Durante la seconda serata della manifestazione gli chef ci confidano i segreti della loro cucina, spiegandoci le suggestioni e le esperienze che li hanno condotti qui oggi. In un viaggio gastronomico che ha visto alcuni di loro protagonisti di cucine di grandi ristoranti, oggi portano la loro esperienza a bordo di food trucks ben equipaggiati per dar vita alle loro creazioni. Ogni pietanza che hanno scelto per l’occasione è un grande classico, e rappresenta l’esito di differenti percorsi di vita, che ci hanno raccontato a piccoli morsi tra la preparazione di un piatto e l’altro.
Kristin Frederick, la giovane chef californiana trasferitasi a Parigi, propone qui il suo Summer Burger, ricetta ormai cult che da tempo mette in fila nelle strade affollate della Ville Lumiére centinaia di gourmet che non possono rinunciare ad addentare questa delizia. “Il suo nome è burgerella” dice la chef, “l’hamburger, tipico piatto della cucina dei miei ricordi infantili, l’ho rivisitato cercando di modificarne alcuni ingredienti e inserendone altri più sani”. La chef infatti sostituisce il ketchupcon una salsa di pomodoro fresco, così come la provola affumicata sostituisce l’edamer per conferire all’hamburger una gustosa nota fumè. Conclude l’operato l'hamburger di manzo, scalogno appassito in forno e melanzane fritte. Il tutto in un formato ridotto rispetto ai grandi hamburger americani ma con un equilibrio e una scioglievolezza che metterà seriamente in crisi anche gli hamburgeristi più ortodossi.
Paolo Parisi, agricoltore, allevatore e chef toscano, approda a Cultorama con la sua irripetibile carbonara. “La sua unicità è data dalle uova”, ci racconta mentre è intento a mescolare la pasta nell’immenso pentolone d’acciaio, “allevo le mie galline nutrendole con latte di capra, al fine di ottenere un prodotto eccellente”. Altro piccolo segreto di questo tripudio di italianità è dato dal guanciale di cinta senese. Parisi, assieme alla sua famiglia, nel suo agriturismo dal 1989 si dedica all’allevamento dei maiali di cinta senese, con cui produce ottimi salumi, indispensabili per la creazione dei suoi piatti. Il mio nome è carbonara un piatto fatto a regola d’arte, che desterebbe stupore al palato di qualunque romano.
Mohamed Ourad, chef franco-algerino del ristorante Momo a Londra serve in tavola la sua rivisitazione di cous cousguarnito con una costina di agnello speziato, ormai tappa imprescindibile per chiunque passi dalle parti di Soho. Lo chef, sorridente e molto cordiale mentre ci serve il suo piatto cerca di spiegarci con un simpatico italian-english gli ingredienti che lo compongono. Durante la preparazione, arricchisce una base di cous cous con un intingolo speziato dalla ricetta segreta, sul quale poi aggiunge verdure arrosto, ceci, uvetta passa, salsa harissa, concludendo con l’immancabile costoletta d’agnello al vertice del piatto. Alla ricerca del sacro Cous Cous a suo avviso narra di un incontro ideale tra il continente africano e quello europeo, preservando l’autenticità della ricetta solo in parte addomesticata ai gusti del vecchio continente. Una vera delizia.
Bernard Chesneau che, dopo una luminosa carriera in ristoranti gourmet ormai si diletta da qualche anno, a bordo del suo truck, a diffondere la sua cucina per le strade della Danimarca. Ci ha raccontato che La calda notte del Fleaskesteg è una delle più tradizionali ricette danesi a base di arrosto di maiale, proposta qui con insalata di cavolo rosso, arance, mirtilli e noci. Un connubio di note fruttate e vegetali che conferiscono alla grassezza dell’arrosto una nota acida e dolce bilanciandone il sapore e rendendolo, a ogni morso, equilibrato nelle sue parti. Lo chef ci svela che il trucco della morbidezza della carne sta nella cottura. In Danimarca, infatti, il maiale viene arrostito con la sua pelle non permettendo così ai liquidi della carne di disperdersi durante le cottura e preservandone intatto ogni aroma.
Jean-François Ferrié, eredita la passione familiare per il buon gusto e l’alta cucina e, dopo aver vissuto tra Parigi e Barcellona, ha deciso di riappropriarsi delle sue origini, scegliendo di ritirarsi a Laiguiole, sua città natale. Qui ha rielaborato le ricette della tradizione popolare francese, selezionando per questa occasione la famosa Aligot à l’ancienne. Lo chef racconta che ha deciso di portare questa ricetta a Milano per Cultorama proprio perché racconta la sua storia attraverso gli ingredienti adoperati, tipici delle sue parti: purea di patate, toma di Laguiole, panna acida e burro. Il suo Eruzione dell’Aligot giganteè allettante nel gusto, ma lo è anche nel modo in cui viene presentato. Un vero e proprio spettacolo che vede lo chef lavorare energicamente, alle prese con una tradizionalissima filatura del formaggio fatta con una lunga spatola in legno, per servirlo alla giusta consistenza e nel minor tempo possibile.
Dulcis in fundo, e proprio il caso di dirlo, arriviamo a Franco Aliberti. Chef formatosi presso i migliori maestri dell’alta cucina, da Ducasse a Marchesi, per poi diventare chef pasticcere all’Osteria Francescana di Bottura, sta per realizzare il suo sogno nella riviera romagnola, con un ristorante che egli ama definire “a scarto zero”. A soli 27 anni ha un enorme bagaglio culturale che potrà riversare, a breve, in questa nuova basilica del gusto, nella quale i prodotti di stagione e il Km0 saranno protagonisti. Per l’evento Aliberti ha scelto il Mettimigiù, “chiamato così” ci racconta “perché vuole essere la perfetta antitesi del tiramisù, privo di grassi, composto esternamente da una crema di zafferano, yogurt magro e acqua, e ripieno di succo di arancia rossa, zenzero, mela renetta, acetosella e savoiardo di riso, il tutto dolcificato con stevia ed erba di grano e guarnito infine con granita di camomilla”. Il dolce nasce dal matrimonio con caffè Nespresso che conferisce a questo dolce le note tostate che completano l’opera.
Le Grand Fooding – Cultorama | Plastic | Milano | Via Gargano, 15 | Dal 2 al 4 luglio 2013 | www.lefooding.com
a cura di Stefania Bobbio e Tanio Liotta