Ma chiude. “Metti da parte il tuo ego”.

Sembra arrivare da un altro pianeta Kobe Desramaults incarna il cuoco artigiano sperimentatore in completa armonia con la natura. Il suo In De Wulf nella campagna belga, è un nucleo autonomo: ogni cosa viene prodotta in loco, utilizziamo il più possibile qual che si trova nei dintorni. Promette di utilizzare tutto e ridà vita a tutto: erbe, frutta, radici, latte, prende animali interi che lavora a tutto tondo, ogni parte regala un prodotto diverso, produce salumi, formaggi, aceto. Racconta i suoi esperimenti con le fermentazioni, con i lattobacilli. Il lavoro con il koji, con il miso, mostra impasti fermentati, formaggi e carni macinate. E, quasi incidentalmente, dice della sua collaborazione con l'università di Anversa per studiare, fare test e analisi. “La fermentazione è ovunque se si vuole portare più in là è un azzardo, non si sa molto e bisogna fare attenzione”. Così ci mostra i piatti che sanno di qualcosa di primitivo, di scoperta, di confronto a tu per tu con la natura. Fino al piatto finale, il cervello di agnello e la sua testa, lavorata a vista, prima intera e poi a metà. Un momento estremo e vivo, anche questo in perfetta armonia con la natura, animale tra gli animale, grande rispetto per questa natura e grande rispetto per gli uomini, perché dice: “sono tempi difficili, l'unico investimento che conta è quello nelle persone”.

Netta l'inversione di marcia dei fratelli Alajmo, il cui intervento prende le mosse da Fluidità, libro d'arte più che di cucina. Ma, dice Massimiliano “io cucino perché è l'unica possibilità che ho di conoscere i mondo”e allora forse le differenze non sono poi così tante. C'è il gioco sensoriale il calembour gastronomico, ma “la cucina è un istante, molte volte è effimera, tutto ciò che c'era prima non è più ripetibile, tutto cambia, il gelato si scioglie altre cose si ossidano” lo dice presentando un dolce alle mele leggerissimo e impalpabile, come la bella meringa fatta di “aria e profumo”. C'è una liquida bellezza che scivola via. Una voluttà dei sensi: noi dobbiamo imparare dai bambini, di nuovo il ritorno a un'infantile mancanza di sovrastrutture, il loro uso dei sensi istintivo, il piacere e i non piacere espressi con schiettezza, la voglia di tuffarsi nel cibo. Il piacere e il senso più profondo della cucina è condividere. E rincara la dose: “prima che gli ingredienti ci sono le persone, persone straordinarie che non di rado hanno ingredienti straordinari”.

www.identitagolose.it

a cura di Antonella De Santis

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