Sa Laurera. Aridocoltura e sostenibilità nel cuore della Sardegna

13 Giu 2018, 14:30 | a cura di

Dal 2013 a oggi Sa Laurera ha recuperato circa 80 varietà di antichi grani sardi, ceci, fave e pomodori autoctoni. Ecco come nasce questo progetto radicato nel core della Marmilla.

 

Laureraè un termine che in dialetto sardo indica tanto il raccolto e la coltivazione che il bagaglio di conoscenze, degli strumenti materiali e culturali necessari per ottenere quel raccolto;un termine il cui significato si sta perdendo. E che Marianna Virdis e Francesco Mascia – che hanno chiamato la loro azienda agricola proprio Sa Laurera – hanno voluto recuperare. Così come stanno facendo per semi, territori, colture, pratiche agricole. Hanno cominciato nel 2010, con una ricerca sulla tradizione agricola locale e su un patrimonio che stava scomparendo. Interviste, tante, con gli anziani che avevano storie, ricordi e memoria di sapori e paesaggi da condividere. Insieme ai racconti sono arrivati i primi semi, appena una manciata, eredità di colture che ormai quasi estinte, tenute in vita in fazzoletti di terra coltivati per nostalgia.

Marianna Virdis e Francesco Mascia. Foto Alessandro Lisci

 

Dopo qualche anno questo interesse più antropologico che agricolo ha acquisito forza e progettualità, forti di studi in restauri dei beni culturali, lei, di botanica, lui: “ho applicato un metodo di indagine scientifica ai terreni”. Così quei semi recuperati e passati di mano in mano sono giunti in terra e la memoria storica di quel mondo agricolo ha dato i suoi frutti e creato una miniera di biodiversità. Le prime sperimentazioni, su una decinadi semi, hanno mostrato una natura molto generosa, che ha permesso di individuare – nel 2013 - la strada da intraprendere: quella di un'agricoltura che si muove nell'ottica di un recupero di competenze, colture e conoscenze. Nel tempo sono arrivati altri semi, anche daistituti di ricerca che stringono dei contratti internazionali di tutela del germoplasma: “loro danno i semi, noi ci impegniamo a moltiplicarli, coltivarli, e un po' li ridiamo indietro”.

 

trigu_arrbiu_arista_nnieddaTrigu arrbiu arista niedda

L'agricoltura storica

Un'agricoltura storica, la chiamano, e spiegano “Per noi è l'arte dell'agricoltura tradizionale, quella che abbiamo deciso di riproporre privandoci degli stimoli dell'agricoltura moderna e degli aiuti degli strumenti di oggi”.L'obiettivo? “Continuare a proporre un prodotto come si faceva un tempo, ma”aggiunge “con la consapevolezza attuale e gli accorgimenti di ora, quelli legati alle conoscenze botaniche. E con la volontà di valorizzare questi prodotti e questo tipo di agricoltura che abbiamo scelto con consapevolezza e non per mancanza di alternative”. Per rinsaldare quell'anello di congiunzione tra vecchie e nuove generazioni che va progressivamente sfaldandosi. Intercettando, proprio nella produzione agricola, il punto di connessione tra saperi antichi e modernità: prodotti e metodi di ieri con standard qualitativi e consapevolezza di oggi.

Lenticchie e cicerchie

Gli orti diffusi

Senza un terreno da cui partire, però, perché nessuno dei due aveva alle spalle una storia familiare agricola. E allora come fare, se non lavorando piccole parcelle abbandonate? Terreni concessi a uso gratuito perché troppopiccoli o di difficile accesso che richiedono quindi una lavorazione manuale (proprio come quella scelta da Marianna e Francesco), cui poi sono seguiti alcuni in affitto, e – solo quest'anno – uno di proprietà: 15 ettari complessivi che chiamano Orto degli Audaci, nei quali hanno piantato i vari semi e trasformato anche in fattorie didattiche. Ma solo dopo uno studio attentissimo del ciclo biologico delle piante e di ogni terreno, sfruttando la vocazione specifica di ogni parcella così da individuare, per ognuno, la coltivazione più adatta. Un'agricoltura tagliata su misura per ogni seme e per ogni terreno. Siamo in Marmilla, una zona fertile e storicamente vocata alla coltivazione di cereali, legumi, vite e ulivi. Anche una zona arida, però, per la mancanza di pozzi e di corsi d'acqua in cui si è sviluppata una pratica agricola caratteristica cui si richiama Sa Laurera. Una prassi sicuramente più faticosa, ma pienamente immersa di quel genius loci che – in più - permette di dare seguito a una sorta di manifesto programmatico dell'azienda: Sovranità alimentare, Orto diffuso, Ecosostenibilità, Aridocultura, Biodiversità. “Per noi è un codice etico e, insieme, una promessa che facciamo ai nostri clienti” racconta Marianna che punta a mettere in campo un modello di sviluppo (anche) economico in questa zona della Sardegna.

Pomodori costoluti

L'aridocoltura e le altre pratiche tradizionali

Agli antipodi dell'agricoltura intensiva, la strada intrapresa da Sa Laurera è il rispetto del territorio: inteso come ambiente (mediante pratiche sostenibili), come coltura (con la tutela delle tradizioni storiche), e come paesaggio. Le siepi, per esempio, che fanno parte del panorama tipico della regione, rappresentano corridoi ecologici per gli animali, e – insieme contribuiscono all'equilibrio di un ecosistema che riesce a tenere a bada gli insetti indesiderati. L'alternanza delle colture è la chiave di volta per terreni sani e ricchi, così come il rispetto di un periodo di riposo (che con la crescita di piante selvatiche costituisce una sorta di riserva di ulteriore biodiversità), la lavorazione superficiale della terra, due o tre volte l'anno per ortaggi e legumi, ostacola la crescita delle infestanti. “Per i grani antichi, invece, nessun problema: sono piante alte che soffocano le altre erbe indesiderate”. Insomma, un sistema che si autoregola e che trova il proprio equilibrio. Nessun trattamento fitosanitario, né chimica, diserbanti e pesticidi. E neanche irrigazione. La loro è aridocoltura, una tecnica che spinge le piante a trovare da sé l'acqua necessaria. Non si irriga, insomma, ma si lavora continuamente il suolo perché rimanga morbido, così che la pianta attraverso le radici superficiali possa sorbire la rugiada e l'acqua che si deposita sul terreno. “È una tecnica diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo” e tipica di questa cultura rurale. Il risultato? “Rese più basse, perché è una zona siccitosa” spiega “ma di una qualità molto alta. C'è meno prodotto e una crescita lenta, ma i frutti sono molto più succosi e saporiti”. E nel 2017, con il caldo torrido che c'è stato, come è andata da voi? “Meno prodotto ma molto buono. Con i grani antichi non perdi mai il raccolto, per le lenticchie, invece, c'è stata una perdita dovuta a una gelata tardiva le fave, invece, sono state di altissima qualità”.

Meloni serbevoli

La produzione

Abbiamo tre filoni produttivi, quelli necessari per rispettare la rotazione delle colture: grani antichi, legumi e ortaggi, sempre in aridocultura”. Oggi complessivamente sono 80 le varietà di grani antichi, molti per ora solo in moltiplicazione. Lo scorso anno erano 3 in produzione, quest'anno 6, tra duri e teneri; per esempio Trigu arrùbiu arista niedda e Trigu murru. Poi ci sono ceci e fave locali, queste ultime di grande pezzatura coltivate in terreni che li rendono altamente cuocibili, ovvero riducendo di molto i tempi di cottura. Diverse varietà antiche di pomodori e meloni serbevoli, che tradizionalmente si conservano dai 6 agli 8 mesi legati con il giunco nei sottotetti “per i quali creiamo dei cestini, saranno pronti a fine settembre”. E poi la cicerchia, che è valsa un premio della fondazione SAVE (Safeguard for Agricultural Varieties in Europe). È una varietà sviluppata a partire da semi che appartenevano alla famiglia di Marianna, che è arrivata fino al sito ufficiale dell’Anno Internazionale dei Legumi, voluto dalla FAO nel 2016. Un riconoscimento che premia non solo il recupero di un legume in termini di conservazione statica, ma anche lo sviluppo di un'economia sostenibile per il territorio proprio a partire da quel prodotto. Perché l'obiettivo di Sa Laurera è di dare vita a un ecosistema florido.

 

Fror' 'e faa, antica razza locale di galline

Fare rete

Stiamo stringendo delle collaborazioni perché per noi è importantissima la filiera” dice Marianna per spiegare come, per rispondere alle molte richieste senza snaturare il loro modus operandi, hanno cominciato a collaborare con altri agricoltori: “noi gli diamo il grano e loro lo coltivano nei loro terreni secondo il nostro modo di produzione; poi riacquistiamo il prodotto”. Oggi i grani – come tutti gli altri prodotti - sono in vendita direttamente all'azienda o sul loro sito, e alcuni forni (PBread Natural Bakery di Stefano Pibi a Cagliari, il panificio Porta ad Ales e il gruppo di panificatrici casalinghe Impasti Urbani) li impiegano per il loro pane. In progetto, però, c'è di metter su anche un laboratorio di pasta fresca nell'azienda agricola. Ma tra i vostri clienti ci sono anche dei ristoratori? “Alcuni a Cagliari (Claudio Ara del Su Tzilleri 'e su Doge e Paola Sanna del Rifugio dei Sapori) e qualcuno anche all'estero (il Fontanarosa a Parigi). E poi c'è una collaborazione di lunga data con lo chef Alberto Sana di Samassi da cui è nato anche il progetto di recupero di un'antica razza locale di galline, la Fror' 'e faa”. È un piccolo allevamento familiare, per ora: appena una trentina di galline. Un'enormità al confronto di 10 semi. O no?

Angurie coltivate in arido

 

Sa Laurera - Villanovaforru VS- via Vittorio Emanuele III, 41– 348 0339233 - https://salaurera.weebly.com/

 

a cura di Antonella De Santis

 

 
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