L'Imàgo. Il nuovo Tre Forchette sui tetti di Roma

30 Giu 2017, 11:30 | a cura di

Una delle viste più straordinarie della città e una delle cucine più originali, un servizio impeccabile e una struttura in continua evoluzione. È l'Imàgo dell'hotel Hassler. Il nuovo Tre Forchette della guida di Roma del Gambero Rosso.

I 10 anni dell'Imàgo – Tre Forchette della guida Roma 2018 del Gambero Rosso - sono stati celebrati con una grande festa sui tetti di Roma. E quella che pare una frase fatta, quando si tratta dell'ultimo piano dell'Hassler a Trinità dei Monti, acquista tutt'altro significato. Non a caso, se chiedi a Francesco Apreda – alla guida dell'Imàgo dalla sua nascita – qual è la sua maggiore difficoltà, risponde: “Il mio più grande concorrente è Roma e la vera sfida è distogliere il cliente dal panorama: per i primi 10 minuti, chi è qui, non guarda neanche il menu ma solo fuori”. Oggi, però, chi va all'Imàgo lo fa per la vista, ma anche per quanto Apreda porta in tavola. Nei suoi piatti c'è un distillato delle esperienze che lo hanno reso il resident del 5 stelle lusso che vince la sfida di una piccola proprietà in un mondo dominato dalle grandi catene. Il presidente e direttore generale è un galantuomo d'altri tempi, quel Roberto Wirth che ha ereditato l'hotel dalla famiglia di albergatori e ha deciso che un luogo così dovesse avere un ristorante alla sua altezza.

 

Francesco Apreda e Roberto Wirth

Francesco Apreda e Roberto Wirth

 

Roberto Wirth

È sempre presente” dice Apreda per introdurre una figura non solo nominale “con lui c'è un rapporto d'intesa”. Che parte da quando, appena maggiorenne, Apreda arriva all'Hassler. Due anni e mezzo e poi via, a Londra, all'epoca già snodo della grande ristorazione. Wirth lo tiene d'occhio da lontano. Dopo qualche anno lo chiama e gli propone l'Imperial Hotel a Tokyo. Lì acquisisce conoscenze che poi torneranno nella sua cucina: tecniche, prodotti e una certa pulizia nei piatti, estetica e concettuale. Poco più di due anni e Wirth torna alla carica, stavolta per farlo tornare a Roma “pensavo fosse per il Palazzetto” sorta di dépendance dell'albergo. Invece lo vuole come executive all'Hassler. Fino ad allora i cuochi non rimanevano a lungo, non si creava la giusta sinergia. Con Apreda è diverso e i risultati di oggi sono frutto di un percorso fatto insieme: “mi ha sempre messo in condizione di lavorare bene”. L'idea dell'Imàgo prende forma, a sostituire il preesistente rooftop restaurant. La ristrutturazione degli spazi apre a una nuova linea gastronomica: non più di stampo francese, ma globale, con richiami esotici pur rimanendo profondamente italiana. La cucina al piano sarebbe arrivata dopo, sacrificando dei tavoli per avere un'area di lavoro satellite rispetto alle enormi cucine centrali. “un piccolo gioiellino per la rifinitura finale”. Il progetto si definisce strada facendo e nelle riunioni quotidiane l'Imàgo prende forma in ogni dettaglio, a partire dalla cucina.

 

 

La cucina

Non abbiamo mai seguito le mode” racconta lo chef per spiegare quel suo stile contaminato ma distante da facili esotismi: “venivo dall'estero, perciò avevo una mia idea di fusion”. Che tutto nasca da un'esperienza personale lo si percepisce da quella forte sensazione di mediterraneità, anche quando i sapori spingono lontano. Qualsiasi sia la spezia o la tecnica usata, si ha sempre quel rimando a Napoli e Roma come poli del lavoro di Apreda e delle sue varie evoluzioni. “Prima c'era tanto Giappone” nello stile e nei gusti, lo mescola con i sapori nostrani e comincia a eliminare decorazioni e fronzoli: “erano superflui. Ho lavorato per concentrare il piatto in pochi ingredienti”. E così è andato avanti fino a che la sua strada l'ha portato in India. “È stato un cambio di prospettiva: l'India ha spostato la mia visione del piatto e anche il gusto”. Nei molti viaggi porta con sé il suo sous chef e il pastry chef Dario Nuti, “per far capire loro cosa si poteva creare a partire da quella cultura”. In India studia il tandoori, oggi proposto per l'anatra; la preparazione dà vita anche al pollo in due culture, che unisce il teriyaki giapponese all'idea romana del pollo con i peperoni, ma prende spunto dalla cottura uniforme, morbida e succosa del pollo tandoori.

Inizia nel 2009 il lavoro sulle spezie: non più una a dominare il piatto ma un mix da bilanciare e dosare ogni volta. Su questo snodo costruirà il menu Sapori di Viaggio che racconta le sue esperienze nelle cucine di mezzo mondo attraverso i suoi famosi blend aromatici. Un impegno millimetrico che unisce memoria, tecnica, creatività, ironia. Come nelle penne all'arrabbiata. Piatto più richiesto e più distorto nei ristoranti italiani in India. Introduce un piccante più deciso e modulato, quello dello Spicy Bomba-y: peperoncino, pomodoro, paprika dolce, nigella, cardamomo, lime a ancora semi di coriandolo, semi di finocchio e galgant. E una selva di ingredienti a bilanciare il piatto. È parte di un menu molto spinto, che doveva appoggiarsi su una buona presentazione in sala.

 

La sala

Un piatto raccontato è più buono di uno solo portato al tavolo” spiega “facciamo breafing tutti i giorni: io racconto come e perché nasce una ricetta, e lo stesso fanno maîtree sommelier per la loro parte”. Così nasce un servizio non rigido, attento e molto professionale (premio miglior servizio d'albergo della nostra guida Roma 2014). “Abbiamo formato un gruppo giovane con Marco” e si riferisce al sommelier Marco Amato, con Apreda sin dall'inizio. “Adottiamoi camerieri”, scherza per spiegare rapporti di lunga durata. Trovare personale non è semplice, anche perché 45 coperti e molti menu degustazione, equivalgono a circa 500 piatti ogni sera. “Ci vuole un gruppo affiatato”. In sala come in cucina, dove ci sono collaboratori da 8 anni e più. Persone come Francesco Focaccia – insieme sin dai tempi di Londra - oggi sous chef, il responsabile del Palm Court (lo spazio estivo) Marcello Romano, Simona Pica entrata per uno stage in pasticceria e oggi sous di Dario Nuti, ma dopo aver girato tutte le postazioni. Pilastri che permettono ad Apreda di guardare avanti, sempre nell'ambito dell'Hassler.

 

Lavorare in albergo

Quando parla di lui, Wirth ne loda la serietà, la perseveranza, la passione e la capacità di rimanere un passo indietro, ma sempre più presente e determinante. Mai stato una primadonna, Apreda. In un 5 stelle lusso così, è tutta la struttura a dover volare alto.“Rimango l'executive dell'Hassler come 14 anni fa, quando l'Imàgo non esisteva neanche” risponde così quando gli chiedi del suo ruolo. E lo si capisce quando parla del nuovo menu, inizialmente vegetariano e poi corretto in corso d'opera, tenendo presenti le esigenze di una clientela sia interna che esterna all'hotel. Oggi un 50% è italiano “un risultato importante”, a conferma che l'Imàgo ha conquistato una sua identità a prescindere dal contesto in cui è ospitato. Ma quel contesto Apreda non lo può ignorare: “siamo in un 5 stelle extralusso nel centro di Roma”. Niente pose da superstar, ma la piena comprensione di un ruolo. Che ha pro e contro: “questo non è uno di quei posti con budget infinito”: sgombera il campo da quell'immaginario del ristorante dove tutto è possibile a prescindere dal fine mese: “l'Imàgo deve quadrare”. Ci sono dei vantaggi, ma anche difficoltà “la vita dell'hotel può essere di intralcio ai ritmi del ristorante”. Mai pensato di essere più indipendente? “Forse avrei più tempo, ma mi piace così tanto quel che faccio che non mi vedo solo in un ristorante”. E aggiunge: “Ho sempre fantasticato su cosa avrei fatto all'Hassler se fossi stato io lo chef, e ora lo sono”.

 

 

L'ultimo restyling e le Tre Forchette

Il restyling per i 10 anni ha aggiustato dei dettagli: “abbiamo corretto l'illuminazione su ogni tavolo e l'insonorizzazione, e ridotto i coperti”. Oggi sui tavoli niente fiori ma delle tartarughine: “sono la passione di Wirth, ne ha una collezione enorme, qui ci sono le 5 più grandi”, un monito ad arrivare a destinazione senza bruciare le tappe. E poi c'è la nuova cantina a vista che incanta. Più di 1200 etichette, oltre 160 solo di bollicine, grandi verticali, come quella di Petrus, e una carta dei Borgogna. Frutto di un lavoro costante e investimenti importanti a contribuire alla maturità di tutta la struttura “la crescita la vedo negli occhi delle persone che lavorano con me. La loro soddisfazione anche dopo ore di lavoro, senza mai abbassare la guardia”. Quando ha saputo delle Tre Forchette, cosa ha fatto? “L'ho comunicato singolarmente ai nostri collaboratori, per non fare trapelare la notizia, e in ognuno ho visto tantissima gioia. Una soddisfazione così ti sprona ad andare avanti”.

Dolce mozzarella

 

Piatti storici e nuovi menu

Tra i piatti che hanno segnato momenti chiave dell'Imàgo, il fusillone carbonara con ragù di quaglia, la pasta e patate curry e granchio reale, la capasanta impanata con mozzarella bufala e tartufo nero, tra i piatti preferiti di Wirth, presente anche nel menu 10 classici in evoluzione  che celebra i 10 anni dell'Imàgo, insieme al capellino aglio olio e peperoncino anguilla affumicata e cacao, e al cappellotto doppio umami, “uno dei piatti cui sono più affezionato”.

Il 2017 è l'anno anche di un altro menu: Il Mediterraneo tra alghe, vegetali e spezie. Forte impronta vegetale e marina, senza sali aggiunti, sostituiti dalla salinità delle alghe e dagli aromi delle spezie. Nato privo di carne e pesce, poi sdoppiato in due versioni: una con Mediterraneo nel titolo e pesce tra gli ingredienti e l'altro senza. Non si tratta di piatti adattati ai vegetariani ma di portate nate senza carni animali e poi modificate: “le aggiunte sono state naturali, perché i piatti erano già compiuti e avevano in sé le note marine degli altri ingredienti, aggiungere o sostituire non ne ha cambiato l'essenza” così un tavolo può prendere entrambe le versioni, mangiando quasi le stesse cose. Ci sono poi un minestrone all'essenza di mare, con o senza plancton, ma sempre con note minerali; i ravioli al vapore con un brodo di pesci di scoglio e alghe che richiama i brodi orientali, anche senza il pesce. Non mancano parmigiano, mozzarella e altri ingredienti mediterranei.

 

 

Polpo, alghe e radici 
 

La via delle alghe

Nori, wakame lattuga di mare, salicornia: ogni alga ha sapore, struttura, caratteristiche e nutrimenti diversi, perciò se chiedi ad Apreda come trattarle non può che risponderti che dipende da casi. Lui ha iniziato a studiarle quando era in Giappone, e ha continuato a manipolarle con tecniche diverse. Non solo orientali. “La nori la frullo da secca e la uso così sul piatto per dare toni sapidi e umami, tagliata a listarelle va bene anche sopra uno spaghetto di mare o con il parmigiano”;la lattuga basta lavarla e sbianchirla, la wakame fresca la condisce con dressing di soia cipollotto cetriolo e sapori mediterranei, ma è la usa anche per avvolgere la spigola cotta in crosta di argilla con pomodori lemongrass e altri aromi. “L'alga kombu, che ho conosciuto bene a Tokyo, la usavo già come base dei brodi”. La hijiki la mette in osmosi per addolcirla un po', la dulse deve prima di tutto essere sciacquata perché fresca è cariche di sale. Lui le acquista da un fornitore giapponese con base in Germania, o direttamente in Giappone, ma molte si trovano in commercio anche in Italia, specialmente essiccate.

 

Imàgo dell'Hotel Hassler | Roma | p.zza Trinità dei Monti, 6 | tel. 06.69934726 | www.imagorestaurant.com

Guida Roma 2018 Gambero Rosso | Prezzo: 10€ | disponibile in edicola e libreria |clicca qui per acquistare la guida online

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

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