Sguardo d'artista. Dalle cave di Colonnata a Viareggio, il lardo tra cucina alta e bassa

28 Apr 2014, 09:50 | a cura di Luca Francesconi
Non recensioni, neanche degustazioni, ma riflessioni sul cibo, tra gusto sapori e società, quelle che Luca Francesconi, artista contemporaneo, ci offre in questa collana di articoli. Uno sguardo obliquo sulla gastronomia, il paesaggio e la ristorazione, che mescola indizi (e indirizzi) dal mondo dell'arte alla ricerca di un altro modo di approcciare al cibo. Partiamo da Colonnata col suo prodotto più noto, il lardo delle conche di marmo, per arrivare fino in Versilia, attraverso le suggestioni gastronomiche dei ristoranti della zona.
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Sulla cima, ieri notte, la Luna era accecante perché non c'è alcuna notte che, al tempo stesso, sia anche giorno, fuorché in quelle vette ivoree delle Apuane da cui si cavano forme potenziali, marmi belli, lattei come le stelle nella volta celeste. Ho ricordo di questi effetti solo nel Pacifico, a Marina del Rey, Redondo oppure – meglio - dalle colline molto oltre Sunset Blvd, dietro Malibù, quando la luna è gigantesca sul mare, e dietro le spalle solo onde di colline e vallate, bianche nella notte. Finché l'occhio cede. E tutto il resto è del blu più cupo.
Da Colonnata la notte è proprio fatta così, mentre il giorno è un unico grande coltello bianco che t'entra negli occhi, con le sue cave metafisiche di marmo latte, candido, dalle mille e mille varianti diverse e preziose, proprio come il suo Lardo che nelle conche, lento, assorbe il gusto della media macchia tirrenica, al fresco di correnti discendenti da giogaie e picchi che i romani chiamavano montes lunae: Monti della Luna, appunto.
Questo connubio cristallino fatto dall'evoluzione lunare e dai toni del Marmo, fa del Lardo di Colonnata materiale prezioso, come tutto il grasso suino: elemento plasmabile in mille declinazioni, che ha visto enorme sviluppo in questi ultimi anni. A quello della frazione di Carrara il merito d'aver fatto d'apripista a questa nobilitazione del più pingue, e prosaico, fra tutti gli animali allevati.
Se in alcuni cenacoli parigini è da tempo affermato il suo interessante accostamento con i mille Crémants o, voilà, con sua maestà lo Champagne (giù il cappello), oggi gli adattamenti al Colonnata si sprecano così come le variazioni. Sissignore, certo: in un tempio dell'enofilia e della salumeria qual è Roscioli a Roma, abbiamo osservato proprio proporre una variazione di lardi, dove, neanche a dirlo, il Colonnata viene per primo. Anche se inizia con la "C". Quasi a sottolineare che il principe dei lardi è lui, il Colonnata, e la sua fortuna ha portato sotto i riflettori anche gli altri. E lo ha fatto trasformandoli in un'eccellenza da alta società.

Io m'oppongo. M'oppongo alla mutazione deontologica d'un prodotto popolare (ancora oggi con un prezzo molto accessibile all'origine) in uno d'élite. Forse, si dirà, è la storia di tanta parte della cucina e della cultura gastronomica. Certamente. Ma la mia non è un'opposizione etica, affatto. Piuttosto una sana concorrenza tra cucina alta e bassa. Ed io - neppure a dirlo - parteggio per la bassa. Tifo, insomma, per quel Colonnata che fu l'unico companatico possibile per le innumerevoli generazioni di cavatori carrarini, cotti dal sole riflesso nelle cave di Bianco, così ben descritte nel film di Yuri Arcarani Il Capo, presentato al Festival di Venezia nel 2010 e poi proprio a Carrara, nell'ambito della rassegna Database, due anni dopo.

Parteggiare per la cucina bassa non significa affatto tralasciare il potenziale della ricerca, ma piuttosto "ricordare" da dove il Lardo di Colonnata, soprattutto nella sua terra, trae origine: condimento robusto, con pochi pomodori, per condire pagnotte atte a garantire l'apporto calorico necessario (di semplice digestione) a chi lavorava, così come "sostanza" per zuppa con rape e fagioli.
Quando Henry Moore o Isamu Noguchi frequentavano le sponde del Monte Altissimo, presso le proprietà Henraux, preparando per settimane le proprie opere, certo questi prodotti alimentari avevano ancora la propria funzione originaria, in una catena di alimenti lirica anche se, lo ricordiamo, bassa, semplice.
La cultura gastronomica ha da tempo rivalutato questa umiltà alimentare, riscoprendo (verbo da cui diffidare) il valore delle materie originarie, la tutela della diversità biologica degli ortaggi, così come quella delle carni. Lo ha fatto tuttavia in chiave elitaria, trasponendo quella salvaguardia (altro termine su cui esser parecchio scettici) in una dimensione alta della cucina.
Nella tradizione versiliese vi sono molti esempi di come il Lardo di Colonnata, e molte altre tipicità, vengano impiegati come elegia, ma senza premesse concettuali, accostandolo ai crostacei delle sue sabbiose coste oppure all'ottimo tonno del tirreno. Molti sono gli esempi in tal senso, e non a caso provengono da tipi di ristorazione molto diversa, ma che appunto condivide un'etica originaria, che in qualche misura si contrappone al concetto di riscoperta. Potremmo partire da un cavallo di battaglia del Ristorante Romanodi Viareggio come gli Sparnocchi (mazzancolle) coi fagioli schiaccioni di Pietrasantaoppure Sparnocchi, lardo di Colonnata e ceci di Valentanoe perché no, il Piatto del Buon Ricordo (ricordo è un termine molto migliore di riscoperta), Minestra di farro dellaGarfagnana con verdure e pesce, il resto lo fa l'olio della lucchesia, magro denso del ferro delle montagne e dei fiori di giaggiolo (iris) di cui le fresche discese di Pescia, Pietrasanta, Montecarlo sono terrazze naturali.
Cucina alta contro cucina bassa? Certo, serve coraggio (scusino l'audacia dell'interpretazione ardita) a pensare che la cucina di Romano Franceschini e Franca Checchi possa esser bassa, ma se questo è sinonimo di autentica e vera, allora sì. Sempre eccellenze, tuttavia, ma di tutt'altra concezione se testiamo passione dello chef Cristiano Tomei al suo L'imbuto, un tempo viareggino oggi lucchese presso la sede del Centro d'Arte Contemporanea Lu.c.c.a. Il suo ottimo Piccionesu corteccia calda di pino semi di pomodoro e riduzione di salsa di ostriche è di spessore, equilibrato e soavemente salino. Ma per quanto il nobile volatile sia tra le pietanze più toscane ch'io ricordi, è tuttavia una libera, legittima, interpretazione di una cucina alta, la quale esce dal collettivo per deliziare il singolo. Esperienza invece dichiaratamente etica, quella di Amelio e Simona Fantoni aI Buonumore, sempre nella città del carnevale tirrenico, tutto incentrato sulla valorizzazione delle specie ittiche minori: dalla tartare di cefalo, ai crostini di fegato di razza, ben più prosaici e popolari dell'altro quinto quarto – di Rana Pescatrice – del blasonato Moreno Cedroni. Insomma, una cucina che vuole essere ermeneutica, per scoprire qualcosa di normale, vero, e pertanto inedito a una società spesso anemica, per dirla con Mario Schifano.

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Le Pinete di Versilia sono ridotte e di loro resta solo, forse, la lettura plastica che ne diede Carlo Carrà, così come i cavatori non sono più quelli che, possenti come Titano, estraevano le forme poi scolpite da Carlo Sergio Signori. E insomma, il Lardo di Colonnata è una specie di fossile vivente di un tempo lirico, bianco e salmastro che fu quello che metteva a prova l'uomo e la natura in un confronto il cui esito è sospeso, ancora oggi, sulle vette vitree delle Apuane. A noi, oggi, restano solo memorie del palato, ma come tali immediate, celeri, ampie. E sul confronto tra cucina alta e bassa, tra Carrara e la Versilia, il giudizio è ancora sospeso e spesso inedito, poco pretenzioso, come un pasto all'Osteria Da Gloria, forse la più popolare tra le mete possibili in terra carrarina. E fa lo stesso se tutto non è perfetto, perché lo è il pane senza sale e un fetta di lardo di piccoli produttori, oppure un semplice fritto di piccoli pesci, impanato col mais di Garfagnana.
Attendiamo un tramonto arancio, in questa West Coast tirrenica, magari bevendo un calice di Vermentino Superiore dei Colli di Luni, d'una azienda emergente come La Pietra del Focolare di Laura Angelini, a breve la Luna, come sempre sarà tutt'uno col Bianco dei Marmi.

Ristorante Romano | Viareggio | via G.Mazzini, 12 | tel. 0584.31382 | www.romanoristorante.it
L'Imbuto | Lucca | Lucca Center of Contemporary Art | via della Fratta, 36 | tel.0583.491280 | www.limbuto.it
Il Buonumore | Viareggio (Lu) | viale Capponi 1/ ang. via Marco Polo | tel. 339.6920936 | www.ilbuonumore.it
Osteria Da Gloria | Marina Di Carrara - Carrara (MS) | via Covetta, 92 | tel. 0585.53876 | www.osteriadagloriacarrara.it/

A cura di Luca Francesconi
Foto in apertura: 
www.emikodavies.com

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