New Generation Chef. Deborah Corsi

8 Nov 2011, 17:30 | a cura di

Ricette della nonna e cucina molecolare

 

 

Nella vita di questa giovane chef sembra esserci sempre un prima e un dopo… Prima e dopo avv

enimenti che segnano cambiamenti di percorsi o di velocità e che stimolano passi avanti e percorsi di crescita importanti. L’ultimo prima-dopo, stando in quel di San Vincenzo e a pochi metri dall’insegna del mitico Gambero Rosso, è proprio prima e dopo Fulvio Pierangelini che con la sua decisione di andarsene dalla cittadina livornese ha decisamente lasciato un vuoto più che palpabile. Il primo effetto del dopo, su Deborah, è la creazione di un raviolo trasparente di Gambero Rosso che ha preso vita grazie ad anni di immaginazioni e che davvero sembra degno del grande Fulvio per semplicità e complessità che sfiorano la poesia.

 

 

Alla Perla del Mare, il percorso di Deborah e di suo marito, Emanuele Giampieri, è la classica storia della trattoria-stabilimento balneare di famiglia che cresce, vive il passaggio generazionale e diventa un locale moderno, in linea sia con le tendenze più attuali, sia con la tradizione da cui nasce. Una tensione che nei piatti di Deborah e nel suo cuore stimola la ricerca e mitiga le fughe in avanti.

 

 

La storia ha inizio nel ’92 quando Deborah ed Emanuele s’incontrano: lei è una maestrina diplomata con nessuna intenzione di fare la maestra tanto che sta già al lavoro dietro il banco di un bar; lui lavora nello stabilimento balneare dei genitori dove la mamma cucina per i clienti piatti veloci e tradizionali: «Mi chiese di lavorare con lui… Ho cominciato a fare capolino in cucina, e ho preso a fare qualche dolce. Ciò che mi è rimasto dentro e che non tradirò mai è l’approccio con gli ingredienti: sempre freschissimi, il pesce sempre pescato in zona, le lavorazioni veloci».
A Deborah, però, manca la scuola: lei è un’autodidatta e questo non la fa stare a suo agio. Specialmente in un terreno tecnico come la pasticceria. Così, appena stabilisce il contatto con i fornelli punta a fare corsi: prima pasticceria all’Etoile. Poi, panificazione con Andrea Berton. «Ma non bastava: ho sempre avuto curiosità per tecniche e tecnologie. Così ho deciso di frequentare i corsi con il professor Davide Cassi e lo chef Ettore Bocchia». Parliamo di cucina molecolare: azoto, cotture lunghe, gelificazione degli amidi, sferificazioni, azioni sulla struttura della materia. «Campi molto specialistici, specialmente per una come me che aveva alle spalle la trattoria di famiglia sulla spiaggia. Eppure sono stata la prima in zona a fare i gelati con l’azoto: un successo, i nostri ospiti furono subito tutti entusiasti». Il punto, ormai, è come far vivere insieme le due anime: la tradizione, la cucina della mamma e le sperimentazioni di livello universitario. Oltre ai costi: l’azoto è caro e richiede spazi per lo stoccaggio. «Anche se con l’azoto ho fatto il primo dolce che ancora mi rappresenta appieno – sorride Deborah – il millefoglie di gelato. Una sfoglia tradizionale fatta a regola d’arte e cotta fino alla caramellizzazione che racchiude strati di gelato alla vaniglia: un elemento tradizionalissimo, molto usato nelle nostre cucine, unito a una novità; due cose che insieme danno vita a sensazioni nuove, con più brio e mordente rispetto a un millefoglie tradizionale… Ho provato anche a fare piatti utilizzando la pasta alla licitina di soia e la tecnica della gelificazione degli amidi, ma per il nostro tipo di cucina si trattava di piatti troppo particolari».
Ormai, comunque, il percorso del dopo-cucina della mamma è intrapreso… La base è sempre un vecchio libro di ricette preso in prestito dalla nonna da cui Deborah prende spunto per spingersi oltre. Così un piatto semplice, ma strepitoso, come l’insalata di mare, diventa nel menu della Perla un polpo con fragole e maionese di basilico: semplice e sontuoso insieme grazie alla perfezione della cottura e a quel gioco di contrasti tra l’acido delle fragole e il grasso della maionese, un piatto dove fondamentale è la sapienza del taglio e del dosaggio per non avere mai in bocca più del dovuto e godersi quindi un equilibrio sempre in movimento.
Il “prima-dopo” fondamentale, però, per Deborah ed Emanuele – e per la Perla – è la frattura segnata dall’incendio accidentale dello stabilimento, tre anni fa: tutto in cenere. «Fu una tragedia: potete capire, il morale sotto i piedi. Eppure – racconta la cuoca – a spingerci furono proprio i nostri clienti affezionati, gli storici frequentatori dei bagni e della trattoria: una signora ci aiutò a pensare il modo di ricominciare con niente; ci fece vedere come poter sistemare dei cuscini sulla spiaggia, qualche tavolo in riva al mare. Molto romantico, indubbiamente. Un po’ meno forse la cucina e il bar stretti in due container: una cucina di battaglia vera in cui l’unica tecnologia erano le pentole antiaderenti. Però abbiamo tirato fuori una grinta pazzesca. E personalmente ho vissuto una sorta di ritorno alle origini, alla trattoria della mamma che mi ha aiutato molto a dare il giusto peso alle tecniche e alle sperimentazioni. Sembra un controsenso, ma per certi versi è un’esperienza che rifarei!».
E dal senso di Deborah per la pentola antiaderente, nasce proprio l’ultimo piatto che ha messo in carta, lo gnocco soffiato con palamita al limone e Castelmagno: una pralina di patate che viene lavorata con amido e fecola secondo la tecnica della gelificazione e poi ripassata in padella, «per dargli quella patina croccante che è l’effetto che adoro della pentola antiaderente!». Un piatto dove il classico gnocco acquista carattere e riesce a sposarsi ad ingredienti altrimenti complicati e a prestarsi a giochi di consistenze e di sapori altrimenti non raggiungibili. Percorsi faticosi e sofferti, sempre col pensiero a far quadrare i conti: ingredienti freschissimi e di qualità, ma anche poveri come il pesce azzurro, le verdure locali appena colte, la frutta di stagione. E un rapporto con gli ospiti fatto di fiducia e confronto continuo, in cui crescono i commensali, ma anche i due patron e la cucina stessa. Mangiando qui alla Perla ti rendi conto che l’identità della cucina italiana non è la mediterraneità, ma paradossalmente proprio la complessità e la incodificabilità delle sue antiche radici: un insieme che a volte sembra impalpabile, ma che affonda nel dna stesso di chi la fa e riesce a tirarne fuori risultati assolutamente originali e riconoscibili al tempo stesso.

 

 

Stefano Polacchi

giugno 2011

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