Dici (libero) cuciniere e il pensiero va diritto a Salvatore Tassa. Tra i nomi più inafferrabili del nostro panorama gastronomico. Uno che, negli anni di attività (e sono quasi 30) ha saputo portare avanti, con coerenza, un percorso di terra, gesto, studi e riflessioni.

I primi anni '90. La cipolla fondente
Entra in cucina trentenne dopo studi di architettura e vari lavori che lo portano in giro per il mondo. Erano i tempi della cucina ridondante, dove gourmet equivale a lussuoso. Proprio allora lui arriva davanti ai fuochi inventandosi, di fatto, una professione a suon di prove, studi e nutrimenti per il corpo e per la testa. Nel '90 rileva il ristorante di famiglia e partecipa a una competizione di cucina, che vince. È la partenza di un percorso non privo di ostacoli, profondamente personale e denso di intuizioni e momenti luminosi. In poco tempo attira l'attenzione su di sé, sono gli esordi delle guide, quella del Gambero è ai primi vagiti, e già parla del cuciniere di Acuto, la Michelin gli assegna una Stella a metà degli anni '90, la sua cucina è già tra le più importanti del Lazio. Autodidatta, nessuna formazione in altri ristoranti, ma ore intense di letture, studio - i francesi per la tecnica, i giapponesi per la filosofia e il lavoro sull'umami - e ricerca, ben prima dell'avvento di internet: “ho iniziato a fare questo lavoro a partire da piatti e cibi che conoscevo”.
L'architettura con i maestri del Less is more indicano la strada di una cucina che, disertando il percorso più battuto, cerca altri snodi che sono alla base di quel piatto che oggi, dopo quasi 25 anni, continua a far parlare di sé: la cipolla fondente, “il piatto semplice di un uomo semplice” dice “a me piaceva, punto. La cipolla incarnava le mie origini. Mi rifacevo al territorio”. Un territorio che dà vita a quel prodotto umile glorificato in un piatto che ha fatto da spartiacque. Cipolla ripiena di se stessa, un piatto morbido, suadente, sensuale, che disorientava e cambiava i confini dell'alta gastronomia. Continua così la sua corsa con un'attitudine febbrile verso la ricerca e il movimento.

Fine anni '90. I ravioli di pecorino con aria di finocchio
Pochi anni e lo scenario cambia. Un brutto incidente nel 1997 lo blocca per quasi un anno, sono mesi durissimi che lasciano in eredità non pochi problemi motori “un anno che non ripudio, fondamentale per ripensare la mia cucina, per vedere come molte cose erano una moda che non volevo più seguire, canoni non miei”. Un anno di grandi ragionamenti: “ho contrastato il dolore fisico con il piacere mentale”. La riflessione porta a un approccio più ragionato alla cucina, “inizio a condensare alcuni pensieri di cui non ero fino ad allora consapevole”.
Rinizia la corsa: piatti, esperimenti, intuizioni e tantissimo studio. La sua è già riconosciuta come una grande cucina, la Stella c'è e rimarrà negli anni, il rapporto con il Gambero Rosso invece vive di alti e bassi, anche per via dei parametri di giudizio: “non avevo una carta, e questo nella griglia di valutazione del Gambero era uno svantaggio”. I riconoscimenti sono vitali, soprattutto ad Acuto,“anche se allora” dice “non c'era l'impatto mediatico di ora”. Lavora sodo, le difficoltà non mancano in un posto a più di un'ora di macchina da Roma senza una storia di ristorazione. E intanto mette a segno un altro signature dish: i ravioli di pecorino con aria di finocchio e ristretto di torcolato, un piatto di incredibile eleganza pur profondamente radicato nel territorio e nei suoi prodotti più robusti. La carta della leggerezza sarà sempre la cifra che lo identifica a dispetto di ingredienti terragni e sapidi.

Il 2000 e la fettuccia pomodori e vaniglia
Continua a studiare, dentro e fuori la cucina. Ne 2000 torna all'università, folgorato sulla strada dell'antropologia culturale. Vuole andare a fondo nelle dinamiche che legano l'uomo al proprio territorio, la collettività e il cibo. E continua a sperimentare quel punto di congiunzione tra tradizione contadina e spunti colti. Di questo periodo sono le Fettuccine, pomodori alla brace e vaniglia con mantecato di pecorino. Familiare negli ingredienti e nelle tecniche, con il lavoro sull'umami che le rende così contemporanee e quella spezia che abbatte i confini tra cucina e pasticceria: “qualcuno diceva: e adesso questo chi si crede di essere solo perché ha messo un ingrediente dolce in un piatto salato?”E invece la vaniglia è al servizio di un piatto della tradizione laziale, lo rinnova e fa riemergere i sapori con la sua nota dolce.

Gli anni zero. Il piatto dell'orto e i brodi di terra e legno
Inizia una rivoluzione che continua fino a oggi, “perché le rivoluzioni partono sempre da lontano; è quella che mi porterà nel 2008 a ragionare, nei piatti, sul territorio e il bosco”, ma anche sul senso della vita e delle cose: “una presa di coscienza”. Valorizza l'anima rurale della sua cucina“il carattere contadino è sempre stato la mia forza”. Al lavoro sui vegetali affianca quello sull'anima del luogo in cui si trova, il bosco con i suoi umori, il legno, la terra. Sono gli anni del piatto dell'orto: “una carota, una patata e un cipollotto cotti sottovuoto”. Un'intuizione disarmante e anticipatrice, emozionante, frugale, profondissima. Paolo Marchi ne comprende il valore e lo prende come spunto per l'edizione 2010 del congresso Identità Golose, intitolato Il lusso della semplicità. Nascono i brodi, come quello di ciliegio che accompagna i ravioli liquidi di pecorino romano, e poi radici, muschio, erbe spontanee. Ben prima che fosse di moda, è la celebrazione del territorio dentro piatti che raccontano un pensiero di cucina e un modo d'essere: con le radici nel territorio e le idee ben tese verso il cielo. E un saper fare artigiano che ha pochi eguali in Italia: “Ho sempre creduto che bisognasse cuocere col fuoco e con le mani, bruciarsi anche, toccare la terra”. Cuoco di gesto che, una manciata di anni fa, ha messo a segno un menu di selvaggina di pelo e di piuma di grande scuola.

Il 2010: la responsabilità della libertà
“Sento l'esigenza di uscire fuori da tutti i canoni” e per dare voce a questa idea chiama Bob Noto per disegnare il suo logo: la T di Tassa con ampie radici e la scritta Libero Cuciniere. Ramificazioni dentro la terra che trattengono l'anima più profonda e rendono saldo il suo slancio verso l'alto. “Cerco libertà, prendendomi le responsabilità del caso. Perché libertà vuol dire responsabilità”. E libera è sempre stata la sua cucina, “è un po' l'elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, la logica del non logico” e continua così a raccontare e raccontarsi per approssimazioni sempre più vicine a quel che è, oggi, Salvatore Tassa, e con lui la sua cucina.

Il 2016. Il menu ecosostenibile
Il compimento delle evoluzioni di questi anni è una nuova maturità: i ragionamenti del 2008 si uniscono alla riflessione sui temi di Expo. A breve un nuovo menu “non inteso come piatti, ma come pensiero, dove cerco di mettere in pratica un approccio ecosostenibile”: no a scarti, no a sprechi energetici, no allo stoccaggio dei cibi, no a cotture e preparazioni che richiedono l'uso della plastica. “è faticoso: bisogna prendere continue decisioni, risolvere le difficoltà in modo coerente. È un menu che continua”. La cucina come atto di responsabilità, verso la società, l'ambiente, la salute delle persone. Di nuovo Bob Noto dà forma a questa idea con un marchio che trasforma la X di Expo nel simbolo dell'infinito, nel segno della continuità che come lo vede Ron Arad, è un pensiero che non inizia e non finisce, ma continua, segue ed è inseguito
Come sempre all'avanguardia, come sempre colto, curioso, contadino “Le Tre Forchette di oggi? Sono contento, soprattutto perché non è stato premiato il ristorante, ma il concetto”. Perché la sala rimane così, con la carta che c'è e non c'è: “non avere nulla per dare tutto”, e i degustazione decisi all'improvviso sui desideri del cliente, anche di soli due piatti, e a prezzi calmierati. Perché “quando uno fa più di 100 chilometri per venire a mangiare da te, dovresti stendergli i tappeti rossi, non lo puoi mica deludere. Il cliente va conquistato, non commercialmente, ma come persona”. Non è un lavoro semplice.
Salvatore Tassa fuori dalle Colline Ciociare: Nu'Bazzar e EnoTK
Appena un piano di sotto e dall'altra parte del mondo: così Salvatore Tassa si fa uno e trino. In Nu'Bazzar, ad Acuto, porta le contaminazioni nate dai suoi viaggi all'estero, declinate sul prodotto locale come nel tacos preparato con la scottona: cultura e civiltà italiane, tecniche da tutto il mondo, ambiente informale, prezzi invitanti, per far capire che la cucina può essere anche gioco: “qui sono il mago di Acuto e al piano di sopra il cuciniere”. Dall'altra parte del mondo, in Messico, da due anni porta la cucina italiana contemporanea, la sua. Dove i prodotti tipici italiani sono in felice armonia con la materia prima locale: frutta fresca esotica per gelati all'italiana o foglie, carne, ed erbe locali. Non è una tropicalizzazione della cucina italiana, ma un atteggiamento. È uno stimolo continuo, “come lo è la voglia di questi ragazzi di imparare: fanno 4 ore di strada per arrivare al lavoro: hanno fame di apprendere perché sanno che questo può rappresentare il loro riscatto sociale”. È sostenibilità anche questa.
Di Salvatore Tassa e del nuovo menu Expo si parla anche nel mensile di giugno in edicola. Per abbonarti clicca qui
Le Colline Ciociare | Acuto (FR) | via Prenestina, 27 | tel. 0775 56049 | http://www.salvatoretassa.it/
a cura di Antonella De Santis
foto Francesco Vignali e Andrea Salvatore Foodwineadvisor