L'amore ai tempi del colera e Cent'anni di solitudine. Cibo e letteratura in Gabriel Garcia Márquez

20 Giu 2015, 11:30 | a cura di

Un'indagine alla scoperta del ruolo simbolico del cibo in Cent'anni di solitudine e L'amore ai tempi del colera del Premio Nobel per la letteratura Gabriel Garcia Márquez.

Il cibo e letteratura costituiscono un binomio ormai familiare, declinato in molte varianti e analizzato a fondo, soprattutto negli ultimi anni, da quando cioè la cucina ha ampliato i suoi confini e assunto un ruolo sempre più centrale nella società. Testi come Il Viaggio di un Cuoco di Anthony Bourdain, Estati culinarie di Muriel Buabery, Gocce di Sicilia di Andrea Camilleri, o, per andare indietro negli anni, Il Pranzo di Babette di Karen Blixen (firmato con lo pseudonimo di Isak Dinesen) sono alcuni fra i più famosi romanzi per gli appassionati di gastronomia.
Spesso, però, ci si concentra talmente sul cibo e sulla tavola come protagonisti della narrazione, che ci si dimentica di altri romanzi in cui la trama tratta argomenti diversi, ma i sapori e profumi della cucina sono presenze secondarie, ma determinanti in alcuni passaggi. Gabriel Garcia Márquez è forse uno degli autori che più utilizzano il cibo per definire delle atmosfere, evocare ricordi, creare lo scenario che accoglie lo svolgersi della storia. E non è solo il cibo, ma l'atto in sé del mangiare che interpreta stati d'animo ed emozioni.

Mangiare come espressione del dolore

È il caso di Rebeca di Cent'anni di Solitudine, la cui ansia si sfoga nell'abitudine di mangiare la terra. Abitudine che abbandona con gli anni ma che riprende non appena si innamora perdutamente di Pietro Crespi, desiderato anche dalla sorella adottiva Amaranta. La rivalità con l'altra donna la scuote al punto da rigettarla nella sua mania alimentare, “Riprese a mangiare terra. La prima volta lo fece quasi per curiosità […] e a poco a poco cominciò a recuperare l'appetito ancestrale, il gusto dei minerali primari, la soddisfazione senza strascichi dell'alimentazione originale”.
I graffi sulla terra, le unghie sporche, spezzate dal dolore e la bocca asciutta rendono viva la sofferenza di Rebeca. Dolore accompagnato dal gesto infantile di succhiarsi il pollice, che ripeterà fino all'ultimo giorno della sua vita. Viene infatti trovata morta sul suo letto in posizione fetale con il pollice infilato in bocca, sua unica difesa da quando era bambina, “Dal momento in cui arrivò si sedette a succhiarsi il dito nella poltroncina a dondolo e a osservare tutti coi grandi occhi spaventati”.

Mangiare come atto di amore

Se in Cent'anni di Solitudine mangiare può esprimere un dolore, ne L'Amore ai Tempi del Colera il cibo diventa simbolo di un sentimento d'amore. “Sconvolto dalla felicità, Florentino Ariza passò il resto del pomeriggio a mangiare rose e a leggere la missiva […], a mezzanotte l'aveva letta così tanto e aveva mangiato così tante rose che la madre dovette stenderlo a terra come un vitello per fargli ingoiare un decotto di olio di ricino”. Ecco di nuovo un'immagine alimentare associata a uno stato d'animo, a un sentimento così forte che reclama altre manifestazioni e altri oggetti per il suo appetito amoroso. Il giovane innamorato, travolto dall'impeto del sentimento, continua a mangiare fiori senza sosta; l'ebbrezza dell'amore e quella del cibo si coniugano, unendosi in unico istante di felicità. È “l'anno dell'innamoramento accanito”, periodo in cui la potenza del sentimento sovrasta Florentino al punto da non riuscire a controllare il suo istinto più primario, quello di mangiare, che però riversa sui fiori, simboli della liturgia amorosa che l'innamorato sente il bisogno di accogliere dentro di sé per farne carne stessa del suo amore.

La tavola come seduzione e costrizione

L'atto di mangiare e il modo di stare a tavola sono anche elementi di seduzione; Márquez descrive il fascino che Pietro Crespi esercita sulle giovani sorelle proprio durante unacena: “Rebeca e Amaranta, servendo a tavola, furono intimidite per la fluidità con la quale adoperava le posate quell'uomo angelico dalle mani pallide e senza anelli”. Eleganza, educazione, istruzione e anche ricchezza: questi sono i valori di cui il cibo si è fatto carico nel tempo e quelli incarnati dalla gestualità del personaggio.
Saper stare a tavola è un'arte, e se per Rebeca e Amaranta di Cent'anni di Solitudine il modo di mangiare può essere sensuale ed elegante, per Fermina Daza del romanzo L'amore ai Tempi del Colera può diventare sinonimo di insofferenza e fastidio. “Si vergognava dell'abitudine di preparare tutti i giorni la tavola per i banchetti, con tovaglie ricamate, servizi d'argento e candelabri da funerale, affinché cinque fantasmi cenassero con una tazza di caffelatte e frittelle. Detestava il rosario all'imbrunire, le smancerie a tavola”. Il banchetto rappresenta fin dall'antichità una condizione sociale; nel passato, ai tempi di Omero, il banchetto era un momento di riunione fra cittadini, centro dell'istituzione sociale e dell'amministrazione degli affari. Fermina, entrata a far parte della cerchia sociale del marito, si ritrova ad affrontare i doveri e le responsabilità del nuovo status a cui appartiene. La sua insofferenza verso i cliché dei rituali alimentari è metafora della sua condizione sentimentale incerta e infelice. Il suo nuovo ruolo non è adatto alla sua personalità ancora in via di sviluppo e questo porta al rapporto conflittuale con la suocera, donna Blanca. La suocera incarna lo stereotipo della donna borghese dedita a intrattenere gli ospiti per valorizzare la posizione sociale dell'uomo. Si oppone al menu del tè proposto da Fermina, che vuole imitare la moda inglese dei biscottini al burro e le confetture di fiori, rimanendo fortemente ancorata alle tradizioni della sua terra e della sua generazione.

L'attivazione dei sensi e della memoria

Era inevitabile: l'odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati”, così come inevitabile è non citare quello che è uno degli incipit più belli della letteratura mondiale. Queste parole aprono L'amore ai Tempi del Colera. E mettono in moto la memoria olfattiva del lettore. Perché il ruolo del cibo nei capolavori di Márquez è anche quello di accendere la sfera sensoriale e i ricordi che essa porta con sé.
Le riflessioni del dottor Juvenal Urbino sulla memoria, la nostalgia, la morte e, ovviamente, l'amore, sono introdotti dall'odore delle mandorle che intride le prime pagine del libro. Un odore che risveglia sentimenti nostalgici nei personaggi, perché tipico della loro cittadina del Caribe. La mandorla amara del romanzo è un frutto che racconta quel sentimento durato “cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni con le loro notti”.Un “sentore tiepido degli amori sventurati”, quello delle mandorle amare che si fonde a quello del cianuro che invade la stanza, in una congiunzione di eros e thanatos illustrata solamente attraverso il senso dell'olfatto.

Il cibo e infanzia

Un rapporto con il cibo particolare e significativo è quello di Fermina Daza. “Detestava le melanzane fin da bambina, prima ancora di averle assaggiate, perché le era sembrato che avessero un colore di veleno”. La repulsione primordiale dell'uomo verso piatti di colore scuro come il nero o il viola, rivela un aspetto ancora puerile della donna e permette di comprenderne la personalità complessa e la sua evoluzione. La spontaneità con cui si approccia al cibo si palesa nella scena del banchetto dopo la morte della suocera. Durante la cena, Fermina prende una doppia razione del piatto principale, che risulta essere proprio a base di melanzane. “Perse con eleganza: a partire da allora nella vita di La Manga furono servite melanzane in tutti i modi possibili” al punto che il dottor Juvenal Urbino continua a ripetere “di voler avere un'altra figlia per metterle il nome beneamato in casa: Melanzana Urbino”. È in questo passaggio che l'autore tesse il filo fra infanzia ed età adulta, illusione e realtà, conduttore di tutto il romanzo. La sorpresa per il suo cambiamento nei gusti fa riflettere Fermina sull'imprevidibilità della vita e le rivela il “disincanto di non essere mai stata quello che sognava di essere quando era giovane […] bensì qualcosa che non aveva mai osato dire neppure a se stessa: una domestica di lusso”.

L'equilibrio fra simbolico e concreto su cui viaggiano le immagini dei sapori è perfettamente mantenuto durante l'intero testo. È Márquez, il suo realismo magico, che si estende anche al cibo e carica le immagini culinarie e alimentari di significati. Sapori e gusti diventano chiavi di lettura per il carattere dei personaggi e la posizione che occupano all'interno di un contesto sociale specifico.

Cent'anni di Solitudine | Gabriel Garcia Màrquez | Ed. Mondadori
L'amore ai Tempi del Colera | Gabriel Garcia Màrquez | Ed. Mondadori

a cura di Michela Becchi

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