Itticoltura italiana, sana come un pesce?

27 Apr 2012, 12:44 | a cura di

Rivedere l’inquadramento catastale dei bacini dedicati all’allevamento, snellire le procedure burocratiche e risolvere le questioni legate ai canoni dell’acqua utilizzata: sono queste le tre principali questioni che i vertici dell’API (Associazione dei Piscicoltori Italiani) hanno so

ttoposto al Ministro per le Politiche agricole Mario Catania nel corso di un incontro che si è svolto a Roma presso l’hotel Aleph.

 

Con oltre ottocento stabilimenti in tutta Italia, dislocati per il 60% al nord, 18% al centro ed il 22% al sud, il settore dell’allevamento ittico dà lavoro a più di 15 mila dipendenti, indotto compreso, ed è oggi minacciato dai cambiamenti introdotti per far fronte alla crisi. Primo tra tutti l’introduzione dell’Imu. I bacini che non era soggetti all’ici in quanto parte integrante dell’azienda, sono oggi classificati come categoria D/10 e quindi soggetti alla nuova onerosa imposta.

 

In secondo luogo i piscicoltori italiani hanno portato all’attenzione del Ministro la questione dei canoni dell’acqua, gli allevamenti restituiscono all’ambiente il 100% dell’acqua utilizzata, chiedendo che venga definita e regolarizzata anche la soglia minima per un corretto funzionamento dell’allevamento. Il ricambio in questi tipi di coltura è fondamentale per garantire alle specie allevate di crescere in un ambiente sano ed il più possibile simile a quello che si trova in natura.

 

Ultima, ma non per importanza, la difficoltà che un potenziale imprenditore trova nell’avviare e nel mantenere un allevamento ittico, dovendo districarsi nel kafkiano dedalo della burocrazia.

Per meglio comprendere l’importanza di questo settore nell’economia del Belpaese conviene far parlare i numeri: per citare alcuni esempi, nel solo 2010, l’Italia ha prodotto in allevamento più di 25 tonnellate di caviale, per un valore di circa 24 milioni di euro.

 

Sempre secondo i dati (fonti ISMEA su dati MIPAAF) la produzione totale ha superato le 72 mila tonnellate per una PLV (produzione lorda venduta) maggiore di 350 milioni di euro.

I piscicoltori italiani hanno portato anche proposte per innovare il settore in chiave ecologica; chiedono infatti di poter utilizzare l’acqua del reflusso, vale a dire quella che viene reimmessa nell’ambiente dopo il ricambio nel bacino, per produrre energia elettrica.

 

In ultima analisi occorre far presente che il Mediterraneo è un sistema chiuso che non potrà soddisfare in eterno le richieste del mercato mondiale, così come laghi e fiumi. L’allevamento sembra essere la soluzione a quello che tra pochi anni sarà un problema serio. Secondo i dati FAO 2011, alla fine del 2012, il pesce d’allevamento avrà soddisfatto il 50% della domanda mondiale.

In questo panorama, la piscicoltura si pone come soluzione allo sfruttamento intensivo delle risorse ittiche marine, fluviali e lacustri garantendone la rigenerazione secondo i ritmi naturali, assai più lenti di quelli umani.

 

Regolarizzare il settore tenendone presenti le necessità garantirà non solo maggiori introiti sia per gli imprenditori che per il nostro Paese, ma cosa ben più importante, aiuterà nell’aumentare la qualità dei prodotti immessi su mercato, perché “sano come un pesce” non rimanga solo un adagio dei nostri nonni.

 

Saverio De Luca

27/04/2012

 

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram