Intervista ad Alain Passard. La rivoluzione verde, l'arte, L'Arpège di Parigi

15 Mag 2017, 13:00 | a cura di

Incontro con Alain Passard. Il leggendario chef de L'Arpège di Parigi racconta la sua rivoluzione verde e il suo rapporto con le arti.

Di sé come cuoco dice che ha avuto la fortuna di vivere due vite: una con la carne e una con i vegetali. Quando, già all'attivo 3 Stelle Michelin, percepì “di aver scritto la sua ultima pagina” con un certo tipo di cucina capì che era giunto il momento di cambiare, e aprire la finestra sul mondo vegetale. “Sentivo la stanchezza, avevo sempre più difficoltà ad approcciare agli animali, a farli entrare nella mia cucina”. Così Alain Passard (Il cuoco che – come emerso dalla guida Le 100 Chefs 2017 - gli chef del mondo indicano come una tappa ineludibile per ogni gourmet che si rispetti) si racconta all'Accademia di Francia di Roma-Villa Medici in un incontro con la direttrice dell'Accademia Muriel Mayette-Holtz. Un appuntamento del ciclo I Giovedì della Villa curato da Cristiano Leone, che mira a tracciare un collegamento tra la gastronomia e le arti figurative.

Alaiin passard

Alain Passard: la terra, l'arte e la cucina

Passard, da 30 anni alla guida de L'Arpège, colleziona premi e primati: 3 Stelle dal 1996, primo ne Le 100 Chefs 2017, 12° nella 50 Best e premio alla carriera nel 2016 assegnatogli sempre dalla guida San Pellegrino, premio alla carriera anche per il Diners Club Award 2016, miglior ristorante d'Europa secondo Opinionated About Dining 2016, protagonista di una seguitissima puntata di Chef Tablesu Netflix. Lui è il padre putativo di tutta una generazione di cuochi che ha saputo affondare le mani nella terra per rivelarne tesori nascosti. È quello che ha trasformato prodotti di contorno in protagonisti assoluti. Tra i più influenti personaggi del mondo, e non solo della ristorazione. Protagonista di mostre (fino al 16 luglio 2017 al Palais des Beaux-Arts di Lille per il progetto Open Museum che lo vede tessere un tracciato originale nel museo individuandone i temi nodali del suo percorso di chef: la natura, i giardini, la stagionalità e la sollecitazione dei sensi), fumetti (In cucina con Alain Passard, con le illustrazioni di Christophe Blain. Ed. Bao Publishing), così lucido nell'intendere lo spettacolo che la cucina e la sala ospitano ogni giorno, autore egli stesso di collage e opere in bronzo come la famosa aragosta sezionata, ormai simbolo stesso di quel suo ristorante che, tra i molti punti di nota, detiene anche quello del prezzo: 390 euro il degustazione serale. Tra i più costosi al mondo.

 

alain passard

La rivoluzione vegetale

È uno che ama dire: “a un certo punto, mi sono lasciato sedurre dalla magia del giardino”. Al punto di decidere lui stesso di avere un orto, poi un altro e poi un altro ancora. Ben tre che servono il suo locale non lontano dalla Torre Eiffel, creati man mano che si compiva il suo secondo apprendistato come cuoco.“La scuola è determinante” spiega, “continuare a imparare, trovare un gesto sempre più incisivo, conoscere i prodotti, lasciarsi incantare” e poi “poter correggere una salsa senza neanche avere bisogno di assaggiarla”. E così ha scoperto di nuovo il modo vegetale.

Il rischio di perdere le 3 Stelle c'era, e molto concreto, quando al posto di piccione, manzo e fondi di carne, sono comparsi in menu carote, rape e porri. “Dedicherò la mia cucina alle verdure” fu la sua decisione. Per l'epoca una rivoluzione che poteva trascinarlo giù dall'Olimpo della ristorazione. Così non è stato. “Ho usato le tecniche abitualmente impiegate per le carni, agli ortaggi: affumicature, marinature, cotture arrosto, fondi e salse”. Tutto compiuto con quel rituale di attesa che il rispetto delle stagioni porta con sé, “non mi stanco mai” spiega “perché ho una cucina che cambia e si muove ogni 3 mesi” fa, e aggiunge: “Siamo tutti braccati dalla stanchezza”. Il rinnovamento è la chiave che mette in circolazione memoria, freschezza, stagionalità, naturalezza, “mi piace quando un cliente mi dice che ha ritrovato il piacere di un tempo in un mio piatto”.

Ha fatto così capire al mondo intero che la natura mette a disposizione, negli orti, una varietà e un legame con le stagioni che non concede con gli animali. “Il più bel libro di cucina lo ha scritto la natura” dice, raccontando come la sua tavola degli elementi cambi di stagione in stagione, con 15 referenze da mescolare e la possibilità di aggiungerne altre se le sue terre dovessero accogliere bene prodotti di altre regioni. “Voglio mantenere la curiosità” aggiunge “far lavorare i giardinieri in modo diverso se dovesse servire” e lo dice mentre si lascia incantare dai racconti di quanto vari e territoriali siano i prodotti al di qua delle Alpi.

 

Stupirsi sempre

Racconta dei primi anni in famiglia, in Bretagna, dove la nonna elaborava una cucina di grandi cotture arrosto, “non c'erano i termostati, allora” scherza. E spiega così il valore del gesto e della conoscenza: “Si cucinava a orecchio” e racconta di carni, di conchiglie ed erbe aromatiche. Di una cucina autentica e ricca di sapori e cultura.

Ancora oggi mi piace arrostire, fare una bella salsa vegetale, con i succhi degli ortaggi che hanno tantissimo sapore”. Quei sapori che oggi nascono nei suoi leggendari orti. Da dove, ogni mattina, arrivano le materie prime appena raccolte, “così ogni giorno è il primo giorno: la sera non deve rimanere nulla in frigo”. E quei prodotti freschissimi (che si possono anche ordinare per casa propria, sul modello dei Gas) formano la sua cucina “invito i miei 10 giardinieri ad assaggiare e assaggio io stesso” pronto a stupirsi come per un ultimo, disarmante abbinamento di spinaci al burro con rabarbaro.

E per sottolineare la centralità del suo orto, ha allestito un ambitissimo spazio dove mangiare, dopo aver visitato i giardini. Un tour che da Parigi arriva fino ai suoi terreni. 10 ettari che nel 2017 produrranno più di 50 tonnellate di ortaggi, tutti coltivati in modo naturale. “Se ho creato degli orti è per dare qualcos'altro”, e preservare colori sapori e consistenze di ogni cosa, tutelare l'ecosistema e gli animali che ci vivono. Questa è la via dell'armonia di questo 3 Stelle Michelin.

 

Parliamo della Francia. Cosa è accaduto in quest'ultimo anno, gli attentati e l'allarme terrorismo hanno avuto un impatto sulla ristorazione?

Sì, e l'influenza è molto forte: le persone rimangono di più a casa, e c'è stato un impatto negativo soprattutto sul turismo. Noi abbiamo una grossa fetta di clientela asiatica che si è molto ridotta.

 

E questa situazione ha condizionato anche la ristorazione e la cucina?

Sì, il contesto ha un impatto diretto sul mio modo di cucinare, sulla mia creatività, questo dolore che si percepisce in città mi ha come stimolato: ho voglia di andare ancora più lontano, di fare una cucina migliore e portare un po' di felicità ai clienti, proprio in reazione a questo stato di inquietudine diffuso.

 

Le elezioni con la vittoria di Macron possono influenzare la ristorazione? Ci sono delle politiche messe in atto?

Il risultato delle ultime elezioni è stato un vero regalo dal cielo perché è stato eletto un grande uomo, un personaggio che fa tanto per le imprese, fa tanto per la ristorazione e in linea generale fa tanto per la creatività.

 

È già venuto a mangiare da lei?

No, non ancora

 

Ha dichiarato più volte che vuole avere un unico ristorante e non moltiplicare le sue attività. La pensa sempre così?

Sì, per il momento voglio continuare così, e mettere tutta la mia energia e la mia creatività in un solo ristorante. Mi piace stare a casa mia, che cambia e si rinnova continuamente. Io amo stare lì, non credo sarei capace di avere più ristoranti. Voglio preservare L'Arpège.

 

Un indirizzo e tre orti, però

Ho una casa ma è come se avessi quattro ristoranti. Perché se vieni a L'Arpège in primavera è una cosa, se vieni in autunno è una cosa diversa, e così in estate o inverno. Il mio locale cambia completamente evolvendo con la natura. In questo senso ho un libro a 4 pagine da sfogliare.

 

Lei ha aperto le porte dell'alta ristorazione al mondo vegetale, non teme mai che sia diventato una moda?

Per uno chef è favoloso che molti altri chef riprendano lo stesso lavoro, è veramente il più bel complimento che gli si possa fare.

 

Vede, tra i giovani, qualcuno in cui si riconosce?

Tutti i miei allievi, perché nel mio ristorante posso formare tanti giovani.

 

Secondo lei nell'alta cucina si va sempre più verso la completa eliminazione degli alimenti di origine animale?

Penso che la carne animale ci sarà ancora, ma con una qualità sempre maggiore. Aumentano le esigenze, di conoscenza, innanzitutto. La carne, quando ci sarà, avrà la sua carta d'identità, un passaporto che dice, di ogni animale, cosa ha mangiato e come è stato allevato. Si chiederà un savoir fare più alto per tutto, per gli animali ma anche per i vegetali. Il saper fare artigiano avrà un ruolo sempre maggiore e dovrà essere sempre più alto. Tutto per andare verso l'eccellenza.

 

L'alta cucina può essere etica? Può avere un impatto sociale e ambientale oppure le sue dinamiche l'allontanano da questo percorso?

L'attenzione per l'impatto ambientale è qualcosa che si imporrà a tutti nell'alta ristorazione, credo. Il rispetto per la natura passa per il rispetto per le stagioni, per gli agricoltori e il territorio. Secondo me questo si affermerà poco a poco. Deve affermarsi.

 

Quale è la cosa più importante in un piatto?

La stagionalità.

 

Le 3 Stelle di oggi hanno la stessa importanza di 20 anni fa?

Sì, è sempre la stessa importanza. Sì, la guida Michelin ha sempre un impatto fortissimo, gli ispettori passano regolarmente, visitano i ristoranti e sono molto attenti. Sempre in incognito.

 

Cosa pensa in generale delle guide? Quale è il ruolo che svolgono?

La cosa più importante è il passaparola della clientela, è quello il messaggio più importante, che contribuisce a far conoscere un ristorante. Ma il ruolo delle guide e delle classifiche è fondamentale. Noi siamo presenti in 50 Best, e in molte altre classifiche. Ma ci sono anche altri modi di parlare di cucina e tutti sono importantissimi. Penso a cose come Chef Tables di Netflix che ha un impatto fortissimo, per la sua capacità di raggiungere un'incredibile quantità di persone.

 

Perché secondo gli altri chef il ristorante da provare assolutamente è il suo?

Credo ci siano stati diversi elementi che hanno giocato a favore: per aver portato la rivoluzione vegetale, che mi ha reso famoso, per il fatto di essere quasi sempre lì al L'Arpège, per cui “si va da Alain Passard”, e poi perché è anche una scuola.

 

La stagione della bistronomia è terminata?

No no, Parigi è ancora molto dinamica da questo punto di vista. La bistronomia serve a molti come passaggio iniziale, cominciano con un bistrot per poi evolversi e fare qualcosa di più alto livello.

 

Gli italiani a Parigi vanno davvero così bene?

Sì, a volte si può mangiare meglio al bistrot che non al ristorante gastronomico.

 

Mangia ancora carne?

Sì, ma dietro deve esserci un allevatore, in casa mia ogni prodotto deve avere una storia. Un tempo si andava al mercato - che è un magnifico luogo d'ispirazione - e ci raccontavano tutto su un prodotto, chi e cosa c'è dietro. Questa storia si è persa ed è un peccato. Bisogna ritrovare questo artigianato e questa scuola dei sensi perché dietro a tutte queste cose, c'è la mano, la bellezza del gesto, la mano dell'artigiano. E allora mi piace poter dire: assaggio del pollame, e ho il mio allevatore di riferimento che ha il migliore, di razze antiche che stanno anche 7 mesi nell'aia. Lo stesso anche per i vegetali, prima di mettere una carota in una pentola dobbiamo sapere da dove proviene.

 

Cosa rimane di quest'incontro a Villa Medici? Il senso della cucina come opera d'arte contadina. Se ancora Passard si lascia stupire dal sapore di un ortaggio e da un abbinamento nuovo, è nel gesto che l'intrinseca bellezza trova un compimento. “La cucina non è un mestiere, è un'avventura” dice ispirato, e spiega come la mano del cuoco sia una mano artistica. “In cucina ci sono i gesti, alcuni molto semplici”, come tagliare il prezzemolo, che ha appreso a 14 anni. “Ma se in questo gesto ci si mettere grazia, può diventare un gesto artistico, e allora la giornata di lavoro cambia”. Sta tutto lì. “La scuola del gesto è una bellissima scuola: un buon cuoco è uno che ha una bella mano”. In cucina come nelle arti. Spiega. E sembra volare lontano dai fuochi e dalle padelle, e rimanere vicino a quell'attitudine artistica che lo porta a creare e creare: collage, sculture, ma anche a musica e parole. Ma se poi gli chiedi cosa conta di più: la bellezza di quel che c'è nel piatto o l'occhio del cliente, risponde senza esitazioni: “il bel sapore” perché, spiega: “il mio progetto è il fondo della casseruola e il fondo del piatto”.

Foto di Douglas-McWall

 

L'Arpège | Francia | Parigi | 84 Rue de Varenne | tel. +33 1 47 050906 | http://www.alain-passard.com/en/

 

 

a cura di Antonella De Santis

foto: www.alain-passard.com/en/

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram