Importare caffè crudo. Intervista a Alberto Polojac di Imperator

30 Mar 2016, 12:30 | a cura di

Prima dei torrefattori e dei baristi, ci sono gli importatori. Fra le realtà italiane che si occupano di acquistare e rivendere caffè crudo, la Imperator di Trieste è un punto di riferimento per molti. Alberto Polojac ci racconta la professione di importatore.


L'azienda di famiglia e il percorso formativo

Di Alberto Polojac abbiamo sentito parlare dalla maggior parte dei torrefattori e baristi italiani che abbiamo intervistato. Esperto di caffè verde (crudo) e responsabile acquisiti dell'azienda Imperator di Trieste, Alberto rappresenta la terza generazione di una famiglia dedita al caffè. L'azienda, a conduzione familiare, importa caffè crudo da tutto il mondo e lo consegna in tante torrefazioni italiane, negli ultimi anni ha ampliato l'offerta dirottandola sempre più verso il mondo degli specialty coffee e, ancora più recentemente, verso i caffè certificati bio fairtrade. “Serviamo i torrefattori, importando e offrendo consulenze” racconta Alberto che, insieme al padre e al fratello, è affiancato in azienda da 4 ragazze che si occupano del campo amministrativo.

Ma il suo lavoro non si limita a questo. È, inoltre,direttore di accademia di Barista & Farmer, nonché uno dei docenti del progetto C.O.F.F.E.E., finanziato dall'Unione Europea. Il quadro delle competenze di Polojac si compone di vari tasselli, tutti con lo stesso fil rouge: il rispetto del prodotto e la ricerca della qualità. E dopo aver chiesto a baristi e torrefattori come funziona il settore del caffè, è giunto il momento di capire come si muove chi è a monte dell'intera filiera.

Il caffè verde: raccolta e metodi di lavoro

Il lavoro dell'importatore si costituisce di 3 fasi fondamentali: viaggio in piantagione e ricerca dei chicchi migliori, controllo qualità e assaggio alla brasiliana. Il controllo qualità inizia con l'analisi visiva dei chicchi crudi, durante la quale vengono scartati tutti quelli con difetti evidenti. L'esame qualitativo si conclude con l'assaggio per infusione (cupping), da non confondere con quello alla brasiliana, “per il quale non esiste un vero e proprio protocollo, dalla tostatura (molto chiara, ben prima del "primo crack") alla dose usata (8-10 gr per 200ml) al numero di tazze (in genere 10)”. Si tratta, comunque, di “un metodo di assaggio utilizzato solo per classificare i caffè brasiliani in base alla qualità in tazza”. Per il metodo cupping, invece, esiste invece un vero e proprio protocollo standard uguale in tutto il mondo.

Ma come funzionano le piantagioni di caffè? La raccolta, il cui periodo varia a seconda del paese, è solamente una all'anno, tendenzialmente, “la stagione caffeicola va da ottobre a settembre, esclusi casi a parte come il Brasile, in cui si raccoglie da maggio a luglio”. Ogni ettaro produce, all'incirca, una tonnellata di caffè verde, “ma chi punta alla qualità tende a raccogliere quantità minori”. Per molto tempo, le piantagioni sono state amministrate da imprenditori europei, specialmente inglesi e olandesi; negli ultimi anni, diversi produttori locali dei paesi di origine hanno iniziato a prendere in mano la gestione delle coltivazioni.

Una volta raccolte, le drupe (frutti della pianta del caffè in cui si trovano i semi, unica parte del frutto utilizzata) vengono lavorate. Ogni chicco deve subire un processo di stabilizzazione dell'umidità, “che deve essere al massimo del 12%, limite imposto dalla legge per non sviluppare le muffe”. Il caffè può essere lavato oppure essiccato con metodo naturale. Il caffè lavato è immerso in acqua per circa 12 ore fino a fermentazione, per far sì che gli enzimi presenti nell'acqua distruggano la pectina e i residui di polpa senza intaccare il chicco. Una volta fermentato, il chicco viene immesso in appositi canalini in cui viene lavato e poi asciugato al sole. “Il caffè lavato ha un aroma molto intenso perché il processo di fermentazione riesce a esaltarne acidità e note aromatiche”, e con questo metodo si consumano circa 100 litri di acqua per 1kg di caffè verde. Il metodo naturale prevede invece una semplice essiccatura della drupa, che rende il caffè più dolce e più corposo. Le differenze fra le due tipologie si notano anche nel momento della tostatura, perché “un caffè lavato contiene una percentuale di umidità superiore che richiede una temperatura di ingresso più elevata, che va poi gradualmente ridotta”.

Coltivazioni e trasporto

Negli ultimi anni, maggiore attenzione è posta, come per tutti i prodotti agroalimentari, sulle coltivazioni biologiche. “È doveroso scardinare il falso mito per cui biologico è sinonimo di qualità inferiore, di un profilo aromatico più basso e meno intrigante”, spiega Alberto. E lo stesso si può dire del contrario, dell'associazione biologico/buono, perché “fondamentalmente, a risentire delle conseguenze del tipo di coltivazione è esclusivamente l'ambiente”.

Dopo essere stato raccolto e controllato, il caffè viene trasportato in sacchi di juta da circa 60 kg l'uno. Per la conservazione del caffè, nessun pericolo: “il trasporto avviene con corrieri controllati e sicuri e non c'è alcun pericolo per la materia prima”.

Il rapporto con i clienti e la formazione

Abbiamo un rapporto diretto con tutti i torrefattori, con i quali ci confrontiamo e scambiamo opinioni e consigli”. Perché ogni chicco necessita tempi e modalità di tostatura specifiche: “è per questo che fornisco sempre istruzioni per ogni lotto”. La causa di tante tostature sbagliate? “L'inconsapevolezza”. Ènecessario infatti formare gli addetti al settore attraverso corsi ed esperienze dirette nelle piantagioni: “iniziative come Barista & Farmer e simili sono fondamentali per i professionisti che vogliono capire come funzioni l'intera filiera del caffè”.

Ma se torrefattori e baristi devono studiare di continuo, anche i consumatori devono avvicinarsi al caffè in modo diverso, con più interesse e curiosità. Ed ecco il motivo dei vari corsi di formazione per il pubblico, principalmente lezioni di avvicinamento al prodotto, spesso realizzati in concomitanza con eventi importanti come Vinitaly.

Progetti futuri e il mercato italiano

Per il futuro, Alberto non esclude la possibilità di aprire un suo locale, “una microtorrefazione specialty, ma l'idea è ancora in fase embrionale”. E se dovesse farlo, la aprirebbe in Italia, “da sempre un paese molto tradizionalista in tutto, specialmente nelle abitudini alimentari, ma che sta crescendo”. E lo dimostrano nomi come Rubens Gardelli e Francesco Sanapo, “torrefattori che hanno iniziato il filone delle singole origini e che si evolvono di continuo”. Come loro anche altri, fra cui Edoardo Quarta e tutti i ragazzi del team Quarta Caffè che si è aggiudicato il primo posto ai campionati nazionali barista: “potrei nominare decine e decine di grandi professionisti e, per fortuna, tanti emergenti”. Il punto di forza degli altri paesi è, invece, la mancanza di una storia antica del caffè: “fare cultura del caffè all'estero è come scrivere su un foglio bianco. La pagina dell'Italia invece è già stata scritta da tanti per tanto tempo, spesso in maniera errata, e per questo risulta più difficile introdurre il discorso degli specialty”.

E a tal proposito, come tanti colleghi inseriti nel settore dei caffè specialty, anche Polojac accoglie con entusiasmo l'arrivo di Starbucks in Italia: “seguo la notizia da tempo con molto interesse. Se il caffè espresso si è diffuso su scala globale, il merito è in gran parte di Starbucks. Certo, i caffè di Starbucks sono l'antitesi dei caffè specialty e riconosco la maternità dell'espresso all'Italia, ma la catena statunitense ha sicuramente contribuito a divulgare il fascino di questo prodotto”. Per quanto riguarda il prodotto in sé, i caffè di Starbucks non soddisfano il gusto di Alberto, perché “sono poco curati, molto improntati sul packaging e l'immagine e poco sulla qualità”. Per la maggior parte, “si tratta di caffè tostati molto scuri, e a dir la verità a pochi piacciono; la maggior parte degli introiti della catena derivano da frappuccini, caffè aromatizzati, cioccolate e simili”.

Imperator | Trieste | piazza della Libertà, 3 |www.imperator.cc/it/

a cura di Michela Becchi

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