Saperi & sapori 2016 report. Cena di gala a 10 mani

21 Ott 2016, 11:30 | a cura di

Non è solo questione di prodotti: il selvatico è un'attitudine. È lo spirito libero da condizionamenti e preconcetti, capacità di improvvisare e di guardare le cose in modo nuovo. È estro. In cucina come nella vita.


Da boschi e dal mare la cucina del futuro

Il selvatico stimola gli chef, elettrizza e stimola le energie creative, istiga a uscire dai canoni e a percorrere strade nuove, autonome. "Di libertà" sorride deciso Salvatore Tassa, uno dei protagonisti nelle cucine di Atman a Villa Rospigliosi a Lamporecchio, accanto a big del calibro di Gianfranco Vissani, Igles Corelli, il pasticcere Mauro Gualandi e Fulvio Pierangelini che da diversi anni non si concedeva ai fornelli in pubblico. Occasione per questa rimpatriata tra colleghi di lungo corso è l'ultima giornata di Saperi e Sapori, il meeting tra cuochi e artisti nato 25 anni fa ad Argenta quando sull'ultimo tratto del Po c'era un ristorante chiamato Il Trigabolo. Tema: Il Selvatico ci salverà.

piatto pierangeliniGambero Rosso di Fulvio Pierangelini

Il raviolo di Pierangelini

Ci salverà da cosa? Intanto, dall'omologazione. Perché ogni elemento nel mondo del selvatico è diverso dall'altro e dai suoi simili. Tanto che la battuta ovvia che è circolata di più in questa tre-giorni gastronomica è stata: "I selvatici siamo noi", a rivendicare appunto il bisogno di autonomia e di rottura degli schemi. Il più fuorischema – ma era quasi scontato, nel bene e nel male – è stato proprio Fulvio Pierangelini: fino alla fine non ha voluto (e probabilmente non ha saputo) definire il piatto che avrebbe cucinato per 60 persone. "Forse un raviolo" borbottava a chi gli chiedeva se avremmo rivisto una riedizione della passatina. Solo il nome era certo: Gambero Rosso. A marcare identità e unicità. E pian piano, partendo da splendidi gamberi rossi e da una fantastica e fresca misticanza di erbe di campo, il piatto ha preso forma. "Rispetto, innanzitutto rispetto" invoca per i suoi ingredienti selvatici lo chef di San Vincenzo (per noi sarà sempre lui, nonostante ormai viva a Roma e voli per il mondo 4 giorni su 7) "Pulisco i gamberi uno per uno, li accarezzo e li contemplo uno ad uno: voglio dare un senso a chi è stato sacrificato per noi". E non lascia a nessuno quel compito: lo chiamano, lo reclamano per una foto. Fa riporre i gamberi al freddo e li ritirerà fuori solo quando potrà rimettersi a pulirli. "Poi, però, nel piatto non voglio vedere cadaveri"spiega piegato sui suoi gamberi rossi"Per questo modifico le loro forme, cerco altre. possibilità". Così quei gamberi diventeranno una tartare che verrà poi celata da piccoli ravioli (realizzati sul momento con l'aiuto soltanto della sua compagna e di Raffaella Prandi, una collega giornalista, l'unica che potrà avere accesso ai suoi spazi culinari. E l'unica che potrà, sempre insieme alla compagna di Fulvio, pulire la cicoria: foglie piccole da una parte, in un'altra vasca quelle più grandi, da parte poi le cimette delle radici e gli "scarti" della sfilatura dei gambi. Questi i suoi ingredienti: cicoria selvatica e gamberi di mare. Unico attrezzo, una macchinetta per stendere la pasta: rimediata con difficoltà. Così come con difficoltà – nell'ambaradam di cinque cuochi e dei loro staff che cucinano in contemporanea – riesce a trovare una padella per le sue foglie e deve accontentarsi di una pentola per finire di ripassare le altre. "Posso fare una richiesta strana, si trova una padella e dell'aglio" strilla in mezzo alla cucina. E sorride sotto i baffi, ostentando la sua "strana" semplicità in una cucina supertecnologica. Anche questo è il suo modo di rivendicare "il selvatico".

 

 

Una rivendicazione di libertà e di spazio individuale che fa propria anche unaltro ospite illustre della manifestazione, chef nella vita e ospite per una sera: Davide Scabin, geniale outsider della cucina d'autore italiana, che in una video-intervista di due minuti proclama il suo manifesto del Selvatico 2.0.

 

 

 

Risotto di caccia di Igles Corelli

Risotto di caccia di Corelli

Corelli, col suo risotto di caccia che nobilita un piatto di suo nonno e che rende omaggio a una signora del pesce di valle – la Grazia Songini della Capanna di Eraclio di Goro ("il miglior locale di pesce in Italia" lo definisce Igles che da quelle lande viene) – punta a dimostrare la rande classicità della caccia come alimento del popolo e dei signori, come cibo insieme antico e moderno. Cotture separate di tutti gli elementi (germano, ma probabilmente anche qualche altra specie di anatra), riso maturato al freddo per 7 anni (Acquerello, ovviamente), gelato di Parmigiano Reggiano di 72 mesi. Un piatto che conquista, che entra dentro l'anima. Che da solo basterebbe a illuminare una serata.

 

Pernice VIssaniRane lumache e pernice di Gianfranco Vissani

Rane lumache pernice per Vissani

Anche Gianfranco Vissani punta al classico con la sua pernice, ma l'avvicina a rane (fritte) e a lumache (in ragù) passando per una sorta di maki fatto di alga, papaya e tartufo, accanto a una sferificazione di caffè e sambuca. Un piatto semplice, complicato dalla molteplicità degli elementi, che punta anch'esso a rivendicare la classicità della cacciagione e il ruolo centrale nella cucina d'autore.

piatto tassaDalle Alpi alle piramidi, il cervo prende l'Orient Express di Salvatore Tassa

Il cervo di Salvatore Tassa

Tassa, invece, cambia registro. La sua tartare di cervo è protagonista di una storia che si impone fin dal titolo: Dalle Alpi alle piramidi, il cervo prende l'Orient Express. Un racconto che si snoda per sapori e per concetti: un percorso parallelo ma inverso rispetto al dessert emozionale presentato la sera prima da Loretta Fanella: nel dolce sono i colori e gli elementi formali del piatto a raccontare (il sasso, il fiore, i muschi e così via); nella tartare sono invece le spezie, le concentrazioni dei sapori e dei profumi, le emozioni organolettiche a dar corpo al viaggio di questo cervo che dalle Alpi (mele, terra, rape, funghi) si spinge a Oriente e arriva a Istanbul dove prende le spezie e dove incontra le magie (il finto uovo sulla carne: fatto di brodo, tuorlo e zafferano, ma con la forma e le consistenze di un rosso d'uovo) e filosofeggia sul senso di forma e sostanza. Un modo personale, questo di Salvatore, per percorrere in modo nuovo le strade delle sue sperimentazioni: spezie in forme e dosi del tutto inedite, estratti e distillati di erbe e radici, concentrazioni e crio-estrazioni... Il suo mondo, la sua dimensione, la sua libertà: il suo spazio selvatico. "Èuna forma di libertà cosciente. Anche la natura selvaggia è cosciente e ha un perché. Per l'uomo, è la coscienza la sua libertà: che è anche il suo selvatico" spiega, e continua:"In cucina, in particolare, il selvatico è la dimensione in cui il cuoco si pone di fronte alla materia prima e riesce a vedere le cose che la natura cela: non solo ciò che pensiamo come 'elento selvatico' è tale, perché spesso il selvatico è anche in ciò che noi non ci aspettiamo".

GualandiLe visciole in carrozza di mandorle

Le visciole di Mauro Gualandi

E dalla filosofia, il dessert di Mauro Gualandi – spalla dolce di Igles ai tempi di Argenta e ora maestro pasticcere che chiama ai suoi signature dish: i bignè caramellati del Trigabolo (uno dei piatti più copiati insieme alla passatinadi Pierangelini) e i panettoni di cui oggi è splendido alfiere nella sua pasticceria – ci porta alla poesia. Per lui il selvatico è rappresentato dalle visciole: frutta semplice e accattivante, piccolo gioiello della natura. "Per me, in Romagna, le visciole sono un incontro quotidiano. Per me, figlio di contadini, era l'unico frutto che noi bambini potevamo cogliere: era il nosro divertimento, il nostro dolce, il nostro piacere mentre l'altra frutta si doveva vendere al mercato". E le visciole vengono celebrate da una sfera di mandorle in purezza: un gioco di sapori che si rincorrono e si catturano a vicenda. E non a caso si chiama Le visciole in carrozza di mandorle il suo dessert che celebra i due ingredienti assoluti, con le piccole, rosse visciole a fare da principesse su una carrozza bianca di mandorle, richiamo al biancomangiare tipico di altre latitudini: una fuga che è anche un incontro.

 

 

Saperi & Sapori | Lamporecchio (Pt) | Atman a Villa Rospigliosi | via Borghetto, 1 | dal 17 al 19 ottobre | http://www.saperiesapori.events/

 

a cura di Stefano Polacchi

 

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